Che
 Lee Ann Womak stia vivendo una seconda fase di carriera di livello 
altissimo, era apparso evidente fin dai tempi di Call Me Crazy (2008) e 
soprattutto del superbo The Way I’m Livin’, di tre anni fa. Nel suo 
momento di maggior successo (l’album I Hope You Dance del 2000 e la title track
 pubblicata come singolo, entrambe in vetta alle charts statunitensi) le
 composizioni viaggiavano su oliatissimi binari mainstream e il suono 
era tarato sul classico country pop di nashvilliana memoria; oggi, la 
Womack pare essere tornata sui suoi passi, ricominciando a percorrere i 
sentieri di un’Americana più complessa nella struttura e, come si 
capisce da questo nuovo The Lonely, The Lonesome & The Gone, 
attraversata da crepuscolari umori soul. A parere di chi scrive, ma 
credo la differenza la si possa cogliere ascoltando in sequenza 
cronologica gli album fin qui citati, questa nuova stagione creativa ci 
consegna un’interprete e una songwriter al top della propria maturità 
artistica, tanto che questo nuovo full lenght può tranquillamente 
definirsi il migliore mai rilasciato dalla Womack. Confermato il marito 
Frank Liddlel in cabina di regia, cambiata la casa discografica (dalla 
Sugar Hill alla ATO) e trasferitasi da Nashville a Houston, dove l’album
 è stato registrato, Lee Ann ha assemblato una scaletta di quattordici 
brani, in cui pezzi originali si alternano a cover di straordinaria 
fattura. Che le cose sia cambiate, sia nella forma che nella sostanza, 
lo si capisce subito dall’opener All The Trouble, cupissimo 
blues il cui impianto acustico lascia lentamente il posto a un crescendo
 corale (inquietanti i controcanti quasi ultraterreni) percosso da 
riverberi e distorsioni elettriche. Canzone pervasa di grande tensione, 
con la voce della Womack che raggiunge vette di estensione 
stratosferiche. Segue la title track, umbratile ballata che si 
sviluppa sull’intreccio fra chitarra elettrica, acustica e steel guitar 
(prezioso il lavoro di Paul Franklin per tutta la durata dell’album). Si
 arriva così alla prima cover del lotto: He Called Me Baby, 
vecchio brano di Harlan Howard, in cui la Womack dà sfoggio di una 
grande proprietà di linguaggio anche quando si cimenta, come in questo 
caso, con sonorità decisamente più soul. Hollywood, scritta con
 Waylon Payne e Adam Wright, è uno degli high lights del disco: 
countrypolitan agro dolce dal retrogusto seventies, in cui la languida 
melodia accompagna una cinica riflessione sui riverberi negativi che la 
fama d’attore può avere su una storia d’amore. Arrivati alla quarta 
canzone si capisce definitivamente che il livello di scrittura è 
altissimo, che la band che accompagna la Womack gira a mille e che Frank
 Liddlel ha in pugno la situazione, creando un suono fluido, carico di 
soul e in bilico costante fra luci e ombre. Ecco allora l’incedere aspro
 del country di End Of The End of The World, scritta da Adam Wright, e due superbe cover dal repertorio di Brent Cobb, la caracollante e irresistibile melodia di Bottom Of The Barrell
 (immaginatela elettrica ed eseguita da Bruce Springsteen a fine 
concerto e vi farete un’idea di quanto sia coinvolgente il brano) e, 
soprattutto, Shine On A Rainy Day, qui c’è anche lo 
zampino di Andrew Combs, tristissima ballata, stracciata nel mezzo da un
 icastico assolo di chitarra super effettata. Altri due brani meritano 
ancora un accenno: Mama Lost Her Smile, nostalgico ricordo 
materno attraverso vecchie fotografie ritrovate per caso in una scatola 
(se non vi spappola il cuore è perché non ne avete uno) e la grafia in 
corsivo di Long Black Veil, brano preso dal repertorio di Danny
 Dill e Marijhon Wilkin, e portato al successo nel 1959 da Lefty 
Frizzell, contrabbasso, chitarra acustica e la voce della Womack che si 
prende tutta la scena, giocando sul contrappunto fra estensione e 
profondità. Un disco superbo, dunque, che conferma il nuovo corso di una
 delle songwriter americane più amate di sempre. Tanto che, buona parte 
della stampa d’oltreoceano, sta già indicando The Lonely, The Lonesome 
& The Gone come disco dell’anno. Di sicuro, e non sarebbe la prima 
volta, nell’aria c’è odore di Grammy Award. Consigliatissimo.
VOTO: 8,5
Blackswan, martedì 14/11/2017 

bellissimo - non conoscevo lee ann womack
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