Pagine

lunedì 27 febbraio 2012

FUNERAL BLUES

Il post, lo premetto, potrebbe apparire un po’ lugubre. Vi assicuro, tuttavia, che mi sono divertito non poco a scriverlo, convinto che se certi pensieri vanno sulla carta accompagnati da una buona dose di (auto)ironia, il risultato finale avrà le fattezze di un gesto scaramantico i cui effetti benefici si riverbereranno anche su tutti voi. D’altra parte, è inevitabile che chiunque prima o poi, nel corso dell’esistenza, si sia domandato come sarà l’ultima ora, il momento esatto in cui tirerà le cuoia e andrà a mangiare,  a tempo indeterminato, l’insalata dalle radici ( a proposito di noia del posto fisso ). A me succede. Non tanto spesso a dire il vero, ma talvolta la domanda da un milione di dollari spunta inevitabilmente fra i miei pensieri da cazzeggio filosofico. Ultimamente, anche con una certa frequenza, dal momento che la mia squadraccia del cuore si esprime con esibizioni pedatorie che inducono continui attacchi di panico e malevoli accessi tachicardici ( e le mie coronarie non ringraziano certo ). Se fosse possibile, vorrei poter scegliere come, o quanto meno dove,  rendere l’anima a Dio ( al quando nemmeno ci penso ). E anche se questa in realtà è l’unica cosa sulla quale difficilmente possiamo fare previsioni azzeccate, amo prefigurare per me stesso lo scenario molto Sturm Und Drang ( inteso come movimento letterario tedesco di fine ‘700, niente cose filonaziste ) di un mare che ruggisce sotto un cielo incerto e carico di presagi, di un vento di salsedine che mi schiaffeggia il volto, di una paglia fra le dita, possibilmente farcita, e di un ultimo Jack Daniel’s, servito senza ghiaccio, of course. Magari sarà davvero così, non so se potrò deciderlo. Quello che invece vorrei organizzare bene è un funerale in grazia di Dio ( o del demonio, vallo a sapere ). In primo luogo perché ci tengo a non avere preti fra i coglioni, angeli e puttini che svolazzano sul cadavere come avvoltoi, aspersione di incensi, schiere di prefiche piangenti a snocciolare moccoli e rosari, e giaculatorie latine che fanno calare la palpebra. Insomma, gradirei una sobria cerimonia civile, senza grosse pretese, senza paludamenti, senza fiori del cazzo, che sono anche allergico, e senza crocefissi del malaugurio a rendere presbiteriana l’atmosfera. Potete invece sventolare bandiere rosse e gagliardetti dell’Inter, e se volete, farvi un cilum in compagnia o tracannare birra ghiacciata, concludendo ogni sorso con rutti di apprezzamento. Io farei lo stesso al vostro di funerale, statene certi, perché le cerimonie sono sempre una gran rottura di cazzo e bisogna saperle  movimentare un pò. In secondo luogo, ed è ciò che più mi sta cuore, pretendo una colonna sonora coi fiocchi. Su questo non transigo. Se parte l’Ave Maria di Schubert o il cazzo di Adagio di Albinoni, giuro che non solo mi rivolto nella bara, facendo venire a tutti gli astanti i capelli bianchi e il cagotto, ma verrò a tirarvi i piedi di notte, secula seculorum, rendendo il vostro riposo un vero incubo. Fare un buona compilation è fondamentale, figuriamoci se è anche l’ultima che mi tocca ascoltare. Quindi, niente musica da esequie istituzionali, buona solo per scatenare la lacrimuccia al momento giusto o far venire l’abbiocco con tanto di bolla al naso, ma un po’ di sano rock. Devo ancora preparare una scaletta adeguata ( ho tempo ), ma tre o quattro canzoni le ho già in mente. “ I’m Only Sleeping “ da Revolver dei Beatles, darebbe un bel tocco surreale, con la voce di John che sembra essersi appena svegliato e che invece, nella realtà, si era fumato un paio di cannoni. Poi, ancora Beatles. Direi, : “ A Day In The Life “, che soddisfa anche una certa enfasi commemorativa, senza tuttavia essere banale.  Farei poi seguire “ Free Bird “ dei Lynyrd Skynyrd, e non certo per la metafora assai abusata dell’uccello finalmente libero di volare, ma per quel cazzo di assolo chilometrico nel finale di canzone che sono anni che mi da brividi adrenalinici ( e magari è pure in grado di resuscitarmi ). Un pezzo del Boss, ovviamente, non può mancare. Ci terrei ad ascoltare la mia canzone preferita, “ Racing in The Street “, perché chiudere coi versi : “ Stanotte l’autostrada risplende. È meglio che tu ci giri alla larga, amico, perché l’estate è arrivata ed è il momento giusto per gareggiare in strada”, mi sembra molto fico. Poche altre raccomandazioni. Niente cremazione e aspersioni di cenere in giro, perchè si inquina e poi francamente mi starebbe un po’ sui coglioni essere sparpagliato di qua e di là, tra Caronno Pertusella e Quarto Oggiaro. Sono ecologista, e se c’è una cosa buona nell’essere sepolti, è  quella di ritornare alla terra, trasformarsi in humus e aiutare un fiore a sbocciare. Quindi, voglio essere seppellito, non infilato in uno di quei loculi a tre metri d’altezza, che devi prendere la scala e rischiare l’osso del collo per venire a mettere due crisantemi ( a proposito: al primo crisantemo che vedo, vi sputo direttamente dalla foto senza pensarci un secondo ). Una semplice lapide di pietra sarebbe l’ideale, con l'iscrizione magari di un verso di Jimenez che mi è sempre piaciuto molto : “ Per ogni crosta di pan duro che Dio ti darà, tu dagli il diamante più fresco del tuo spirito “. In alternativa, se costa troppo l’iscrizione, mi accontento di un dito medio stilizzato, che fa sempre la sua porca figura. E a proposito di poesie. Se proprio non si può fare a meno di una pallosissima orazione funebre, leggete questa. E’ della grande Sylvia Plath e mi racconta benissimo, meglio di tanti ipocriti paroloni:

 Ma preferirei essere orizzontale.
 Non sono un albero con radici nel suolo
 succhiante minerali e amore materno
 così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
 né sono la beltà di un'aiuola
 ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
 senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
 Confronto a me, un albero è immortale
 e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
 dell'uno la lunga vita, dell'altra mi manca l'audacia.
 Stasera, all'infinitesimo lume delle stelle,
 alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
 Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
 A volte io penso che mentre dormo
 forse assomiglio a loro nel modo più perfetto -
 con i miei pensieri andati in nebbia.
 Stare sdraiata è per me più naturale.
 Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
 e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
 finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.
 
E come gran finale, birra ghiacciata a badilate e un po’ di fottutissimo funky !



Siete tutti invitati, ovviamente. Appuntamento fra una cinquantina d’anni, più o meno. Siate puntuali, che mi stanno sul cazzo i ritardatari. Anche perchè se vi perdete lo spettacolo, diventa un casino organizzare una replica.

PS : Il post è scaramantico e ironico. E' stato scritto per tener lontano gli spiriti malvagi e sorridere di ciò cha fa paura.

Blackswan, lunedì 27/02/2012

domenica 26 febbraio 2012

LONG TRAIN RUNNIN' - THE DOOBIE BROTHERS

Una delle tematiche più ricorrenti nella poetica del rock è quella del viaggio. La storia è piena zeppa di road songs : motori rombanti, sogni di capelli al vento, auto che sfrecciano su assolate Interstate che attraversano il nulla, scassatissimi pick-up che percorrono polverosi deserti, fughe verso un futuro migliore, vagabondaggi alla ricerca di se stessi. Se poi al tema del viaggio aggiungi l’immagine del treno, le suggestioni crescono a dismisura, soprattutto se hanno come oggetto una storia d’amore. Ricordate la bellissima “ Love In Vain ”  di Robert Johnson poi portata al successo dai Rolling Stones ? When the train rolled up to the station, I looked her in the eye/When the train rolled up to the station, and I looked her in the eye/Well I was lonesome I felt so lonesome, and I could not help but cry/All my love's in vain “ cantava il grande chitarrista di colore, rendendoci partecipi di uno struggente addio. O che dire della disperata “ Downbound Train “ di Springsteen,nella quale la vita di un operaio somiglia a un treno che sprofonda sottoterra: Joe ha perso il lavoro, lei ha comprato un biglietto per la Central Line e lo ha lasciato, e lui che non riesce a prender sonno sente “ il fischio di quel treno e i suoi baci nella notte scura “ ? Poetico, vero ? Il binomio treno che parte e amore che finisce, funziona sempre, è un clichè emozionale abusato ma efficacissimo. Eppure, il treno più famoso della storia del rock viene raccontato in “ Long Train Running “ dei Doobie Brothers, una canzone che parla d’amore ma non di addii. Il treno è semplicemente un pretesto, uno specchietto per le allodole, lo spunto per una riflessione filosofica sul senso della vita. “ Dietro l’angolo, a mezzo miglio da qui, vedi quei vecchi treni passare e li vedi scomparire senza amore “ canta Tom Johnston. Il treno è la metafora malinconica di un’esistenza senza gioie, senza amore. Il ritornello, celeberrimo, eplicita il concetto : “ Without love, where would you be now without love “. Dove saresti ora senza amore ? Aggiungo : dove sarebbero ora i Doobie Brothers senza “Long Train Running “ ? Fermi al palo, probabilmente, visto che prima dell’uscita di “ The Captain and Me “, l’album del 1973 che contiene la famosa hit, il gruppo navigava nelle torbide acque di una mediocrità senza speranze. Due dischi modesti, qualche buono spunto compositivo in un contesto musicale molto convenzionale, un seguito di affezionati fans, ma nulla che facesse presagire il successo planetario e la leggenda. Fu un’intuizione del manager del gruppo, Ted Templeman, a cambiare il corso della storia. “ Long Train Runnin’”, infatti, era originariamente un brano strumentale che i Doobie usavano come riempitivo nelle scalette dei concerti, una sorta di canovaccio su cui poi improvvisare e far partire interminabili assoli. Templeman suggerì alla band di accorciarne la durata e di aggiungere alla musica anche un testo, e mai illuminazione si rivelò tanto decisiva. La canzone fu il traino per un successo epocale: il fulminante riff di chitarra, gli ammiccanti arrangiamenti vocali, il richiamo all’epica dei grandi spazi sono diventati patrimonio di intere generazioni di rocker. E quel treno, che in tante canzoni parlava di dolore e di addio, si trasformò per i Doobie in un Eurostar che fila dritto verso la gloria.




Blackswan, domenica  26/02/2012

sabato 25 febbraio 2012

THE CRANBERRIES - ROSES


Un tempo erano i Cranberries, rock band irlandese che sapeva fondere amabili melodie pop dal sapore vagamente celtico a più ruvide sonorità post- grunge. Due dischi decisamente belli ( " Everybody Eelse Is Doing It, So Why Can't We " e il vendutissimo " No Need To Aurgue " ), alcuni singoli di successo ( " Linger " e la trascinante hit " Zombie " ) e soprattutto la voce di Dolores O 'Riordan, folletto punk dal timbro sofferto e altalenante, capace con la propria energia di accendere la miccia a performance live di rara intensità. In seguito, forse un pò troppo velocemente, la proposta musicale fresca e sensuale della band virò verso sonorità sempre più charts oriented, con notevole ritorno commerciale,e con annesso scadimento di qualità, fino allo scioglimento del 2001, dovuto alle bizze della bionda cantante, costantemente alle prese coi propri fragili nervi, con velleità solistiche e progetti di maternità.
Ora, invece son solo Dolores. Nel senso che la band, dopo undici anni di assenza dalle scene, torna alla ribalta, si fa per dire, con un disco che ricalca pedissequamente il cammino smaccatamente pop, intrapreso dalla sua leader nei due dischi solisti, bruttini assai, rilasciati nel 2007 ( " Are You Listening ? " ) e nel 2009 ( " No Baggage " ). Tanto che viene spontaneo domandarsi il perchè di queste riesumazioni che hanno ben poco a che fare con progetti artistici, e molto, a pensare male non si sbaglia mai, con il conquibus. Ci vuole infatti  tanta buona volontà per ascoltare il cd fino alla fine, e  reiterare gli ascolti più volte per poter formulare un giudizio che sia il più obiettivo possibile è un'immeritata tortura. Sono undici i brani in scaletta, per una durata complessiva di circa quarantacinque minuti, in cui si alternano, senza soluzione di continuità, sensazioni che vanno dal deja vù alla noia. Non pessime canzoni, ma di sicuro incolori, monotone, scialbe, appiattite su un refrain che suona sempre lo stesso. Si salvano dal festival dello sbadiglio la marchetta da FM " Tomorrow " e "Schizofrenic Playboys ", unico brano capace di ridestare l'ascoltatore da un abbiocco post prandium di consistenza natalizia. Tutto il resto è valium.



VOTO: 5
Blackswan, sabato 25/02/2012

venerdì 24 febbraio 2012

IL SUPER-PIPPONE ECCOLO QUI

La storia del calcio pullula di bidoni clamorosi, mezzi giocatori, presunte stelle, fenomeni per una mezz’ora, campioni sopravvalutati, ciofeche a conguaglio, promesse mai mantenute. Ogni squadra che si rispetti ha annoverato fra le proprie fila un certo numero di questi calciatoricchi che, nel trasporto delle nostre conversazioni da bar, non esitiamo a definire, a volte con molta generosità, “clamorosissime pippe “. Peraltro, da tifoso nerazzurro, posso vantare una certa esperienza in tal senso, visto che sui pipponi che hanno militato nella compagine meneghina, sponda interista, si potrebbe scrivere una breve enciclopedia a fascicoli settimanali, con relativi aggiornamenti mensili. Gresko ( mortacci sua! ), Pancev, Centofanti, Gilberto, Aaltonen, panteganone Klinsmann, sono solo alcuni dei nomi di un rosario di nefandezze pedatorie con cui si snocciolano, come fossero ora pro nobis,  anni terribili di sofferenze, palpiti gettati al vento,  sconfitte clamorose e figure di merda di portata sesquipedale. Tuttavia, quando pensi di averle viste tutte, ma proprio tutte, spunta all’improvviso un personaggio che ti fa ricredere in un istante di quella che ritenevi fosse una strutturata, oltre che  ben argomentata, cultura in materia bidonazzi calcistici. Lui si chiama Deivid, ed è il centravanti, si far per dire, del Flamengo, una delle squadre brasiliane più titolate. Non so se nella vostra carriera di tifosi vi siate mai domandati quale sia il limite minimo invalicabile, oltre il quale è impossibile sbagliare un goal. Pensateci un secondo, dai, concentratevi ! Fatto ? Bene, adesso abbasssate l’asticella di almeno un metro. Perchè quello che state per vedere in questo filmato, non solo pare incredibile, ma forse è addirittura surreale. Immagino abbiate visto di tutto: lisci marchiani, svirgolate clamorose , rovesciate conclusesi con la lussazione della spina dorsale, colpi di tacco a favore dell’aria, lanci in tribuna, rinvii alla viva il parroco, stop chilometrici. Ma avete mai pensato di vedere qualcuno che sbaglia un goal simile ? Un goal così lo segni anche se hai quadrelli di porfido al posto dei piedi, se sei cieco o deambuli con un catetere. Un goal così, insomma, riuscirei a segnarlo anche io. Ma Deivid, no. Nonostante la difesa avversaria, si sia messa davvero d’impegno. L'attacante, poi, cade come un sacco di rumenta nel cassonetto. Ed è il momento migliore della sua azione.



Blackswan, venerdì 24/02/2012

mercoledì 22 febbraio 2012

I DIECI LIBRI : LETTURE DA ISOLA DESERTA

Preparate una nuova valigia per l'isola deserta, amici, perchè oggi la dobbiamo riempire di libri. D'altra parte, è impossibile approciarsi a una vacanza, senza fare un adeguato pieno di letture. Perchè se la musica è per l'anima come l'aria che si respira, i libri ne sono il nutrimento. Anche in questo caso, il bagaglio a mano non potrà essere particolarmente pesante, e quindi la scelta non dovrà eccedere i dieci volumi. Difficile, vero ? No, di più. Difficilissimo, lo so. Continuo ad aggirarmi per le librerie di casa, incerto fra questo e quello, preoccupato di dimenticarmi di qualcosa di fondamentale, o peggio, di occupare un posto libero con una lettura che nel tempo potrebbe non rispecchiare più i miei gusti. Splucio, sposto pigne, rimuovo batuffoli di polvere, mi infilo in anfratti di cui mi ero scordato l'esistenza. A fatica, ma alla fine i miei dieci li ho trovati. Libri che mi hanno formato, cambiato la vita o semplicemente emozionato. Una scelta che, come ovvio, ha comportato dolorosissime esclusioni, solo un poco mitigate dal pensiero che tanto poi, in quest'isola, che così deserta non è più, troverò modo di fare adeguati scambi con tutti gli altri naufraghi presenti. E magari, di organizzare anche dei bookcrossing sulla spiaggia, o reading notturni accompagnati dal dolce tepore dello Zefiro e dal rilassante borbottio della risacca. Le lunghe giornate passate fra la lussureggiante vegetazione dell'isola, il tanto tempo a disposizione, il clima mite che induce a un salvifico ozio, saranno i compagni prediletti di questa attività, civile, colta e militante, che è leggere. Un piacere che non solo migliora la vita, ma amplificandone a dismisura le emozioni, ne sposta addirittura gli orizzonti, regalandoci una terra inesplorata di languori e fantasie. Perchè chi legge, vive due volte. In barba al proprio destino, qualunque esso sia.
PS : prevengo subito qualche furbacchione, che cercarà di mettere in valigia l'e-book con in memoria cinquecento titoli. Non ci provate nemmeno, non si può. Solo carta. :)

JOSE' SARAMAGO -CECITA'
DON WINSLOW - L'INVERNO DI FRANKIE MACHINE
FEDOR DOSTOEVSKIJ - L'IDIOTA

ERNEST HEMINGWAY - PER CHI SUONA LA CAMPANA
WISLAWA SZYMBORSKA - VISTA CON GRANELLO DI SABBIA
CESARE PAVESE - LE POESIE
WILLIAM FAULKNER - L'URLO E IL FURORE
WILLIAM SHAKESPEARE - RICCARDO III
JORGE LUIS BORGES -LA CIFRA

FEDERICO DE ROBERTO - I VICERE'

martedì 21 febbraio 2012

TIM BUCKLEY - LIVE AT THE FOLKLORE CENTER,NY-MARCH 6, 1967



Nel 1967, Tim Buckley è un ancora un artista folk alle prime armi, come ce ne sono tanti, in giro per i locali della Grande Mela. Ha pubblicato il proprio esordio con l'Elektra e di lui ci si accorge solo perchè possiede insolite doti vocali. Di lì a breve, tuttavia, il  giovane Tim partirà in un'avventura musicale che rivoluzionerà il concetto di canzone e andrà a incidere profondamente sul futuro del rock anni '70. In soli tre  anni, infatti, Buckley inanella un filotto di capolavori ( " Goodbye and Hello ", "Happy Sad ", " Blue Afternoon "," Lorca "e soprattutto " Starsailor " ) che realizzeranno compiutamente la sua idea non convenzionale di musica, capace di essere nel contempo solenne e visionaria, lisergica e innovativa, laboratorio di audaci sperimentazioni psichedeliche, in cui l'approcio alla composizione viene svincolato come mai prima da qualsiasi schema armonico. Un crossover onirico, dunque, nel quale il cangiante timbro vocale di Buckley riveste  il ruolo, mai così decisivo, di strumento solista e di collante di infiniti e, talvolta, confliggenti generi ( folk, pop, rock , jazz ). Un'esplorazione  appassionata e febbrile, alla ricerca di un linguaggio musicale che esprima, attraverso l'improvvisazione free, un connubio difficilmente definibile di estatici bagliori  lirici  ed esiziali ( come lo saranno nella vita ) declivi verso il buio opprimente del proprio tormento. Quando l'anno successivo,  partirà per il famoso tour londinese ( che vedrà poi la luce su vinile solo nel 1990 con il magnifico " Dream Letter " ) Buckley è già un musicista a tutto tondo. Ha le idee  chiare, il suo progetto sta prendendo forma, le sue performance live appassionano per suspence e inventiva, la sua musica si è completamente spogliata  di ogni canone convenzionale, è elusiva e ammiccante nel contempo, talvolta tanto avanguardistica da apparire inafferabile. Quando suona al Folklore Center, invece, la dimensione del suo folk è ancora concreta, reale. Siamo a New York, in un piccolo centro culturale. Il numero dei presenti è talmente esiguo che gli spettatori quasi si possono contare dal rumore degli applausi ( pare fossero solo 35 !! ). Tim è praticamente sconosciuto al grande pubblico ( è uscito solo l'omonimo album d'esordio e "Goodbye And Hello" vedrà la luce da lì a qualche mese ), ma ha già dimostrato di avere talento, di possedere una voce sublime, di cui la stampa specializzata continua a raccontare mirabilia. E' un artista in erba, quindi, ma con un futuro che pare già scritto. Tanto che viene spontaneo domandarsi  se quei pochi appassionati si siano davvero resi conto di assistere all'epifania di un suono che avrebbe spostato per sempre, e di una spanna abbondante, l'orizzonte musicale conosciuto. L'atmosfera è intima, dimessa, quasi colloquiale. Sul palco, siede un timido ragazzo ( Tim ha solo 20 anni ) con la sua chitarra acustica, che canta con voce profonda, tormentata,  straordinariamente personale. Le canzoni sono gioielli grezzi, che cercano una forma e una brillantezza nella pietra dura di un suono asciutto e un pò aspro. Eppure, quando Buckley dispiega le ali della propria voce, quelle fragili note spiccano il volo verso un altrove in cui non esiste materia, si trasformano in poetico nitore, alludono a quel livello di genialità superiore che si paleserà di lì a poco. " Live At Folklore Center" è un documento straordinario perchè racconta del giovane Tim prima che diventi il grande Buckley, perchè fotografa con chiarezza il momento storico in cui il folk è al suo apice espressivo ( siamo in pieno Greenwich Village ), e perchè recupera dall'oblio un'esibizione che, sebbene scarna ed essenziale, intride il piccolo centro culturale di una magia che a tratti sembra addirittura palpabile. Sono sedici le canzoni in scaletta, alcune delle quali il tempo consegnerà alla leggenda: " I Never Asked To Be Your Mountain ", " Phantasmagoria In Two ", " Dolphins "," No Man Can Find The War" e " Carnival Song ". Non solo la qualità della registrazione non paga dazio ai quarant'anni trascorsi ( è quasi un miracolo ) , ma l'energia sprigionata dalle immense doti vocali di Buckley conosce davvero il dono di cancellare il tempo e riportarci, spirito e corpo, alla vibrante atmosfera di quella serata. Con gli occhi chiusi, cullati dalla voce di un angelo dal sorriso triste.



Blackswan, martedì 21/02/2012

lunedì 20 febbraio 2012

DIETRO LE SBARRE DEL DEGRADO

RICEVO DALLA NOSTRA FREELANCE CLEOPATRA E INTEGRALMENTE PUBBLICO :


Il grado di civiltà di un paese si misura osservando la condizione delle sue
carceri " diceva il filosofo francese Voltaire e,in effetti, analizzando la
situazione italiana l'impressione che si ricava è quella di uno stato retrogrado.
La condanna che la Corte Europea di Strasburgo ha recentemente inflitto
all'Italia per trattamenti inumani e degradanti ai danni di un detenuto presso
il carcere di Parma non è altro che l'ennesima conferma.
Il caso riguarda la reclusione di Nicola Cara Damiani costretto sulla sedia a
rotelle e impossibilitato a muoversi all'interno della struttura carceraria a
causa della presenza di barriere architettoniche.
La sentenza,oltre ad avere condannato lo stato italiano al riconoscimento di
un risarcimento alla parte lesa, sottolinea e ribadisce la necessità di
assicurare ai carcerati la compatibilità delle condizioni detentive con il
rispetto della dignità umana.
L'articolo 27 della Costituzione sancisce che le pene non possono consistere
in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione
del condannato. Parole che restano sulla carta, se si pensa alla piaga del
sovraffollamento, della scarsità delle condizioni igieniche e della mancanza di
personale.
Mi rendo conto di quanto impopolare sia l'argomento soprattutto in un un
momento in cui tutti invocano una maggiore certezza della pena. Eppure una giustizia
severa ma veramente giusta non può e non deve coniugare il carcere ad una discarica
sociale. Personalmente, sono una convinta sostenitrice di una pena intransigente
con finalità rieducative.
Spesso (e a torto), si ritiene che questo pezzo di mondo non appartenga al
nostro quotidiano e magari cambiamo canale quando un rappresentante di qualche
associazione segnala il proccupante numero di detenuti rispetto alla capienza
delle carceri rimanendo, talvolta,  indifferenti nei confronti dell'emergenza
suicidi (che coinvolge anche il personale carcerario).
Quante volte di fronte alla notizia di un delitto efferato si è pensato di
chiudere l'autore del fatto in una cella,buttando via la chiave? Riflettendo
bene, l'universo carcerario comprende non solo chi ha infranto la legge (a cui si
aggiungono anche gli innocenti), ma anche i c.d. "reclusi di professione" come
gli agenti penitenziari, i direttori delle strutture, i cappellani, i sanitari, gli
assistenti sociali che vivono e lavorano in una dimensione di totale abbandono
e degrado e in cui il refrain della mancanza di fondi sembra essere l'unica e
comoda giustificazione a cui si fa supinamente ricorso.
Se facciamo un viaggio all'interno delle strutture carcerarie ciò che salta
agli occhi è il numero impressionante di detenuti stipati in celle anguste e
molto spesso fatiscenti.
Dall'unità di Italia ad oggi,non se ne sono mai registrati così tanti : si
calcola che 1/3 sono stranieri (nord africani,in testa colpevoli di reati
legati allo spaccio di stupefacenti e all'immigrazione) e 2/3 italiani. Di
questi, solo il 10% lavora mentre il resto vegeta in un ozio pericolosissimo.
Sorprendentemente, sono i c.d." pesci piccoli " a ingolfare il circuito
carcerario attraverso il sistema delle " porte girevoli " (ossia dell'entra ed
esci ) che punisce con la detenzione i reati più lievi : sono circa 32 mila i
nuovi rei che entrano in carcere per la prima volta.
Proprio con riguardo ai reati legati alla tossicodipendenza, l'Italia detiene
il triste primato di essere il paese che ricorre sempre meno a misure
alternative alla detenzione - come la permenenza in strutture socio-
riabilitative - sebbene il risparmio in termini economici sia ragguardevole. Un
esempio deplorevole è dato dal carcere di S.Sebastiano a Sassari in cui l'80%
dei detenuti è tossicodipendente.
Come si spiega che in uno stato di diritto come l'Italia le condizioni
detentive siano tanto incivili e disumane?
Da una parte,con il fallimento del Piano Carceri ideato dall'ex ministro
Angelino Alfano nel 2009 che si proponeva di risolvere l'emergenza
sovraffollamento ( rimasto, ovviamente, sulla carta ) , dall'altra con gli sprechi
che negli anni si sono aggiunti e moltiplicati.
L'elenco delle strutture fantasma adibite a istituti di pena rimaste
inutilizzate è, davvero, imbarazzante : se ne calcolano circa 40 dislocate nel
territorio nazionale soppresse,incompiute,molto spesso arredate e mai entrate
in funzione.
Se vi capita di leggere la relazione dell'Associazione Antigone,redatta nel
giugno del 2011, rimarrete certamente sconcertati. Tanto per fare un esempio,nel
carcere di Poggio Reale a Napoli in una cella di pochi metri quadrati si sta in
9 e si fanno i turni per stare in piedi con i servizi igienici attaccati ad una
sorta di angolo cottura. In quello di Mantova i detenuti sono alloggiati nella
sala colloqui e nessuna attività sportiva o culturale è prevista per la
mancanza di personale.
Ma in questo girone infernale ci sono coloro che oltre a non avere l'acqua
calda, i servizi igienici o il riscaldamento non hanno garantite neppure le cure
mediche ,come a Bergamo dove un detenuto in attesa di giudizio ha atteso
inutilmente le opportune terapie per curare un cancro divenuto successivamente
inoperabile o come a Siracusa, dove un detenuto non ha potuto sottoporsi a
dialisi perchè mancava il carburante per trasportarlo in ospedale.
Poi ci sono i casi di violenza come quello avvenuto nel carcere genovese di Marassi
dove uno psicologo è indagato per concussione e violenza sessuale ai danni di
alcuni detenuti a lui affidati o come il caso di due agenti di polizia
penitenziaria che a San Vittore (Milano) sono stati accusati di violenza
aggravata ai danni di un internato transessuale.
Ma a questa lista nera si affianca un elenco che ci fa ben sperare. Nel carcere
di Padova, ad esempio, i detenuti pasticceri sono stati premiati per la
produzione del panettone che è stato annoverato nella top ten del Gambero Rosso.
In quello di Torino è stato dato il via ad un call center che impiega circa 15
detenuti. Un cenno va, infine, dedicato ai detenuti del carcere di Bollate che,
insieme a quello di Rebibbia, hanno dato vita ad uno spazio giornalistico e
informativo in cui si raccontano, commentano le notizie carcerarie, la
quotidianità nella struttura, le disfunzioni del sistema.
Terminato questo excursus è lecito domandarsi quali iniziative intenda
assumere il governo in proposito.
Una persona dotata di un minimo di buon senso penserebbe ad un drastico taglio
degli sperperi e a stanziare dei fondi per attivare tutte quelle strutture
rimaste inattive. E invece no. Opta per la soluzione "project financing" ( art.44
del Decreto sulle Liberalizzazioni
) che prevede l'affidamento della
costruzione e della relizzazione di infrastrutture carcerarie a imprenditori
privati con l'esclusione della custodia.
A parte l'aspetto aberrante di un business costruito sui detenuti ( più ce ne
saranno, maggiore sarà il profitto) riuscite ad immaginare cosa comporterebbe
questo progetto in un paese ad alta densità mafiosa come il nostro? E che dire
del recente decreto svuota- carceri? L'immagine è la solita, quella di un paese
inadeguato che preferisce la scorciatoia piuttosto che affrontare seriamente il
problema.
Concludo citando il letterato illuminista Cesare Beccaria che sul trattato "
Dei delitti e delle pene " (scritto nel 1764) sostiene che il fine di queste
ultime non è quello di tormentare ed affliggere un essere ma quello di impedire
al reo di commettere nuovi danni e di evitare agli altri di farne uguali,
cosicchè faranno un'impressione più efficace e più durevole sugli animi degli
uomini.
Un pensiero di grande attualità e un esempio di saggezza da cui ripartire.

Cleopatra.

domenica 19 febbraio 2012

IL TEATRO DEGLI ORRORI – IL MONDO NUOVO

E pensare che “ Il Teatro Degli Orrori “ doveva essere solo il progetto parallelo messo in piedi un po’ per caso da membri ed ex-membri dei One Dimentional Man e dei Super Elastic Bubble Plastic. Invece, nel giro di qualche anno e di tre dischi, casa madre è stata accantonata e il Teatro è diventata la miglior rock band alternativa d'Italia. Difficile, ovviamente, che questo rock colto e graffiante possa trovare un adeguato riscontro mediatico in un paese anestetizzato dalla kermesse sanremese, nel quale si vive peraltro con l’intima convinzione che Vasco Rossi e Ligabue siano il meglio della produzione musicale nostrana. D’altra parte, Pierpaolo Capovilla e soci non hanno mai fatto nulla per compiacere l’italico star system e han tirato sempre dritto per la strada, impervia e ostica, imboccata con il fulminate esordio del 2007, intitolato “ Dell’Impero Delle Tenebre “.  Quel disco metteva subito in chiaro le cose e lo faceva con una brutalità disarmante : noise rock dalle malevole esplosioni metal-core, testi accomodanti come un’invettiva di Savonarola ( basterebbe il delirio della disturbante “ E Lei Venne ! “ per una scomunica urbi et orbi ) e un cantato sempre in bilico fra l’urlo belluino e l’enfasi declamatoria da palcoscenico. Nel 2009, un secondo disco,” A sangue Freddo “,  forse ancora più bello dell’esordio, che spostava di poco i termini della questione : l’attenzione al sociale e la militanza si facevano più consapevoli ( la meravigliosa title track dedicata al poeta nigeriano Ken Saro Wiwa ), l’impatto sonoro appena meno vibrante ( ma compensato da una maggiore varietà stilistica e da inserti di elettronica ) e testi come di consueto gridati e recitati con ieratica ferocia ( si pensi alla violenza iconoclasta di “ Padre Nostro “, declamata sul filo della bestemmia e dell’apostasia ). Il terzo album, dal titolo “ Il Nuovo Mondo “ rappresenta un ulteriore passo avanti nella direzione consueta. Presentato come un concept album sull’immigrazione, le sedici canzoni del lotto ( per una durata complessiva di 75 minuti ) sono definite da Capovilla come il frutto di un lavoro più “commerciale”. Nessuno sguardo alle classifiche di vendita, ovviamente, ma una maggiore attenzione ai suoni ( l’esplicito riferimento a sonorità africane della commossa  “Gli Stati Uniti D’ Africa “ ), un tentativo ben riuscito di armonizzare più generi ( l’elettronica e l’hip hop di “ Cuore D’Oceano “, che vede protagonista alla voce Michele Salvemini, al secolo Caparezza ), testi maggiormente curati, ma sempre ispiratissimi, che citano Rimbaud, Pasolini, Majakovskj, Gramsci ( “ Monica “ ricorda addirittura l’Ungaretti di “In Memoria “ : “ mi è morto tra le braccia ieri, non mangiava da due mesi e nessuno, nessuno si è accorto di lui “ ) e un gusto nuovo per la ballata acida di morsura ( la dolente “ Vivere E Morire A Treviso “  in cui chitarra acustica e bit elettronici accompagnano la poesia di Capovilla : “ Svegliati,devi lavorare,spezzare la schiena, dei giorni feriali, i figli, si sa, hanno altro a cui pensare, non sanno quasi niente di te “ ). Un disco difficile, “ Il Mondo Nuovo “, perché non fa sconti, è cupo, metropolitano, inquieto, non regala mai un raggio di sole, una consolazione o una speranza. Queste sedici canzoni lanciano piuttosto uno sguardo impietoso e lucidissimo sulle rovine etiche della nostra società, sull’Italia dello sfruttamento, del lavoro nero, delle vite sacrificate in nome del profitto, di esistenze ai margini di un popolo inebetito da vent’anni di berlusconismo. In questo senso, è “ Ion “ ( canzone dedicata a Ion Cazacu, operaio romeno arso vivo nel 2000 dal proprio datore di lavoro, per aver chiesto di essere regolarizzato ) la chiave di lettura per comprendere il disco: “ Una vita onesta finisce così…vivere è così difficile, ciascuno è solo, ciascuno con un peso nello stomaco,io, con un groppo in gola “. La morte, il dolore, la miseria, la solitudine, il fallimento del sogno intridono ogni singola nota di un cd che, a ben vedere, non ha quasi termini di paragone nella recente storia del rock nostrano. E che, probabilmente, fra dieci anni, sarà considerato non solo un grande classico ma il racconto più feroce e sincero di questa Italia che divora le speranze degli indifesi e degli oppressi. “ Il Nuovo Mondo” è il reportage in note di una tragedia collettiva, un libro di Storia aperto su una delle pagine più dolorose del nostro presente. Ascoltare questo disco significa soprattutto capire, aprire gli occhi su un disagio che non possiamo continuamente far finta di non vedere.Con quest’opera, Il Teatro Degli Orrori diventano, parafrasando Lester Bangs a proposito dei Clash, l’unico gruppo italiano che conti davvero qualcosa. 




VOTO : 8,5

sabato 18 febbraio 2012

MESSA DA REQUIEM – WOLFGANG AMADEUS MOZART

Si deve molto a Milos Forman e al suo splendido Amadeus ( film datato 1984 e interpretato da un funambolico Tom Hulce ) se anche noi comuni mortali siamo in grado di dire qualcosa sulla vita e il genio di Wolfgang Amadeus Mozart.La cui statura artistica è, per tutti coloro che non sono appassionati melomani o studiosi dell’argomento, una sorta di dogma, una nozione che abbiamo annesso al nostro bagaglio culturare, senza indagare più a fondo. D’altra parte, chiunque abbia ascoltato anche una sola delle composizioni di Mozart, si renderà certamente conto, senza troppe difficoltà, dell’abisso artistico che separa il musicista austriaco dal resto del mondo. Lungi da me lo sviscerare da un punto di visto tecnico l’opera mozartiana, dal momento che non ne ho le competenze, mi permetto solo di aggiungere a questa premessa introduttiva poche note di colore per rendere un po’ più chiaro il quadro d’insieme. Per comprendere di che livello di genialità stiamo parlando, basterà dire che il piccolo Amadeus già suonava il clavicembalo con tecnica invidiabile all’età di sei anni, che a otto scrisse la sua prima sinfonia, che si cimentò brillantemente con tutti i generi dell’epoca, fossero concerti, opere, musica sacra, sinfonie, sonate, musica da camera ( è un pò come se oggi un musicista rock sfornasse un disco di metal, poi di pop, quindi di folk e magari anche di ambient ) e che già azzardava con risultati prodigiosi quello che oggi chiameremmo crossover, inserendo nello stile classico ( di cui la sua musica diventò archetipo ) elementi dello stile barocco. L’uomo, come spessso accade quando l’anima si trova a fronteggiare l’ingombro di un simile genio, non era proprio quello che si suol definire uno stinco di santo. Fisico sgraziato, goffo nei movimenti, inabile a tutto tranne che a suonare, Mozart teneva comportamenti sociali, per usare un eufemismo,  non molto convenzionali, usava un linguaggio assai scurrilie,  possedeva un’esuberante propensione per la vita godereccia ed  era un inveterato sciallaquatore. Insomma, a voler fare un bel volo pindarico, potremmo parlare di lui quasi come di un’anticipatore del movimento punk ( perdonami Dio per quello che ho scritto ). Una vita dissoluta, quella condotta dal musicista, che minò definitivamente una salute già compromessa fin dalla tenera età, e che lo condusse a un decesso assai precoce ( morì ad appena 35 anni ). La morte di Mozart, che qui ci interessa da vicino, è avvolta nel mistero e ancora oggi si sprecano fiumi di inchiostro per ricostruirne le circostanze ( sifilide ? eccesso di salassi ? febbre reumatica ? ). Leggenda vuole, ma si tratta di una fandonia, che fosse stato avvelenato per gelosia dal musicista italiano, e suo acerrimo rivale, Antonio Salieri ( di cui, a torto, non ci ricordiamo nulla, se non  appunto che fosse sospettato come il presunto omicida di Mozart ). Comunque sia, un fatto è certo e ce lo racconta Stendhal
Amadeus è soverchiato dai debiti, fa fatica a mettere insieme il pranzo con la cena ed è gravemente malato. Ha la febbre, è spossato, ed è solo, perché la moglie lo ha lasciato, portando con sé il  loro figlio. E’ notte fonda e qualcuno bussa alla porta. Amadeus, come in trance, apre. Di fronte a lui c’è un uomo, il cui volto è coperto da una maschera di carnevale e il corpo è avvolto in un nero, lugubre, mantello. Sembra un incubo, ma tutto è terribilmente reale. L’uomo offre a Mozart cinquanta ducati ( la salvezza economica, dunque ) in cambio di una Messa da Requiem che dovrà essere composta in quattro settimane. Amadeus, nonostante sia già quasi privo di forze e febbricitante, si mette a scrivere, e più le note prendono forma sul pentagramma, più si rende conto che quel requiem lo sta componendo per sé stesso. Morirà infatti la notte del 5 dicembre 1791, subito dopo aver concluso il Confutatis Maledictis. Il Requiem, grazie ai buoni offici della moglie Constanze, verrà poi  completato da tre suoi allievi.
Difficile trovare qualcosa in musica che avvicini di più l’ascoltatore al mistero della morte. In queste note, struggenti e al contempo maestosamente ieratiche si percepisce tutto : il dolore, la pena, la paura, il ricordo di una vita, l’incontro con Dio.
Tra le tante versioni del Requiem che ho ascoltato, quella di Riccardo Muti che dirige la Berliner Philarmoniker è, a mio modesto avviso, assolutamente imperdibile ( purtroppo non sono riuscito a reperire l'esecuzione nel web ).








Grazie a Morgana,potete ascoltare Muti Qui .
Grazie ancora.




Blackswan, sabato 18/02/2012

venerdì 17 febbraio 2012

OLIMPIADI ? NO,GRAZIE.

Quindi il nostro premier Prof. Mario Monti ha deciso che le Olimpiadi a Roma non ci saranno.
L'uomo non sa di sport, e quindi dovendo affrontare il problema ha fatto quello che si dovrebbe fare sempre in casi del genere, cioè lo ha studiato.
E ha visto che in tutte le edizioni di grandi eventi sportivi, e delle Olimpiadi in particolare, le previsioni di spesa sono sempre state sforate di molto.
Ha anche visto che le conseguenze dello sforamento non sono ovviamente sempre uguali.
Se sfora Atlanta non succede nulla, se sfora Atene parte un'onda tellurica che non si riesce ad assorbire.
E allora, siccome non ci sono soldi, niente giochi.
Apriti cielo!
La compagnia dei magnaccioni Petrucci, Pescante, Alemanno, più tutti i presidenti di federazioni sportive e tutti i palazzinari romani (e non solo) sono insorti contro l'odioso provvedimento che impedirà loro di mettere le mani sulle mazzette che pensavano di avere già intascato.
Personalmente il provvedimento lo condivido.
Anche se da appassionato di sport mi dispiace di non (ri) vedere i Giochi a Roma, dove nel 1960 si è celebrata quella che ancora oggi probabilmente è la più bella edizione delle Olimpiadi moderne.
Che nomi, ragazzi!
Nell'atletica leggera Armin Hary, Livio Berruti, Wilma Rudolph, Abebe Bikila.
Nella boxe Cassius Clay e Nino Benvenuti.
Gaiardoni nel ciclismo, Piero e Raimondo D'Inzeo nell'equitazione, Mangiarotti nella scherma.
Il torneo di lotta libera nella Basilica di Massenzio ai Fori Imperiali!
Orgasmo puro.
E qui mi fermo.
Ma in effetti i soldi non ci sono, e ce ne vorrebbero tanti.
Quindi non si fa.
Trovo però che l'aspetto più interessante della faccenda sia di carattere educativo.
Cioè, il principio secondo cui si fa quello che ci si può permettere, secondo me è tutt'altro che banale e scontato.
Ormai la gente si indebita per acquistare tutto.
L'auto, l'aspirapolvere Folletto, le vacanze, il corso di inglese per i figli.
E questi sono i nefasti risultati del meccanismo del credito al consumo, per effetto del quale chiunque può comprarsi qualsiasi cosa perchè tanto anche un aeroplano, se tu lo paghi in centomila rate, è un acquisto sostenibile.
E così facendo in realtà la gente si impoverisce, impiccandosi a scadenze che poi non controlla più.
Fino a quando interviene il credito al consumo di secondo livello, quello che ti dice di far confluire tutte le tue rate in un'unica, più comoda rata complessiva.
Che costa ovviamente ancora di più, ma allunga i tempi e quindi ti da la sensazione di farti respirare, se non fosse che a quel punto ci vuole però la garanzia, la casa (se ce l'hai) o la pensione di un genitore o di un nonno, perchè di te si è già visto che sei un farlocco che buca gli impegni.
E via così, fino a fumarsi come dei poveri coglioni ottimi stipendi e a volte interi patrimoni.
E tutto perchè?
Perchè questa è la società dell'apparenza, a noi molto gradita e su cui il Berlusca ha costruito buona parte delle sue fortune.
Una società in cui l'importante è avercela, la BMW, mica potersela permettere davvero.
In vacanza bisogna andarci, perchè se no poi cosa racconti a settembre a chi ti chiede che cosa hai fatto?
Allora, contro questa delirante deriva consumistica, ecco che l'insegnamento di Monti è da apprezzare.
Se non si può non si fa, perchè se lo si fa lo stesso, finisce che deve pagare qualcun altro.
Dico questo al netto della prevedibile e corretta osservazione, che qualcuno farà, secondo cui "loro però non rinunciano mai a niente perchè tanto paghiamo noi".
E' vero, la politica tende a conservare tutti i suoi privilegi, e questa è una battaglia su cui occorre tenere duro.
Ma a me questo Monti che compie una scelta razionale, non popolare o populista, e che così facendo richiama tutti ad un uso più corretto delle risorse, è piaciuto.
Poi, se e quando avremo recuperato un po' di fiato, verrà il tempo di politiche un po' più articolate, che diano anche impulso ai consumi, perchè il denaro che non gira è denaro meno utile.
Poi.
Ora no.

EZZELINO, venerdì 17/02/2012

giovedì 16 febbraio 2012

THE DESERT ISLAND RECORDS

Questo è un giochino che mi ha sempre divertito, perché ha come unico scopo quello di parlare di noi e dei nostri gusti. Lo so : il gioco è frusto, usurato, lo hanno proposto tutti, in tutti i blog del mondo, e ci hanno anche scritto un libro ( peraltro piacevolissimo - ECCOLO ). Nonostante ciò ve lo ripropongo, iniziando proprio dai dieci dischi da isola deserta, ma riservandomi, per le prossime puntate ( in linea di massima,una alla settimana ), di esplorare le vostre preferenze anche in tema di libri, film e canzoni sparse. Niente di complesso, ovviamente : solo un elenco dei dieci dischi dai quali non vi separereste mai, e che finirebbero in valigia, in luogo di altre cose forse più utili alla sopravvivenza, nel caso naufragaste, novelli Robinson Crusoe, su un’isola deserta.
La mia lista è più o meno la stessa da anni, anche se periodici ripensamenti mi inducono di volta in volta a qualche leggera modifica (probabilmente fra sei mesi potrebbe essere diversa ). Ma se dovessi partire ora, nel mio bagaglio a mano, finirebbero questi dieci. L’ordine dei titoli non rappresenta una graduatoria, dal momento che gli album in questione, per me, stanno tutti sul medesimo gradino del podio.


GRACE – JEFF BUCKLEY

REVOLVER - THE BEATLES

DARKNESS ON THE EDGE OF TOWN – BRUCE SPRINGSTEEN

LONDON CALLING – THE CLASH

OK COMPUTER – RADIOHEAD

GOAT – JESUS LIZARD

ON THE BEACH – NEIL YOUNG

DÉJÀ VU’ – CROSBY, STILLS, NASH & YOUNG

FUN HOUSE – THE STOOGES

NEVERMIND – NIRVANA












Piange il cuore aver lasciato fuori  Robert Wyatt, Pearl Jam, Frank Zappa, Elliott Smih, i Led Zeppelin, gli Stones, I Jefferson Airplane, gli Isis, il resto della discografia di Springsteen, De Andrè, e un fottio di altri. Ma il gioco ha un senso proprio perché si è costretti a scieglierne solo dieci. Quindi, mi raccomando, niente doppie liste e rabbocchini. Dimenticavo : l’elenco deve essere relativo ai dischi che più ci piacciono, non a quelli che riteniamo i più seminali della storia ( se no, non si spiegherebbe perché nella mia lista non compaiano,ad esempio, i Velvet Underground e Jimi Hendrix ).

Alla possibile obiezione che su un’isola deserta non esiste elettricità e quindi non è possibile ascoltare musica, vi segnalo che l’isola è mia, l’ho comprata coi risparmi della paghetta e vi ho fatto costruire un funzionalissimo impianto elettrico. Oltre, ovviamente, ad aver implementato una riserva di birra e bourbon praticamente inesauribile. Non vorrei mai infatti trovarmi ad ascoltare i Jesus Lizard completamente sobrio.




Blackswan, giovedì 16/02/2012