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giovedì 19 maggio 2016

MORELAND & ARBUCKLE - PROMISED LAND OR BUST (Alligator, 2016)



Che siano in gran forma Moreland & Arbuckle lo si intuisce anche solo dallo scatto immortalato sulla copertina di Promised Land Or Bust, traboccante energia rosso fuoco che non faticherà a distinguersi sugli scaffali dopo tre anni di attesa dal loro ultimo lavoro 7 Cities. Per l’occasione debuttano su Alligator Records, l’importante etichetta discografica di Chicago già di Robert Cray, Luther Allison, Buddy Guy e di altre decine tra i migliori bluesman contemporanei: una sorta di certificazione dello status raggiunto dopo una gavetta durata più di dieci anni (Caney Valley Blues, l’esordio del 2005). Da allora la band s’è allargata, completano la line-up Kendall Newby (batterista e membro effettivo da alcuni anni) e in qualità di ospiti Mark Foley al basso e Scott Williams alle tastiere. Lo stile tuttavia non è cambiato: Boogie ossessivo, ritmico, ora nervoso, ora lento e tormentato. Buone vibrazioni che grondano da ogni nota e che ci riportano alle migliori avventure del Blues bianco: da Johnny Winter al grande e sfortunato Stevie Ray Vaughan e, più recentemente, ai North Mississippi Allstars e ai Black Keys dei primi lavori. Produce il collaudato Matt Bayles già dietro al mixer di 7 Cities e di band quali Mastodon, Isis, Cursive, Minus The Bear e Screaming Females.




C’è tanta bella roba dentro Promised Land Or Bust: Delta Blues e Southern Rock, Garage Rock e ruvidezze Hard, i virtuosismi chitarristici di Aaron Moreland (slide come piovesse) e l’incredibile tecnica di Dustin Arbuckle all’armonica (e anche alla voce). Brani al fulmicotone come Mean And Devil e ballate emozionanti come Mount Comfort, le prelibatezze acustiche di Waco Avenue che potrebbero provenire dal repertorio dell’indimenticato Chris Whitley e il blues più tradizionale del brano che apre l’album, Take Me With You (When You Go). Ben cinque le cover, dalle classiche I’m A King Bee di Slim Harpo e Woman Down In Arkansas di Lee McBee (fenomenale armonicista del Missouri scomparso nel 2014), ad altre composte da amici di lunga data come Hanna di Michael S. Hosty e Long Did I Hide It e Why’d She Have To Go (And Let Me Down)? di Ryan Taylor (leader della band roots rock The Rounders).
Mettiamo, quindi, da parte i pregiudizi che vorrebbero dischi come questo convogliati presso qualche logica marginale (cioè, è la solita roba), specie da coloro che, una volta sentita la “band of the week” alle prese con Leadbelly o Son House, rimangono folgorati sulle strade impolverate del Blues per poi dimenticarsene la mattina dopo, imbottigliati nel traffico delle tangenziali. A questo servono dischi come Promised Land Or Bust: a ricordarci che la tradizione non è un guinzaglio opprimente che ci lega al passato, ma la salvaguardia di una bellezza raggiunta a cui non ha alcun senso rinunciare in nome di qualsivoglia e presunta modernità. Nient’altro da aggiungere, disco magnifico consigliato a tutti coloro che non amano i guinzagli.

Voto: 7,5





Porter Stout, giovedì 19/05/2016

4 commenti:

  1. e' tra le "uscite recenti" che mi sta consigliando Spotify nell'ultima settimana, ora che ho letto la tua recensione lo ascolterò anche più volentieri!

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  2. @ Michele: l'amico Porter Stout ci ha regalato belle emozioni :)

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  3. Gran disco. Io li ho visti dal vivo in Sardegna, hanno davvero un bell'impatto, su spotify ormai li ascolto regolarmente. Per me allo stesso livello dei Black Keys o meglio per alcuni versi.

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  4. Ciao Gian Luca, quella sera c'ero anch'io. Grande band, grande concerto!

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