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giovedì 31 maggio 2018

DANIEL BLUMBERG - Minus (Mute, 2018)

Sconosciuto ai più e relegato in una nicchia indie frequentata da aficionados e addetti ai lavori, Daniel Blumberg ha comunque alle spalle un notevole bagaglio artistico, messo al servizio di band come gli Yuck, gli Howling Hex, gli Oupa, e un filotto di collaborazioni importanti con gruppi del calibro dei Low e dei Lambchop.
Una carriera all’insegna del “mordi e fuggi”, dal momento che queste militanze sono durate il bagliore di un lampo, ma per converso utile a mettere del fieno in cascina per un nuovo progetto musicale, declinato finalmente in prima persona. Dall’esperienza vissuta al Cafè Oto di Dalston, locale votato alla musica d’improvvisazione e alle nuovissime tendenze, Blumberg ha costruito dal vivo la scaletta che va a comporre questo Minus, avvalendosi dei servigi di una band spettacolare, composta da Jim White (batterista dei Dirty Three), Ute Kanngiesser (violoncello), Tom Wheatley (contrabbasso) e Billy Steiger (violino).
Registrato nella bucolica quiete della campagna gallese e prodotto Peter Walsh (Simple Minds, Peter Gabriel, Scott Walker) Minus è un album complesso, non di facile approccio, figlio di una visione musicale aperta e non convenzionale, in cui trovano equilibrio e misura il tormentato soliloquio interiore di Blumberg e una musica in dimensione espansa, libera di vagare oltre i confini del prevedibile.
Una musica che suona come un dilacerante dubbio taciuto, un urlo ricacciato in gola, un’inquietudine che toglie il fiato e azzera la razionalità, un vena aperta da cui sgorga il sangue di mille tribolazioni. Un mondo di una bellezza disarmante, che si apre con il pianoforte della title track, in uno sfilare ipnotico di note malinconiche, depresse, pervase da quel romanticismo arreso che ha fatto grande la poetica tormentata di Jason Molina.
Un mondo, quello di Blumberg, in cui succede l’inaspettato e l’irreparabile, come quando la languida melodia di The Fuse, che è disegnata con il tratto morbido di un pianoforte che cita addirittura Elton John, viene letteralmente stracciata dalle scosse elettriche di furore primigenio e annichilente.
In Minus c’è, come si diceva, una predisposizione all’improvvisazione, che viene sublimata nei dodici minuti e mezzo di Madder, capolavoro deviato e sperimentale in cui Blumberg trita e rimastica i Talk Talk di Laughing Stock, Vic Chesnutt, Robert Wyatt e Tim Buckley, spingendo la visione verso una chiosa rumorosa, schizofrenica e free.
Un album che rapisce nell’andamento apparentemente ovvio di Stacked, ballata alla Neil Young, in cui al falsetto di Blumberg fa da contrappunto lo sfarfallio di un violino nevrotico e disturbante, o che intrappola nel caracollante loop rotatorio e nei ritmi spezzati dell’allucinata Permanent, canzone che vira, poi, nell’intuizione di un ritornello di bellezza improvvisa e struggente.
Se è vero che Minus non è un disco per tutti i gusti, è altrettanto vero che questo straordinario impianto di melodia, allucinazioni, fremente tensione e fragilità emotiva potrà diventare per molti una sorta di istant classic, da consumare senza soluzione di continuità per molto, molto tempo. Come una bella donna il cui fascino complicato e respingente vi fa perdere letteralmente la testa, così Minus sa ammaliare con trame complesse, tortuose deviazioni, particolari apparentemente astrusi e ombrosi ristagni. Tanto che ci sentiamo di suggerirvelo come uno dei dischi più emozionanti di questo 2018.

VOTO: 9





Blackswan, giovedì 31/05/2018

mercoledì 30 maggio 2018

PREVIEW


Uno dei più esaltanti debutti rock’n’roll/soul da molti anni a questa parte, l’album è arrivato all’attenzione dello staff di Heavenly Recordings, che se ne è perdutamente innamorato, a seguito della sua pubblicazione originale nell’autunno del 2017 per l’acclamata etichetta californiana Burger Records, che ha in scuderia artisti come Shannon & The Clams, The Oh Sees, The Black Lips e Ty Segall, fra gli altri, ed è famosa per le sue pubblicazioni esclusive in musicassetta.
Nata e cresciuta nella Georgia rurale nella fattoria di sua madre, da adolescente ha trovato rifugio nella pur esigua collezioni di dischi sempre della madre, che comprendeva cose di Donovan, Peter Paul & Mary e The Monkees.
Talentuosa pubblicitaria, illustratrice e coreografa, si è trasferita ad Atlanta, incontrando lì Randy Michael e Jonah Swilley nel 2014 e iniziando a scrivere musica che avrebbe poi costituito la base dell’album di debutto, scritto e registrato in nove mesi.
Influenzato da artisti come Screamin’ Jay Hawkins, Andre 3000, Marc Bolan, Sister Rosetta Tharpe, le Staple Singers e Jack White, il processo di scrittura è stato semplice; Michael e Swilley hanno fornito le composizioni strumentali e le hanno consegnate a Mattiel, la quale vi ha costruito sopra testi e melodie.
Infine, dopo aver fatto da supporto a Jack White in alcune date statunitensi, è ora in Europa per una serie di concerti, tra cui uno sold-out al Lexington di Londra.





Blackswan, mercoledì 30/05/2018

martedì 29 maggio 2018

ROBERT HARRIS - MONACO (Mondadori, 2018)

Settembre 1938. Hugh Legat è uno degli astri nascenti del Servizio diplomatico britannico e lavora al numero 10 di Downing Street come segretario particolare de l primo ministro, Neville Chamberlain. L’aristocratico Paul von Hartmann fa part e dello staff del ministero degli Esteri tedesco ed è in segreto un membro della cospirazione anti-Hitler.
I due uomini, che si erano conosciuti e frequentati a Oxford, non si sono più vi sti né sentiti per sei anni, fino al giorno in cui le loro strade si incrociano nuovamente in circostanze drammatiche in occasione della Conferenza di Monaco, u n momento cruciale che definirà il futuro dell’Europa.
Entrambi si ritroveranno di fronte a un grave dilemma: quando sei messo alle strette e il rischio è troppo alto, chi decidi di tradire? I tuoi amici, la tua famiglia, il tuo paese o la tua coscienza?
Nella tradizione di Fatherland, che ha reso famoso Robert Harris in tutto il mondo, Monaco è un romanzo di spionaggio basato sui fatti reali che hanno cambiato il corso della storia, che parla di tradimento, coscienza e lealtà ed è ricco di dettagli e figure chiave dell’epoca - Hitler, Chamberlain, Mussolini, Daladier -, raccontati in maniera vivida e cinematografica.

L’idea di scrivere un romanzo sulla conferenza e l’accordo di Monaco (1938), nasce trent’anni fa, quando Robert Harris curò per la BBC il documentario God Bless You, Mr. Chamberlain, che aveva lo scopo di ricostruire dettagliatamente quell’evento, allo scoccare del suo cinquantesimo anniversario. E’ questo importante episodio storico, infatti, lo spunto e il corpo centrale di Monaco, un libro che, pur romanzando i fatti, si propone soprattutto di fare luce sugli avvenimenti immediatamente precedenti lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Corre l’anno 1938, e Hitler, che scalpita per espandere l’egemonia tedesca verso l’est dell’Europa, dopo aver annesso l’Austria, minaccia di invadere la Cecoslovacchia, allo scopo di conglobare i territori dei Sudeti, la cui popolazione è prevalentemente di lingua germanica. Il primo ministro Chamberlain, per scongiurare la guerra (Francia e Inghilterra sarebbero dovute intervenire a fianco della Cecoslavacchia), grazie ai buoni offici di Mussolini, riesce a organizzare un incontro a Monaco fra i Capi di Stato interessati, allo scopo di firmare un trattato che preveda un’annessione pacifica alla Germania dei territori oggetto di disputa.
Il trattato sarà firmato, ma passerà alla storia come esempio della nefasta politica di "appeasement" (riappacificazione), che consentì alla Germania di rinforzarsi territorialmente e militarmente, e di acquisire la sicurezza necessaria per l'implementazione dei propri successivi piani di conquista militare. Un apparente successo diplomatico, ma in realtà una grave sconfitta strategica, che fece dire a Winston Churchill (che di li a breve sostituirà Chamberlain, gravemente malato): “Dovevate scegliere tra la guerra ed il disonore. Avete scelto il disonore e avrete la guerra.”
Robert Harris, da studioso preparato qual è, costruisce un romanzo dai tempi dilatati, che centra maggiormente la propria attenzione sull’avvenimento storico, raccontando con dovizia di particolari, il susseguirsi, anche convulso, dei fatti che portarono alla conferenza di Monaco, e lo svolgimento di quei due giorni di febbricitanti trattative che riuscirono, seppur temporaneamente, a procrastinare un conflitto che, successivamente, avrebbe devastato il cuore dell’Europa. La narrazione di fantasia, quella più prettamente legata al genere thriller è, invece, marginale: non ci sono grandi colpi di scena, e anche le figure dei due protagonisti, Hugh Legat e Paul von Hartmann, hanno poca profondità e sono tratteggiate senza adeguata attenzione allo spessore psicologico. La lettura, tuttavia, resta piacevolissima e sono molti i passaggi che suscitano interesse soprattutto in quei lettori più affascinati dalla Storia che dall’azione.


Blackswan, martedì 29/05/2018

lunedì 28 maggio 2018

IL MEGLIO DEL PEGGIO





Che Luigi Di Maio e Matteo Salvini vengano dipinti dalla stampa estera come il dottor Peste e dottor Colera fa un po' inarcare il sopracciglio. Tanto più se l'Italia sia stata metaforicamente rappresentata da un'ape car, il cui guidatore fa il gesto dell'ombrello mentre si lancia da un burrone. Che piaccia o no ai nostri amici europei ed europeisti di ogni ordine e grado, Lega e Movimento 5 Stelle sono stati premiati dal consenso popolare con regolari elezioni, e se l'adagio latino "vox populi, vox Dei" ha ancora un significato, i Financial Times, gli Economist, i Frankfurter Allegemeine e tutti i detrattori del caso, se ne facciano una ragione. Ognuno per sé e Dio per tutti, verrebbe da dire. Ma il punto non è se un perfetto sconosciuto come il Premier incaricato, Giuseppe Conte, abbia "abbellito" il curriculum, prenda il taxi per recarsi al Quirinale o non abbia pagato il tesseramento al circolo dei Canottieri Aniene di Roma, notizia quest'ultima smentita dal sito Dagospia con tanto di scuse. Il vero focus della discussione è la paura di un cambiamento epocale, di una "primavera italiana" che fa tremare le vene ai polsi a tutti coloro che della conservazione hanno fatto la propria cifra stilistica. A cominciare dall'establishment, per finire a una classe politica ormai in avanzato stato di decomposizione. C'è voluta un'elezione per rivitalizzare gli animi sopiti. Persino il taciturno Mattarella pare essersi improvvisamente rianimato dal torpore acquiescente con cui ha accompagnato il "pontificato" di Sua Maestà Matteo da Rignano. Il nostro Presidente della Repubblica, da europeista irriducibile qual è, da una fase di proverbiale bonomia è divenuto improvvisamente un ciarliero bastian contrario. Il casus belli è la nomina del ministro Paolo Savona al dicastero dell'Economia. Tanto rumore perchè il candidato si è "permesso" di esprimere qualche perplessità sull'attuale concetto di Unione Europea, prediligendo la via di una discussione chiara con gli interlocutori europei e depurata dalla retorica pelosa che ha caratterizzato gli ultimi governi. La partita è tesa e il governo appeso a un filo. Intanto, prima di agitare inutili spettri, giudichiamo chi si appresta a governare dalle azioni. Il resto è aria fritta.

Cleopatra, lunedì 28/05/2018

domenica 27 maggio 2018

PREVIEW





La band alt-country dei Jayhawks ha annunciato la realizzazione del decimo album in studio. Il disco, che uscirà via Legacy Recordings, si intitolerà Back Roads And Abandoned Motels, e sarà disponibile nei negozi e sulle piattaforme digitali a partire dal 13 di luglio. Dopo la defezione (provvisoria?) di Mark Olson, la band delle Twin Cities è ora composta da Marc Perlman (basso), Tim O’reagan (batteria), Karen Grotberg (tastiere), John Jackson (mandolino, violino e chitarra) e, ovviamente, Gary Louris (voce e chitarra). Ed è proprio al frontman Gary Louris che si deve il materiale contenuto nel nuovo full lenght: due canzoni scritte per l’occasione, Carry You To Safety e Leaving Detroit, e altre invece, scritte in condominio con diversi artisti (Dixie Chicks, Jakob Dylan, Ari Hest, Scott Thomas, Emerson Hart e Carrie Rodriguez) e provenienti da diversi precedenti progetti. Il disco è stato prodotto da Gary Louris, John Jackson e Ad Ackerson ed è stato registrato nei Flowers Studios di Minneapolis. In rete circola da qualche giorno il primo singolo tratto dall’album, Everybody Knows.





Blackswan, domenica 27/05/2018

sabato 26 maggio 2018

RITA COOLIDGE -SAFE IN THE ARMS OF TIME (Blue Élan Records,2018)

A settantatre anni appena compiuti, Rita Coolidge è quella che si può definire una sorta di leggenda vivente. Quasi cinquant’anni di carriera, più di trenta dischi pubblicati, due Grammy Award vinti in coppia con l’ex marito Kris Kristofferson, la voce prestata ad alcuni dei dischi più seminali della storia (Mad Dogs And Englishmen di Joe Cocker, tanto per citarne uno) e quell’iconico soprannome, Delta Lady, derivatole da una splendida canzone a lei dedicata da John Russell, sono le stigmate di una fama che questo nuovo Safe in  the Arms of Time si appresta a ravvivare.
Registrato presso i Sunset Sound di Los Angeles (gli stessi studi in cui la Coolidge aveva registrato il suo primo, omonimo, album solista, nel lontano 1971), il disco è il primo lavoro scritto dopo la tragica morte, avvenuta nel 2015, dell’amata sorella Priscilla, un evento che ha segnato profondamente la songwriter originaria di Lafayette e che ha ispirato in modo evidente le dodici canzoni in scaletta.  Un coinvolgimento emotivo che trapela anche dalle parole della stessa Coolidge: “I’ve written so many songs assuming a role like an actor, but this time I got to write from experience. This is the best record I’ve ever done. I’m extremely proud of it.”
Per l’occasione, Rita ha coinvolto in fase di scrittura artisti di prima grandezza della scena statunitense (Keb’ Mo’, Stan Lynch, Jill Colucci, Chris Stapleton e Graham Nash), ha chiamato a produrre Ross Hogarth, e si è circondata di una backing band favolosa, composta dal chitarrista Dave Grissom (Joe Ely, John Mellecamp, Allman Brothers, etc.) dal bassista Bob Glaub, da John “J.T.” Thomas alle tastiere, e dal batterista Brian MacLeod.
Da un punto di vista musicale, la formula è quella collaudata da tempo, e cioè un amalgama di folk, country e rock che guarda agli anni ’60 e ’70 e nella quale confluiscono gli echi di un leggendario passato, quello condiviso con stelle di prima grandezza quali Kris Kristofferson, Joe Cocker, Leon Russell, Bob Dylan, Harry Chapin, Eric Clapton e Delaney & Bonnie.
Ecco, allora, che si passa dall’opener Satisfied, malinconica ballata dagli accenti folk-country, in cui Rita ci racconta che la vita è una strada tortuosa (life is a winding road), al rock blues di Doing Fine Without You, composta da Graham Nash e Russ Kankel, alle morbidezze country soul di Walking on Water, scritta e cantata insieme a Keb’ Mo, alla splendida We Are Blood, gioiellino che evoca la stagione d’oro del folk-rock, richiamando alla memoria i CSN&Y, fino a due languide ballate per pianoforte, Van Gogh e You Can Fall In Love, che la Coolidge interpreta con l’inconfondibile, appassionato, timbro vocale.
Safe in  the Arms of Time è, in sostanza, un buon ritorno sulle scene, un disco che ha radici lontane e che suona decisamente vintage, in cui oltre a un filotto di brani prevalentemente riusciti, emergono un indiscusso mestiere e la caratura tecnica di una band che viaggia con il pilota automatico inserito. Forse, mancano un po’ di sangue e di spontaneità, e talvolta affiora qualche eccesso di zucchero, che perdoniamo solo perché compensato dal contrappunto della graffiante chitarra di Grissom. Piccoli difetti che tolgono mezzo punto al giudizio finale ma che, in definitiva, non compromettono un ascolto decisamente piacevole.

VOTO: 6,5





Blackswan, sabato 26/05/2018

venerdì 25 maggio 2018

PREVIEW





Uscirà il primo giorno di giugno la ristampa del mitico The Ballad Of Sally Rose, uno degli episodi più significativi della discografia della singer-songwriter originaria dell’Alabama. Il disco, che vide la luce nel 1985, è una sorta di concept album che racconta le vicende di una cantante di nome "Sally Rose", il cui marito e mentore, un musicista con problemi di alcolismo, muore in un incidente stradale. Le vicende narrate in questa “country opera” sono ispirate al pigmalione artistico che legò la Harris al grande Gram Parsons. L’album, che ricevette una nomination al Grammy Award come miglior disco country dell’anno, verrà stampato su due cd, il primo con la scaletta originale rimasterizzata, il secondo contenente outtakes, inediti e rarità. 





Blackswan, venerdì 25/05/2018

giovedì 24 maggio 2018

THE YOUNG NOPE - SCIAMANO (Nope Records, 2017)

Ci vogliono le palle per intitolare una canzone Rock, perché non è solo una dichiarazione d’intenti, ma è anche farsi portabandiera di un genere, in un paese in cui il rock non sempre ha trovato terreno fertile e interpreti all’altezza. Devi essere incosciente e sfrontato, certo, ma devi essere anche consapevole dei tuoi mezzi, perché stai in equilibrio su una corda tesa e al minimo errore, puoi precipitare nel vuoto.
Così quando partono i tre minuti e ventiquattro di Rock#1, primo singolo tratto da Sciamano, album d’esordio dei teramani The Young Nope, ci si chiede se davvero questi tre ragazzi abbiano le palle per riuscirci. Ci vuole pochissimo, però, per fugare ogni dubbio: riff graffiante, tamburi battenti e tanto sudore. Rock è una signora canzone, una deflagrazione di potenza e giovanile entusiasmo di una band praticamente agli esordi, ma che possiede già talento da vendere. 
The Young Nope è un progetto nato nel 2016 a Teramo, da un'idea di Pier Paolo Tancredi, 18 anni (batteria, percussioni, seconda voce), Pierpaolo Saccomandi, 19 anni (chitarra, voce, sintetizzatori) e Pierluca Dolceamore, 18 anni (basso). All’attivo, finora, un solo Ep, Satellite (maggio 2017) e questo primo, convincente full lenght. Che è spregiudicato e senza compromessi, come è giusto che sia, vista la giovanissima età dei musicisti, ma che è anche ricco di idee e di intuizioni.
Perché di buone canzoni in scaletta, oltre la citata Rock#1, ce ne sono, eccome. La tensione bluesy di Birds, ballata attraversata da un mood notturno e cantata da Saccomandi con una maturità sorprendente, la spiazzante Heroina, gioco a incastro fra le rarefatte atmosfere blues della prima metà e i vertiginosi cambi tempo della seconda, la sferragliante malinconia di Padrone  e le suggestioni psichedeliche dell’ottima Andare Via.
In un paese come il nostro, dominato prevalentemente da artefatti talent show, da un mainstream frusto e stantio e da una scena indie derivativa e  sopravvalutata, i The Young Nope rappresentano una ventata di freschezza e reintroducono un approccio verace alla musica, di cui troppo spesso ci dimentichiamo. Nonostante le inevitabili imperfezioni, che l’esperienza, ne siamo sicuri, emenderà, Sciamano torna a parlare il linguaggio di un rock vibrante e senza compromessi, che piacerà a tutti coloro che amano sopra ogni cosa sincerità e chitarre. Promossi.

VOTO: 7





Blackswan, giovedì 24/05/2018

mercoledì 23 maggio 2018

PREVIEW




I 12 brani dell’album sono spettrali e robusti, spesso definiti dallo spazio tra i suoni. Lanegan & Garwood hanno condiviso il video per “Save Me”, il primo singolo e opening track dell’album e hanno annunciato una serie di date per questo autunno in Europa.
Negli ultimi dieci anni Lanegan e Garwood hanno lavorato insieme all’album Black Pudding nel 2013 e agli album solisti di Lanegan (Garwood ha contribuito a Blues Funeral del 2012, a Gargoyle del 2017 e subito dopo ha partecipato al tour come musicista nella band di Lanegan). La tecnologia li ha sempre aiutati permettendogli di collaborare da punti diversi del globo: Garwood da Londra e Lanegan da Los Angeles.
Negli anni abbiamo registrato insieme o da soli. Questa volta, ho iniziato l’album da solo, con la compagnia di molti animali,” ha detto Garwood. “E’ arrivato come un flusso, mi sono messo al lavoro ed è uscito qualcosa. La nostra musica è istinto, non c’è molto da dire, solo creare. Penso che se sei in pace con il tuo lavoro e lo senti giusto, fluisce facilmente. La musica non è pensata per essere difficile. Però ogni tanto ti può  ridurre in cenere. Fare musica per un cantante, che permetta di vivere con quella canzone, significa colpire l’anima. Non c’è un hit senza una perdita. È un album curativo per noi creatori e anche per gli ascoltatori. Cresce in modo naturale. Noi siamo i giardinieri dei sentimenti sonori.
Se Black Pudding metteva la chitarra lunatica di Garwood al centro del palco, With Animals è costruito con una serie di attrezzi diversi. Analogico e polveroso, suona come se Lanegan e Garwood si fossero rintanati in uno studio di registrazione dei ’60 mentre un’apocalisse impazza fuori. Brani in loop suonano come se fossero stati estratti da There’s A Riot Goin’ On, mentre melodie sparse richiamano il sound dei produttori britannici Burial oppure Boards of Canada.
Le polverose canzoni di With Animals sembra che siano state composte in compagnia di anime notturne. “Nonostante molte di queste canzoni fossero state registrate durante il giorno,” ha detto Duke, “Prima che il sole si alzi troppo…quel sound notturno è sempre lì nel mio cuore. Suppongo sia sempre mezzanotte da qualche parte.”
With Animals sarà disponibile dal 24 agosto su Heavenly Recordings, distribuzione Self.





Blackswan, mercoledì 23/05/2018

martedì 22 maggio 2018

BIRDS OF CHICAGO - LOVE IN WARTIME (Signature Sounds, 2018)

Non sono in molti quelli che sanno rileggere un genere tradizionale come il folk con inventiva e originalità. Tra questi, ci sono sicuramente i Birds Of Chicago, a cui riconosciamo proprio la capacità di uscire dall’ovvio, di scavalcare gli steccati della tradizione, per creare una musica che, pur strettamente connessa alle radici di un suono, è capace anche di (ardite) commistioni che escono dagli schemi.
Originari della Windy City, i Birds Of Chicago sono un duo composto dai coniugi JT Nero and Allison Russell (quest’ultima, originaria di Montreal, già membro della band roots canadese delle Po’Girl), in attività dal 2012 e con all’attivo un EP e tre album, tra cui anche questo nuovo Love In Wartime.
Un titolo che, in combinato disposto con la cover dell’album, esplicita chiaramente quali siano i contenuti della scaletta. L’idea è quella di raccontare la speranza, di contrapporre l’amore alla brutalità dei nostri giorni, trasmettendo ottimismo e sostituendo il linguaggio romantico dei sentimenti alla logica del profitto e alla violenza della guerra.  
Non uno sguardo sofferto sulla società ma una sorta di "kind revolution", quella che antepone, cioè, i fiori e i baci al freddo acciaio dei cannoni. Come si è detto, il punto di partenza è il folk, ma i Birds Of Chicago rileggono la materia attraverso un suono meticcio e ballate elettroacustiche sviluppate attraverso un montaggio alternato fra roots, soul, gospel, rock e pop.
Il disco inizia con Intro: Now/Sunlight, un minuto perfetto in cui banjo, pianoforte e voce, omaggiano le influenze musicali del duo, esplicitandone il retroterra culturale. Poi, si parte per un viaggio sonoro coloratissimo e cangiante. Il funky sbarazzino di Never Go Back è di un’allegrezza irresistibile e si sviluppa attraverso un mid tempo sincopato e l’interplay fra due voci (la Russell canta anche in francese) che si sposano meravigliosamente, un po' come il latte con il cioccolato.
La title track è percorsa da reminiscenze celtiche, che si sviluppano però su un morbido tappeto soul, e si conclude con una coda strumentale, in cui la chitarra elettrica (una grande performance di Joel Schwarzt) diventa protagonista assoluta. Una chiosa vibrante e rock che si deve evidentemente alla mano di Luther Dickinson, ex Black Crowes e leader dei North Mississippi Allstars, qui in veste di produttore. Ed è questo uno degli altri elementi di novità di un disco che, per quanto morbido e leggero, non manca mai di abbandonarsi a qualche incursione elettrica, come nel finale di Lodestar, brano che si sviluppa nell’abbraccio delle due voci, tra tastiere vaporose, un morbido piano e un’acustica in punta di plettro. Pur essendo un disco estremamente omogeneo nel suono, Love In Wartime declina il classico suono americano distaccandosi spesso dalla strada principale, per scegliere percorsi più articolati e meno prevedibili.
Se la dolcissima Super Lover, inno all’amore e vero e proprio antidoto alla paura, all’odio e all’ignoranza che domina il mondo, si muove attraverso un folk millesimato (ma attenzione allo splendido assolo di Schwartz), Travelers libra leggera su un tappeto melodico decisamente pop, mentre in Baton Rouge la Russell lascia il segno con una grandissima prestazione vocale (in francese e in inglese), creando, poi, un’ ulteriore suggestione, sostituendosi all’elettrica di Schwart con un bell’assolo di clarinetto.
Resta da citare l’appassionata Try, in cui i coniugi duettano, sfoggiando due diversi timbri (quello graffiante di JT Nero, quello decisamente soulfull di Allison Russell) su una melodia carica di pathos. Un disco, dunque, dallo sviluppo originale e meravigliosamente suonato, che possiede l’ulteriore merito di raccontare l’amore e trasmettere positività, attraverso un linguaggio sincero e sinceramente romantico. Come un raggio di sole, che attraversa le nuvole di un cielo plumbeo, regalando barbagli di speranza e umanissimo calore.

VOTO: 8





Blackswan, giovedì 22/05/2018 

lunedì 21 maggio 2018

IL MEGLIO DEL PEGGIO




"C'è un certo Silvio Berlusconi che ha un'esperienza di nove anni al governo del Paese, che ha presieduto per tre volte il G7 e il G8 ed è ritornato disponibile...E con la carenza di personaggi che c'è...io sono assolutamente disponibile".
A Roma direbberero: aridaje. Non è passata nemmeno una settimana dalla fatidica riabilitazione politica che già Silvietto mostra segni di insofferenza per la "cosa" giallo-verde. Per il nonnetto di Arcore l'asse Di Maio -Salvini rappresenta, più che un accordo per un possibile governo, una sorta di accozzaglia perlopiù perniciosa. E non soltanto per l'intesa personale che lega i due giovani leader, quanto per la convergenza su alcuni punti del contratto di governo. Roba forte, come la legge sul conflitto di interessi, che se passasse, toglierebbe il sonno al povero Silvietto da poco incappato in un altro rinvio a giudizio per l'accusa di corruzione nell'ambito del procedimento Ruby-ter. Poche frecce nell'arco del Riabilitato e molte nubi all'orizzonte. Lo spauracchio di elezioni sarebbe un calice ben più amaro da bere: l'potesi di superare di poco lo sbarramento del 3% non è poi tanto peregrina e dunque Silvio cova qualcosa. Vedremo quale altro coniglio estrarrà dal cilindro nei prossimi giorni. Se mai si dovesse ritornare alle urne, spero fortemente che gli italiani (non tutti, per fortuna) non siano colti da improvvisa amnesia e tengano bene a mente i 25 anni di interessi privati, di leggi ad personam, di immoralità dilagante, di frodi fiscali, di corruzione e contiguità con la mafia. Se non fossimo in Italia, sarebbe stato sufficiente una bagatella qualunque per accompagnare un simile soggetto fuori dalla porta. Sosteniamo dunque chi si appresta all'arduo compito di governare questo Paese. Ciò che conta è un risveglio della società civile: la restituzione della dignità a un popolo da tempo defraudato non è più differibile.

Cleopatra, lunedì 21/05/2018