Non
è inusuale, nel mondo del rock, trovare artisti che usano costumi di
scena per presentarsi al pubblico, creando così anche una diretta
connessione tra musica e teatralità. Nello stesso ambito, invece,
l'anonimato è un fenomeno insolito. Dopotutto, quella del musicista è
sicuramente una delle vocazioni più esposte mediaticamente, e la
visibilità, si sa, procura fama e, di conseguenza, parecchi vantaggi.
Tuttavia, esistono casi, anche se rari, in cui l'identità di un artista,
anche di successo, resta totalmente sconosciuta: vengono in mente, per
citarne un paio, i Ghost, che usano nomi d’arte, o gli Sleep Token, il
cui leader è noto solo con il moniker di Vessel. Ed è il caso, in parte,
anche dei Sermon, duo britannico, la cui mente pensante, cantante e
polistrumentista si presenta al pubblico con il volto celato da una
maschera e si fa chiamare semplicemente Him (l’altro membro è il
batterista James Stewart).
Il loro debutto del 2019, intitolato Birth of the Marvelous,
pur non essendo stato un successo commerciale, aveva comunque attirato
l’attenzione della critica specializzata, che vedeva nella band uno
straordinario potenziale, tanto da accostarla a gruppi di altissimo
profilo quali Tool e Soen.
Questo nuovo In Of Golden Verse
non solo conferma tutte le belle parole che erano state spese quattro
anni fa, ma sancisce un ulteriore passo in avanti a livello di
songwriting e produzione. I Sermon, infatti, rifiniscono il loro stile
attraverso dieci canzoni in cui una sferragliante inclinazione metal, ai
limiti del tribalismo, si sposa a una scrittura complessa, che lambisce
territori progressive immersi in una visione cupa e malinconica.
L’ossatura dei brani è data dal drumming muscolare e feroce di Stewart,
intorno al quale si avviluppano riff di chitarra circolari e taglienti, e
melodie di facile presa, ma sempre declinate in una penombra
crepuscolare. Su questo impianto musicale, svetta il cantato di Him,
sempre pulito, talvolta gridato, la cui intonazione è spesso salmodiante
o cantilenante, proprio come se il cantato fosse una sorta di sermone
declamato da un oscuro messia. Come dicevano, la batteria ha un ruolo
centrale nelle canzoni dei Sermon, è lo strumento che regge la struttura
e segna pesantemente il mood dei brani: arrembante nell’inquieta e
oscura "Light the Witch", foriera di esiziali presagi nel sopravanzare tempestoso della minacciosa "Royal", convulsa e travolgente nel blastbeat della conclusiva "Departure".
Tuttavia, i Sermon non sarebbero quello che sono senza Him, la cui voce ha acquisito, rispetto a quattro anni fa, un ulteriore spessore, che riesce ad abbracciare diversi registri, dal carezzevole al rabbioso e al diabolicamente aspro. Se voce e batteria sono i protagonisti principali, e altrettanto vero che il lavoro di chitarra di Him, pur non essendo appariscente, è perfettamente funzionale alle composizioni, spostando di volta in volta il centro di gravità da riff pesanti e ribassati, tremolo minacciosi e lick orecchiabili.
A fianco di brani di brani furiosi come "Wake The Silent", tutta riff roventi e drumming inesorabile, in scaletta compaiono, però, anche brani decisamente più morbidi, come le brevi "In Black" e "Centre", la prima sulfurea, la seconda trasognata, o la lunga e atmosferica "Senescence", in cui i Sermon dimostrano di saperci fare anche quando rinfoderano le armi per addentrarsi in paesaggi dominati da mestizia e malinconia, che evocano alla mente gli svedesi Katatonia. Resta da citare la stellare "The Distance", ipnotizzante nel suo crescendo perversamente malevolo, come nella miglior tradizione Tool, vetta di un album dinamico e brillantemente prodotto, decisamente uno dei dischi prog metal, e ce ne sono già tanti, meglio riusciti del 2023. Tanto che non è assolutamente peregrino immaginare che Of Golden Verse finisca nelle top ten di fine anno di svariate testate metal.
VOTO: 8
GENERE: Progressive Metal
Blackswan, giovedì 01/06/2023
Cupi e cattivi, molto molto interessanti
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