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mercoledì 2 maggio 2018

STING & SHAGGY - 44/876 (A&M, 2018)

Shaggy ce l’eravamo un po' dimenticato, abbandonato nelle pieghe del tempo come un cimelio degli anni ’90, che riemerge dall’oblio ogni volta che la radio passa Boombastic. Eppure la sua carriera è proseguita oltre, tra alti e bassi, tra il successo di Hot Shot (2000) e il flop di Clothes Drop (2005) e una comparsata a Sanremo nel 2012 in duetto con la brava Chiara Civello.
Di Sting, invece, sappiamo fin troppo, e molti di noi, con nostalgica ostinazione, hanno relegato la sua figura artistica alla sua lontana militanza coi Police, come se tutto quello che è venuto dopo non contasse nulla (e forse, a parte The Dream Of The Blue Turtles del 1985, è proprio così). Artista sommamente divisivo, Sting ha coltivato negli anni un’idea borghese di pop, spesso impantanato in pretenziose velleità intellettuali, portando molti ex fan a un ostracismo preventivo, culminato in vero e proprio dileggio dopo la sua ultima apparizione a Sanremo (l’imitazione che ne ha fatta Crozza è irresistibile).
Che senso abbia questo disco, quindi, se lo saranno chiesti in molti, vista anche la distanza abissale che separa i due artisti in questione, uniti da un sottile filo, ormai sempre più logoro, intrecciato dal giovanile amore di Sting per la musica giamaicana. Credo di interpretare il pensiero di molti, dicendo che 44/876, fin dal suo concepimento porta le stigmate della cagata dell’anno: improbabile, clamorosamente mainstream, figlio reietto di due artisti che, come si suol dire in questi casi, sono bolliti da tempo.
E invece, incredibile a dirsi, siamo di fronte a un disco riuscito e divertentissimo, un viaggio attraverso condivise sonorità caraibiche rese ancora più uncinanti da innesti pop e arrangiamenti voluttuosi, che rendono il risultato finale assai piacevole. Intendiamoci: i grandi dischi sono tutta un’altra cosa, e di queste canzoni il prossimo anno non ci sarà più alcuna traccia. Eppure, con un approccio scevro da preconcetti (lo stesso che ho dovuto utilizzare io, incredulo con me stesso fin dal momento in cui ho inserito per la prima volta il cd nel lettore), 44/876 suona come un divertito esperimento di cazzeggio estivo, una raccolta di canzoni fresche e leggere, da portarsi sotto l’ombrellone e da consigliare il dj di turno come antidoto all’ennesima esiziale Despacito di ‘sta minchia.
Certo, alcune canzoni del lotto sono totalmente innocue, ma fortunatamente non perniciose, e altre sono state create con gli avanzi recuperati dalle rispettive carriere (Crocked Tree è la riproduzione sincopata fuori tempo massimo di Englishman In New York). Ciò nonostante, il disco funziona alla grande, ed è davvero difficile resistere al guilty pleasure di canticchiare sotto la doccia Don’t Make Me Wait, elegante tormentone reggae pop, To Loved And Be Loved, irresistibile riempipista agostano, o Dreaming In The Usa, solare e divertita canzoncina, che unisce in tre minuti e mezzo reminiscenze Police e il songwriting dello Sting più recente.
Se ai punti vince Shaggy, più a suo agio con le colorate vesti caraibiche, da parte sua, Sting si offre al progetto con umiltà e ritrovata verve, regalando anche una grande canzone, Sad Trombone, che sintetizza con gusto ritmica reggae, arrangiamenti jazzy e melodia.
Se lo si prende per quello che è, cioè un disco senza pretese da ascoltare con gli amici durante la grigliata di un dì di festa, 44/876 fa la sua porca figura. Pop, sole, Giamaica e spensieratezza: summer is coming!

VOTO: 6,5





Blackswan, mercoledì 02/05/2018

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