Quando lo scorso anno uscì l'acclamato Primerose
Green, ne parlammo in termini certamente lusinghieri, ma evitammo di
accodarci alla maggior parte della stampa specializzata, che vedeva nel
secondo album in studio di Ryley Walker uno dei dischi più belli dell'anno.
Pensavamo, infatti, che il songwriter originario dell'Illinois possedesse un
talento smisurato ma pagasse un debito eccessivo alle proprie fonti di
ispirazione, che vestivano di deja vù (Tim Buckley, John Martin, etc) la
maggior parte delle canzoni in scaletta. Primerose Green, insomma, era un buon
disco, suonato in modo eccelso, ma troppo derivativo. Pertanto, definimmo
Walker un artista con delle potenzialità e un bagaglio tecnico tali
da consentirgli di affrancarsi da un suono troppo immediatamente riconoscibile
e di intraprendere un suo peculiare e più autonomo percorso. Forse, ci
avevamo visto giusto, visto che Golden Sings That Have Been Sungs non solo
conferma quanto di buono avevamo raccontato di Walker ma,
anzi, aggiunge qualcosa in più. O meglio dire: toglie. Nel senso che il
cantautore chicagoano sembra essersi in parte sgravato dagli ascolti
giovanili che avevano profondamente inciso sul suo precedente songwriting,
per cercare, riuscendo a trovarla, una propria identità. Certo, i suoni
rimangono incredibilmente vintage e trapela inevitabilmente la passione per il
folk revival, la psichedelia californiana (David Crosby in primis) e
un'attitudine jammistica che allunga il minutaggio standard delle canzoni.
Eppure, questo nuovo lavoro risulta essere più vario, meno referenziale verso
un certo tipo di suono, e più coraggioso nella scelta del linguaggio, che si fa
maggiormente sbrigliato. Merito anche della produzione di Leroy Bach (Wilco) e
di un gruppo di musicisti presi in prestito dalla scena jazz di Chicago
(Brian Sulpizio alla chitarra elettrica, Ben Boye alle tastiere, Anton Hatwich
al basso, Frank Rosaly e Quin Kirchner alla batteria, Whitney Johnson alla
viola), che riescono a esaltare l'estro di Walker, creando un
elegante tappeto strumentale su cui la chitarra acustica intreccia
suggestive melodie. Solare e volatile (A Choir Apart, The Roundabout), ma anche
visionario e estatico (The Great And Undecided), e al contempo capace
di tinteggiare malinconiche visioni di cieli stellati (Funny Thing She
Said), Golden Sings That Have Been Sung è un'opera articolata e complessa, in
cui si fondono alba e crepuscolo, brume e barbagli di sole, terra e cielo,
profumi agresti e brezze speziate, folk trasognato, psichedelia, Laurel Canyon
e campagna inglese, sentori jazz, post rock, azzardi progressive e luccichii
pop. Un disco che richiede più ascolti e la predisposizione ad abbandonarsi a
un mood ricco di suggestioni e sommamente evocativo. Spesso, si fluttua a
mezz’aria, affabulati.
VOTO: 8
Blackswan, mercoledì 31/08/2016
grazie... molto interessante.... ;)
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