Non si prendono sul serio, gli Struts, e mi raccomando, non prendeteli sul serio nemmeno voi. Se no, il rischio è che il gioco finisca subito e che aspettative seriose facciano venir meno il tiro divertentissimo di queste canzoni senza pretesa alcuna se non quello di produrre un surplus di divertimento. Questi quattro ragazzi britannici, di stanza a Derby, diciamolo pure senza troppi giri di parole, sono dei cazzari patentati che si dilettano a giocare con il rock’n’roll, sfoggiando abiti glamour al limite del pacchiano, sfornando melodie a presa rapidissima e insufflando le loro canzoni di ariose e azzeccate citazioni che pescano a destra e a manca, bisogna ammetterlo, con irriverente intelligenza.
Niente di nuovo sul fronte occidentale, dunque, niente che non si sia già sentito centinaia di volte, ma un recupero passatista talmente sfacciato e divertito da riuscire a far centro al primo colpo. Così, alla terza prova in studio, gli Struts sfornano anche il loro disco migliore, quello che più dei due, comunque apprezzabili, predecessori, riesce a esprimere la grande forza propulsiva di questo rock’and’roll senza pretese e ad alto tasso energetico.
Il disco, registrato in soli dieci giorni a Los Angeles, ha visto poi, come ciliegina sulla torta, anche la presenza di un pugno di ospiti di altissimo livello, che hanno dato ulteriore nerbo alle dieci canzoni in scaletta (Robbie Williams, Albert Hammond Jr, Tom Morello, Phil Collen e Joe Elliott dei Def Leppard). Un cocktail riuscito di glam rock, garage, canzoni da stadio, hard rock melodico, che cita senza scrupoli tutti i numi tutelari della band, dagli Slade ai Kinks, dai Queen agli Stones, dagli Aerosmith ai Darkness, senza dimenticarsi spiccioli di brit pop, che pescano da Oasis e Supergrass.
Cosa che avviene, a esempio, nella title track, posta a inizio disco e figlia di un azzeccato duetto con una star di prima grandezza come Robbie Williams. Un brano melodico e irresistibile che traina il resto della scaletta composta da un filotto di canzoni, a volte magari un po' cafone e sopra le righe, ma sempre azzeccate. All Dress Up, parte in sgommata con un riff stonesiano al midollo, cosa che succede anche nella lunga Cool, in cui il vocalist Luke Spiller veste i panni del Mick Jagger de’ noartri; Wild Child, con Tom Morello ospite alla chitarra, mostra i muscoli e sfodera un ghigno hard blues degno degli Aerosmith più duri, Burn It Down è una ruvida ballata che evoca i Black Crowes, mentre Can’t Sleep, addirittura, ruba il drumming di Lust For Life di Iggy Pop. Tutto imbellettato di fresco, ma tutto già sentito. Eppure, il giudizio resta positivo anche quando gli Struts si avventurano in una cover pacchiana ed esagerata di Do You Love Me, classico dei classici targato Kiss.
I capolavori sono altri, ovvio, ma non sottovalutate il piacere di ascoltare dischi come Strange Days: alzate il volume dello stereo a palla e godetevi quarantacinque minuti di semplice e sano rock’n’ roll: male non fa, e il rischio è che finisca pure per piacervi tanto da metterlo in loop quando si potrà tornare a far festa con gli amici.
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 14/01/2021
ma è bruttissima...persino robbie sembra un cantante vero vicino a questi accattoni
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