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martedì 7 gennaio 2025

Fleetwood Mac - Mirage Tour '82 (Warner, 2024)

 


Dopo un disco più sperimentale come Tusk e il successo commerciale di Bella Donna (1981), primo album solista della cantante Stevie Nicks, i Fleetwood Mac, guidati dal produttore Ken Caillat, se ne vanno in Francia, per registrare presso gli studi Le Château di Hérouville, quello che sarà il loro tredicesimo album in studio. L’idea è di rinverdire i fasti commerciali di Rumours (1977), percorrendone le stesse coordinate sonore, ed evitando l’approccio più cerebrale e complesso del disco precedente. Il livello di ispirazione non è più lo stesso, però, e Nicks e Buckingham vivono apertamente una rivalità, anche artistica, che li porta spesso a litigare e a fare i capricci come bambini viziati, perché negli studi, dove soggiornano, viene servito cibo che ritengono inadeguato e  manca la televisione.

In questo clima non proprio idilliaco, viene concepito Mirage, un disco meno centrato dei due predecessori, ma capace comunque di lanciare sul mercato un filotto di singoli ("Hold Me", "Gipsy", "Oh Diane", "Love In Store" e "Can’t Go Back") che fanno dell’album il quarto multi platino consecutivo della band e il loro terzo numero uno negli States, non raggiungendo, tuttavia, gli stessi risultati in Inghilterra, dove mancano la prima piazza, arrestandosi alla quinta posizione.

Nel settembre 1982, a supporto di Mirage, i Fleetwood Mac intrapresero un tour di trentuno date attraverso diverse città degli Stati Uniti, tra cui due (entrambe sold out) al Forum di Los Angeles (21 e 22 ottobre), le cui migliori esecuzioni sono racchiuse in questo live per creare un’unica, e riuscitissima, esperienza di concerto.

Questa collezione live, composta da ventidue tracce, presenta sei registrazioni inedite dello spettacolo del 21 ottobre 1982, tra cui classici come "Landslide", "Don't Stop" e "Never Going Back Again". Le altre canzoni sono state registrate durante lo spettacolo del 22 ottobre e sono apparse in varie uscite nel corso degli anni, tra cui Live Super Deluxe Edition (2021), Mirage Super Deluxe Edition (2016) e il video del concerto del 1983 Mirage Live.

Se in studio la convivenza tra i cinque era spesso burrascosa, è altrettanto vero che la band dal vivo viaggia ad altezze vertiginose. Erano anni in cui Mick Fleetwood, John McVie, Christine McVie, Lindsey Buckingham e Stevie Nicks vivevano all'apice della loro potenza collettiva, e in questo live è del tutto evidente la carica travolgente dei Fleetwood Mac nell’affrontare vecchi e nuovi successi.

 

Il disco inizia con un filotto di canzoni da far girare la testa: "Second Hands News", una scorbutica e ringhiante "The Chain", l’innodica "Don’t Stop" e l’oscura e sensuale "Dreams", in cui la Nicks dà vita alla consueta prova vocale da brividi. 

La successiva "Oh Well" è un omaggio ai Fleetwood Mac di Peter Green, e i quattro minuti della canzone sono interpretati con una furia elettrica dagli effluvi acidi che lascia senza fiato. E non è da meno "Rhiannon", spogliata di ogni delicatezza pop e resa in una versione ruvida, graffiante, in cui la Nicks strattona il testo con un’interpretazione in crescendo roca e collerica, che trova perfetto contrappunto nella chitarra acuminata di Buckingham.

Splendide anche la malinconica "Brown Eyes" da Tusk, che vede la McVie sugli scudi, i due gioiellini melodici tratti dal nuovo Mirage ("Gipsy" e "Love In Store") e una torrenziale "Not That Funny" (da Tusk), rock acido e metropolitano, chiuso da una lunga coda strumentale.

Non è da meno il secondo disco, che si apre con l’allegrezza acustica di "Never Going Back Again" e con un gioiello senza tempo come "Landslide", cantata dalla Nicks con un’intensità che sbriciola il cuore. Non posso mancare, ovviamente, hit come la delicata "Sara", la travolgente "Go Your Own Way", una chilometrica e sferragliante "Sisters of The Moon" (ennesima, intensa interpretazione della Nicks) e la chiosa, lasciata come di consueto, ai tre minuti struggenti di "Songbird", immenso lascito della compianta Christine McVie.

Mirage Tour 1982 è l’ennesimo live dei Fleetwood Mac che merita di essere inserito fra le cose migliori della band, e che, come era successo con il precedente Rumours Live (2023), svela l’anima rock di una band che in quegli anni, dal vivo, era una vera e propria macchina da guerra. Sono in tal senso chiarissime le note di copertina del giornalista musicale Bill DeMain che definisce la raccolta "un ascolto avvincente e il ricordo di un'epoca in cui gli spettacoli rock erano piattaforme per espandere e reinventare canzoni per il palco, per lasciarle respirare, per scatenare lati diversi e più selvaggi di una band".

Voto: 8

Genere: Live, Rock, Pop

 


 

 

Blackswan, martedì 07/01/2025

lunedì 6 gennaio 2025

Polly - Nirvana (Geffen, 1991)

 


Una canzone dura, traboccante di dolore, la cui estetica scarna e sofferta colpisce come un punteruolo il centro preciso dell’anima.  Una canzone tanto intensa, che Bob Dylan, dopo averla ascoltata, esclamò a proposito di Kurt Cobain: “Quel ragazzo ha cuore!”. Polly, poi, commosse alle lacrime anche Bruce Pavitt, co-proprietario della Sub Pop Records (all'epoca l'etichetta dei Nirvana), che dopo averla ascoltata dal vivo disse: "È totalmente rabbiosa e ipnotica. Ti fa entrare in trance. È una delle cose che rende i concerti dei Nirvana incredibili”.  

D’altra parte, è impossibile non emozionarsi profondamente per questa canzone che racconta del vero rapimento e dello stupro di una ragazzina di quattordici anni.

Nel 1987, questa giovane donna, il cui nome non fu mai reso pubblico dagli inquirenti e dalla stampa, stava tornando da un concerto visto a Tacoma, nello stato di Washington, quando fu rapita da un uomo di nome Gerald Friend. L’uomo la condusse nella sua casa mobile, dove la violentò ripetutamente mentre era legata a una carrucola sospesa al soffitto, torturandola con una frusta, un rasoio e una fiamma ossidrica. Fortuna volle che, quando Friend la portò in auto a fare un giro, con l’intento probabile di ucciderla ed occultarne il corpo, la ragazza riuscì a liberarsi e scappare. Successivamente, il violentatore, che aveva già dei precedenti penali per un reato simile commesso nel 1960, fu individuato, arrestato e condannato a settantacinque anni di reclusione.  

La versione di Polly che conosciamo, e che finì su Nevermind, fu registrata a Madison, in Wisconsin, nello studio di proprietà del produttore, Butch Vig. Queste sessioni di registrazione ebbero luogo nell'aprile del 1990, ma solo Polly fu inclusa nella sua interezza nell’album, mentre gli altri brani furono completati successivamente ai Sound City Studios di Van Nuys, California, nell'aprile 1991.

Il batterista che suona nel brano non è Dave Grohl, ma Chad Channing, che aveva militato con la band dal 1988 al 1990. Channing fu messo a suonare in una specie di sgabuzzino, un deposito degli strumenti che venivano utilizzati durante le registrazioni, e gli venne chiesto di essere il più scarno possibile, di non dare ritmo ma semplicemente di porre degli accenti nei punti in cui gli veniva chiesto, in modo da consentire alla tensione emotiva di prendere forma attraverso la voce di Cobain.  

C'è un punto nella canzone in cui Cobain canta solo "Polly said..." prima di fare una pausa e ricominciare da capo. Questo passaggio non fu voluto, si trattò di un errore del cantante, che tuttavia piacque alla band e al team di registrazione, che decisero di non ritoccarlo. Polly è anche il classico esempio di come Cobain amasse scrivere attraverso il punto di vista di un’altra persona, e anche se i suoi testi sembrano sempre molto personali, il cantante spesso si immedesimava in altri, perché riteneva che la sua vita fosse molto noiosa e non interessasse a nessuno.

L’anno dopo la pubblicazione di Polly, un’altra giovane ragazza fu stuprata da due degenerati, che accompagnarono la violenza alle note della canzone. Questo episodio colpì profondamente sia Cobain che il resto della band, che, da quel momento in avanti, suonarono in alcuni spettacoli di beneficenza per aiutare le vittime di stupro, incluso il concerto "Rock Against Rape" del 1993, che raccolse fondi per un'organizzazione di autodifesa femminile.

 


 

 

Blackswan, lunedì 06/01/2025

venerdì 3 gennaio 2025

Tears For Fears - Songs For A Nervous Planet (Concord Records, 2024)

 


Tanta nostalgia, ovviamente, ma non solo. Anche molta curiosità. Ascoltare questo live dei Tears For Fears è decisamente un bel balzo indietro nel tempo, ma è anche un modo per riascoltarli dal vivo su supporto dopo quasi vent’anni (l’ultima prova live, uscita in dvd, Secret World, risale al 2005) e un modo per capire lo stato di forma di una band che si è ritrovata, dopo uno iato lunghissimo, pubblicando un disco meraviglioso come The Tipping Point (2022).

Non solo. Songs For A Nervous Planet contiene anche quattro inediti che permettono di saggiare il livello d’ispirazione del duo, che ha ritrovato le giuste motivazioni e, soprattutto, la voglia di stare insieme senza scannarsi. Ad aprire le danze ci sono proprio le nuove canzoni, la prima delle quali, "Say Goodbye To Mum And Dad" è un gradino sotto, per qualità, al materiale contenuto in The Tipping Point: una brano leggerissimo, solare, la cui melodia, però, risulta un po’ troppo banalotta. Molto meglio "The Girl That I Called Home", il cui inizio fa pensare a "San Jacinto" di Peter Gabriel, e che è attraversata da un vellutato languore nostalgico, in linea con le migliori melodie create dal duo. Buona anche "Emily Said", scintillante bigiotteria beatlesiana, apprezzabile per i lussureggianti arrangiamenti, e cartina di tornasole su quella che è da sempre una delle principali fonti d’ispirazione dei Tears For Fears. Chiude il filotto di brani originali "Astronaut", una ballata delicata e lineare, che conquista per la dolce melodia, pur senza stupire più di tanto.  

Da questo momento in poi inizia il live (tra l’altro il primo live ufficiale del gruppo pubblicato su cd e vinile), tratto da uno spettacolo tenutosi nel luglio 2023 a Franklin, nel Tennessee. Il primo disco ci sono ben quattro canzoni tratte da The Tipping Point ("No Small Thing", "Tipping Point", "Break The Man", "Long Long Time"), intervallate dalla leggerezza melodica di "Secret World" (tratta dal penultimo Everybody Loves An Happy Ending) e da due pezzi da novanta come "Everybody Wants To Rule The World" e "Sowing The Seeds Of Love", la canzone più beatlesiana e politica del duo.

E’ da subito evidente il ritrovato affiatamento tra Orzabal e Smith, la classe e l’eleganza espressiva, il mestiere e la tecnica di una backing band sincronizzata al secondo.

Il secondo disco, se si eccettuano "My Demons" e la struggente "River Of Mercy" (entrambe prese dall’ultimo lavoro in studio), è un vero e proprio best of della band, che inanella un filotto di grandi classici per la gioia dei fan della prima ora. E inevitabilmente una lacrimuccia di nostalgia riga il viso non appena parte "Mad World", fedelissima all’originale, così come la superba "Woman In Chains" (con Lauren Evans alla voce).

Altri brani, invece, sono arrangiati diversamente: "Suffer The Children" è eseguita per pianoforte e voce, è lenta e struggente, "Badman’s Song", straordinario esempio di come pop e blues possono convivere con risultati eccellenti, è allungata di un paio di minuti rispetto alla versione di "Seeds Of Love", "Change" subisce un maquillage più dance grazie a suoni moderni (ma un po’ tamarri) così come l’immensa "Shout", resa leggermente più cupa rispetto all’originale. In scaletta, anche "Pale Shelter" (sempre palpitante), "Break It Down Again" e "Head Over Heels", qui proposta con la coda "Broken", per un live non solo tecnicamente impeccabile, ma decisamente appassionante per chi ha amato la band fin dal lontano esordio, The Hurting, datato 1983.

Unica pecca del disco, ma è un’opinione del tutto personale, è il lavoro in fase di post produzione che ha quasi del tutto azzerato l’interazione con il pubblico: mancano le urla di gioia, manca il singalong ("Shout" inizia con il ritornello cantato in coro dalla gente, ma bisogna davvero aguzzare l’udito per accorgersene), insomma, manca la festa. Peccato.

Voto: 7,5

Genere: Live, Pop, Rock 




Blackswan, venerdì 03/01/2025

giovedì 2 gennaio 2025

James Patterson - Ricorda Maggie Rose (Tea, 2024)

 


 

Alex Cross è un detective e uno psicologo criminale. E' nero. Ama il suo lavoro e i bambini. Vive a Washington. Jezzie Flanagan è la prima donna a ricoprire la carica di supervisore dei Servizi Segreti. E' bella, distante, misteriosa. Gary Soneji insegna matematica in una scuola esclusiva della capitale. Quando senza motivo apparente, rapisce sotto il naso di due agenti dell'FBI Maggie Rose, la figlia di una famosa stella del cinema, e Michael Goldberg, il figlio del Ministro del Tesoro, molti si stupiscono della sua abilità. Lui no. L'ha già fatto. L'ha già fatto molte volte. Solo Alex e Jezzie hanno gli strumenti per capire qual è lo scopo che muove Soneji.

 

Quello di James Patterson è un nome notissimo agli amanti del thriller americano, avendo lo scrittore originario di Newburgh pubblicato nella sua lunga carriera decine e decine di romanzi (ha venduto complessivamente più di quattrocento milioni di volumi), e creato alcuni personaggi di successo, il più celebre dei quali è Alex Cross. Questo Ricorda Maggie Rose è il primo della serie dedicata al poliziotto-psicologo, e risale al 1993, anno in cui fu pubblicato in Italia per la prima volta sotto l’egida Longanesi. Il romanzo è stato di recente ristampato sull’onda lunga del successo della serie tv Amazon dedicata a Cross, personaggio interpretato dal convincente Aldis Hodge, perfettamente a suo agio nei panni dell’integerrimo profiler.

Il romanzo, inoltre, è noto, perché nel 2001 è stato oggetto di trasposizione cinematografica con il titolo di Nella Morsa Del Ragno, pellicola diretta da Lee Tamahori e interpretata dal grande Morgan Freeman e dalla conturbante Monica Potter. Un film che molti dei nostri lettori avranno senz’altro visto, ma che si discosta, nella sceneggiatura adattata al grande schermo, da quella che è la trama, decisamente più complessa, del romanzo.

L’essenza è, più o meno, la stessa, ma anche avendo visto il film, il romanzo di Patterson riserva più di una sorpresa (uno sviluppo più intricato, nuovi personaggi, un finale diverso). Che Patterson sia un mago del genere è oggi cosa nota, ma lo era anche nel 1993, ai tempi della pubblicazione del romanzo, che gli diede fama internazionale. Se è vero che i ritmi non sono propriamente adrenalinici, e che lo scrittore si prende tempo per esplorare la psiche dei suoi personaggi (come quella complessa e sfaccettata dello spietato Gary Soneji, anima nera dalla doppia personalità) e tratteggiare la nascente storia d’amore tra Cross e la fascinosa Jezzie Flanagan, agente dei servizi segreti in carriera, non mancano, tuttavia, continui colpi di scena, che porteranno l’agente di polizia a risolvere il mistero della scomparsa di Maggie Rose, fino a un redde rationem doloroso e carico di pathos.

La scrittura è di livello superiore a quella che normalmente il genere richiede, i protagonisti hanno spessore psicologico, la musica che contorna la vicenda (tante le citazioni) è di livello, e l’intrigo è di quelli che risucchiano, tanto da arrivare in un fiato alla fine di quattrocento pagine, tutte palpitanti.

 

Blackswan, giovedì 02/01/2025