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martedì 20 ottobre 2020

UK - DANGER MONEY (Polydor, 1979)

 


Gli Uk sono durati il tempo di una folata di vento, tre anni in cui il supergruppo inglese ha rilasciato solo due album in studio e uno dal vivo. Eppure, a dispetto della rapidità con cui il progetto si è dissolto, il lascito della band resta decisamente importante. Nata da una costola dei King Crimson, la band fu fondata dal bassista e cantante John Wetton, dal batterista Bill Bruford e dal tastierista Eddie Jobson, a cui si unì quasi subito il chitarrista Alan Holdsworth, membro fondatore dei Soft Machine e reduce da una collaborazione coi Gong (Gazeuse! Del 1976).

Con questa line up, composta da alcuni dei migliori musicisti di area prog, la band pubblica nel 1978 l’omonimo esordio, che Rolling Stone colloca al trentesimo posto fra i dischi progressive più belli di tutti i tempi. L’album, supportato da un lungo tour, venne accolto bene dalla critica e discretamente dal pubblico, e arrivò a vendere in pochi mesi 250.000 copie, grazie al traino dei singoli Mental Medication e In The Dead Of The Night.

Come spesso accade, però, quando nel pollaio si aggirano troppi galli, il fragile equilibrio interno si rompe quasi subito: Wetton e Holdsworth non si sopportano, il primo è più propenso a virare verso un suono marcatamente radiofonico, il secondo, ha sposato, invece, l’ortodossia complessa di trame jazz rock. Jobson si schiera con Wetton, mentre Bruford dà l’ultimatum: se se ne va Alan, me ne vado anche io. E così fu: ciao Alan e ciao Bill. Il batterista saluta e prende la porta, rivendicando i diritti su alcuni brani che aveva scritto per un eventuale sophomore. Perdita importante, ma non esiziale, visto che alla corte di Wetton arriva Terry Bozzio, un giovane drummer che ha fatto esperienza, e che esperienza, suonando con Frank Zappa.

Vista l’impossibilità di trovare un chitarrista che fosse all’altezza del predecessore, la band riparte come trio e pubblica, nel 1979, Danger Money, album forse meno celebrato e meno redditizio in termini di vendite, ma bello tanto quanto (o forse di più) l’esordio. D’altra parte, ci suonano tre fenomeni, che nonostante la precarietà del progetto, dimostrano un’intesa perfetta e plasmano uno stile coerente e ben definito, un amalgama equilibrato in cui convergono progressive e impatto radiofonico, arrangiamenti complessi e melodie irresistibili, digressioni strumentali e immediatezza pop.

Non è solo tecnica, però: Danger Money è un disco suonato con passione, a volte addirittura travolgente nel suo impeto che lambisce una certa attitudine all’improvvisazione più scapigliata e, talvolta, perfino territori contigui all’ hard rock.

La scaletta si apre con la title track, e inizia un vero e proprio viaggio: le tastiere aliene di Jobson e il drumming di Bozzio, che posticipa la battuta su un tempo quadrato, evocano distanze siderali e spazio profondo. Svisata di hammond e il brano decolla: la voce calda di Wetton, i controtempi di Bozzio, le mille tastiere di Jobson, tiro ansiogeno, ritornello acchiappone. Ulteriore stacco, e siamo di nuovo persi nel cosmo ostile evocato da un synth cupo e marziano, che spinge la canzone verso l’ultimo giro di giostra.

La successiva Randevouz 6:02 abbassa la tensione e mitiga l’ansia, evoca scenari malinconici, marcatamente british, e un’atmosfera plumbea. Le note di piano sembrano sgocciolare come pioggia, le foglie volteggiano nel vento, l’autunno è una sensazione fisica, tangibile, e l’unico conforto arriva dalla voce calda di Wetton, avvolgente come una sciarpa di lana che mitiga lo sferzare del vento.

Un momento più meditabondo, quasi una stasi sentimentale, un grumo nostalgico che viene spazzato via, però, dalla successiva The Only Things She Needs, incedere saltellante, drumming nervoso, tastiere ansiogene e basso potente, per un brano che è tutto un saliscendi, tra accelerazioni adrenaliniche e aperture melodiche accerchiate dai tamburi impazziti di un Bozzio stratosferico.

Apre la seconda facciata Caesar’s Place Blues, il cui incipit è attraversato dagli stessi umori malinconici di Randevouz, disturbati, però, dal violino elettrico di Jobson, vero protagonista di un brano che accelera quasi subito il passo in una corsa irrequieta e concitata, scarmigliata dai ripetuti, folli assoli del tastierista.

La successiva Nothing To Lose è il brano più breve del lotto, canzone radiofonica e di facilissima presa, architrave del Wetton pensiero, che troverà, di lì a breve, forma compiuta nella proposta Aor degli Asia, gruppo che il bassista fonderà con l’amico Steve Howe, all’inizio degli anni ’80 (ricordate Heat Of The Moment?).

Sigilla il disco la conclusiva Carrying No Cross, magistrale esempio di rock sinfonico, vetta della produzione degli Uk e mini suite tra le più riuscite ed emozionanti del decennio. L’immagine dello spazio, utilizzata per raccontare l’iniziale Danger Money, viene nuovamente evocata in apertura di brano: una navicella fluttua alla deriva nel cosmo profondo, gli sfarfallii del synth di Jobson disegnano una volta celeste cupa e minacciosa, mentre la voce arresa e disperata di Wetton suggerisce un senso di tragedia imminente. Si galleggia in balia degli elementi fino a quando la situazione precipita, tra echi King Crimson che anticipano un impetuoso crescendo: è la furia cosmica, una furente pioggia di meteoriti e tamburi battenti, vorticosa e imponente come le tastiere tenebrose e schizoidi di Jobson dalle mille mani, minacciosa come le linee metalliche del basso di Wetton. Un senso di pericolo che si attenua solo nel finale, quando la navicella Uk sembra aver superato la tormenta e si acquieta, nel suo peregrinare senza meta, sul motivo melodico iniziale, questa volta leggermente accarezzato da un sospiro di sollievo.

Chiosa magistrale di un disco splendido, ma anche gran finale di una stagione brevissima e nata fuori tempo massimo (sono gli anni del post punk e della new wave), visto che di lì a poco la band si scioglie, regalando alla storia Night After Night, un ultimo disco live, che celebra il funerale di una band dalla vita breve ma straordinariamente ricca di emozioni. Vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experimentum periculosum, iudicium difficile: "la vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione fuggevole, l'esperimento pericoloso, il giudizio difficile”.

 


 

 

Blackswan, martedì 20/10/2020

2 commenti:

  1. Beh, "The only thing" e "Carrying" da sole valgono tutto il disco! In particolare Bozzio fa scintille!

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  2. @ Gabriele: Concordo! Da Bruford a Bozzio, poi, i batteristi se li sono scelti benissimo ;)

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