Istruzioni per l’uso. Per
apprezzare quel che c’è da apprezzare in Hardwire To Self Destruct, undicesimo
capitolo nella discografia della band losangelina, sarebbe assolutamente fuori
luogo tentare improbabili paragoni con dischi come Kill’Em All o Ride The
Lightning. I bei tempi, è il caso che ce ne facciamo una ragione, sono finiti
per sempre, e la forza d’urto selvaggia di quel suono ora vive quasi
esclusivamente nelle intenzioni che sottendono questo nuovo full lenght. Se,
invece, si inserisce Hardwire nell’onda lunga di una rinnovata ispirazione,
iniziata otto anni fa con il dignitosissimo Death Magnetic, ecco allora che è
possibile dare a questo disco la giusta prospettiva e una corretta valutazione.
Gli eventuali detrattori (il malvezzo di accanirsi a prescindere contro nuovi
dischi di blasonate glorie del rock è tipico di certi recensori affetti da
snobismo indie) cercheranno di demonizzare l’eccessiva lunghezza del disco (un’ora
e dieci di musica distribuiti in due cd), per rimarcare una creatività lacunosa
e vittima di continui cedimenti. Un’obiezione, questa, solo in parte corretta: che
le dodici canzoni in scaletta non siano tutte all’altezza prescinde dalla lunghezza
dell’opera e dipende semmai da un certo imbolsimento di idee (vi avrebbero
fatto schifo dodici canzoni tutte ispirate?). A difesa dei Metallica, vorremmo,
invece, sottolineare che in fin dei conti la band ha fatto il proprio dovere,
regalando ai fans ciò che gli spettava e ciò che si attendevano: materiale a
sufficienza per consolarsi della lunga assenza (otto anni) e da mettere, poi,
in cascina in vista del prossimo iato (che spereremmo più breve). E poi, a
conclusione del pistolotto, andatevi a riguardare i minutaggi dei precedenti
dischi: tutti, più o meno, superano i settanta minuti di musica. Fatte queste,
a nostro avviso, doverose premesse, bisogna arrivare al nocciolo della
questione che qui interessa. Che disco è Hardwire? Se avevate apprezzato Death
Magnetic ascolterete con piacere un album che ne è il degno successore, animato
però da un pizzico di vitalità in più. Il lavoro in fase di produzione, infatti,
garantisce la forza bruta che ci si aspettava, ma anche un suono equilibrato,
muscolare e pesante ma in grado di soluzioni melodiche che a qualcuno
potrebbero far venire in mente il celebre Black Album. Non tutto, ovviamente, è
centrato: il secondo cd si apre con due pezzi di una modestia imbarazzante (Confusion
e Manunkind), ma grazie a Dio poi prosegue su standard discreti (Here Comes
Revenge, Am I Savage? E Murder One), regalandoci anche una gemma finale da
archiviare subito come un istant classic della band: Spit Out The Bone. Il
primo cd, per converso, è di buon livello e affermare il contrario è solo perché
si commette l’errore che dicevamo in apertura. Lo speed metal di Hardwire con
cui si apre l’album possiede di per sé un valore programmatico: ecco siamo
tornati e siamo ancora in forma strepitosa. Chiaro: non basta alzare i volumi
per dimostrare potenza. Ma qui l’ispirazione è alta e viene ribadita anche in
tutta la prima parte del disco, a partire dalla superba Atlas, Rise! Il passo
elefantiaco di Now That We’re Dead (ma occhio ai cambi tempo) e la ritrovata
verve melodica rappresentano l’abbrivio ai successivi tre brani (Moth Into
Flame, l’articolata Dream No More e Halo On Fire) tutti all’altezza della fama
della band, e suonati con un antico fervore. Non stiamo certo parlando di un
capolavoro e l’intenzione di chi scrive non è quella di fare l’apologia di un
gruppo che segue con infinito affetto fin dai lontani anni ‘80. Immagino, tuttavia,
che tante giovani band pagherebbero di tasca propria per esordire con un disco
come Hardwire. Il quale, nonostante i difetti e qualche cedimento creativo,
resta il lavoro credibile e grintoso di una band che ha ancora qualcosa da
dire. Bentornati!
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 01/12/2016
Sarà un limite mio, ma a me continuano a sembrare mica tanto buoni.
RispondiEliminaNon adesso, da sempre.
Alcuni pezzi indubbiamente riusciti (Enter Sandman, Sad but True, Nothing else matters) ma per il resto un suono che trovo banale.
Poi probabilmente avrà ragione Blackswan quando dice che proprio quel suono grezzo e sporco è la loro forza.
Però, per dire, sempre sul genere grezzo e sporco mille volte meglio i Motorhead (ciao Lemmy, come va lì dall'altra parte?)
Istruzioni per l'uso: mettersi prima i tappi alle orecchie.
RispondiEliminaaahahah :D
Scusa, ma perché hai messo la copertina al rovescio come se l'immagine fosse allo specchio?
RispondiEliminaSto ancora metabolizzandolo, serve un po di tempo per capire la portata di un disco così. Le sensazioni dopo i primi ascolti, però, sono decisamente positive :-)
RispondiEliminaCiao!