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martedì 28 novembre 2017

SAMANTHA FISH - BELLE OF THE WEST (Ruf Records, 2017)

La maggior parte degli artisti incircolazione, dopo aver rilasciato uno dei migliori album in carriera, si prenderebbe almeno un anno di tempo, per godersi l’onda lunga del successo e riflettere sul proprio futuro. Samantha Fish, chitarrista e songwriter originaria di Kansas City, è evidentemente un’anima inquieta ed è spinta dall’urgenza di una creatività che pare non darle respiro. Solo otto mesi fa, infatti, usciva Chills & Fever, album ispiratissimo, divertito compendio di Memphis soul e Motown R&B suonato con consapevolezza filologica e piglio da consumata e indomita garage rocker. Il tempo di prendersi gli applausi del pubblico e della stampa specializzata, ed eccola di nuovo in sella con un progetto diverso, sia nella forma che nella sostanza, ma egualmente centrato nel risultato finale. Samantha si affida nuovamente alle sapienti mani di Luther Dickinson (il frontman dei North Mississippi Allstars aveva già prodotto Wild Heart del 2015), si chiude negli Zebra Ranch studios nelle North Hills del Mississippi e chiama alla sua corte un pugno di straordinari musicisti locali, quali la violinista e cantante Lillie Mae, il chitarrista Jimbo Mathus, frontman degli Squirrel Nut Zippers, il bluesman Lightin’ Malcom, la bassista e cantante Amy LaVere e Shardè Thomas, flautista e pronipote del grande bluesman Otha Turner. Con questo parterre de roi, la Fish appronta una scaletta di undici brani che catturano lo spirito e la spontaneità del Mississippi Sound. Un disco prevalentemente (ma non esclusivamente) acustico, in cui confluiscono blues, gospel e country, amalgamati attraverso la genuinità dell’America rurale e l’occhio vigile di una ragazza moderna che conosce la propria storia e custodisce con amore le tradizioni. Basta ascoltare l’apertura della politicizzata American Dream (Hand On The Bible, Foot On Your Neck è un verso che racconta l’America di Trump meglio di un saggio) per capire quanto profondo sia il lavoro filologico messo in piedi dalla Fish: blues che odora di campagna e di fiume, cadenza quasi militaresca e il piffero uncinante con cui Shardè Thomas duetta con violino di Lillie Mae. Un pezzo stratosferico che torna a far brillare di modernità un suono antichissimo. La Fish ha messo da parte la sua chitarra elettrica e i suoi viscerali assoli per abbracciare il suono del territorio, ma non ha perso un briciolo né di passione né di potenza. Impossibile, allora, non essere travolti dalla piena di Cowtown, funky blues che gira dalle parti dei North Mississippi Allstars, o dal beat inesorabile di Poor Black Mattie, bluesaccio assassino preso in prestito dal repertorio di R.L. Burnside e cantato in duetto con Lightnin’ Malcom. La Fish, però, sa anche toccare le corde del cuore, inanellando tre ballate al limitare della notte: gli struggimenti d’amore raccontati in Nearing Home, cantata in duetto con Lillie Mae, il malinconico dark swamp di Daughters, quadro a tinte fosche di disperazione famigliare, e il passo spettrale di Don’t Say You Love Me, canzone disturbata dall’ossessionante violino della Mae. Da citare, poi, anche il country millesimato della title track, a dimostrazione di quanto sia versatile il songwriter di Samantha Fish, un’artista che in un anno ha piazzato un uno-due da k.o., dimostrando di aver avuto la forza di uscire dai confini di genere (rock blues) entro i quali si muoveva a inizio carriera, e grazie a passione, entusiasmo ed energia giovanile, aver liberato una creatività che, è più una certezza che un auspicio, la può portare ovunque.

VOTO: 8





Blackswan, martedì 28/11/2017

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