Ogni mattina Phil
Elliot si sveglia con le narici piene di sangue e le giunture bloccate
dall’artrite. Phil ha le «migliori mani di tutta la Nfl», il corpo devastato
dai placcaggi e il problema di riprendersi il posto da titolare nell’attacco
dei North Dallas Bulls. Pur di giocare è disposto a convivere con «paura e
dolore», a imbottirsi di analgesici e fabbricarsi protezioni artigianali, più
sottili della norma, in modo da recuperare la velocità che ha perso per via
degli infortuni. Dopotutto il football è la sua vita. Ma il «vero divertimento»
va in scena nell’attesa tra una partita e l’altra, con le groupie e i parassiti
che circondano il club, le rivalità tra i giocatori, il braccio di ferro con i
dirigenti, i postumi di un matrimonio fallito, le dosi di speed e mescalina per
tirare avanti: un vortice di autodistruzione da cui Phil sembra poter fuggire
solo grazie a Charlotte, una vedova di guerra incontrata per caso in uno dei
deliranti festini della squadra.Attraversato dalle canzoni di Bob Dylan e dei
Rolling Stones e dal soffio libertario della controcultura, I mastini di Dallas
racconta l’altra faccia dello sport, mettendo a nudo le logiche del business
milionario dietro le carriere degli atleti. Nel mondo del football Gent
proietta con effetti grotteschi – come fa DeLillo in End Zone – le paranoie e
le distorsioni di quel «complesso tecnomilitare» che era l’America ai tempi del
Vietnam.
C’è
un termine che ricorre con una continuità inquietante nelle pagine di questo
romanzo : paura. Paura del dolore, paura di perdere tutto, paura di non essere
all’altezzza, paura che la notorietà e il successo svaniscano, paura dei
tifosi, paura di sè stessi, del proprio cinismo e indifferenza, paura dei compagni,
dell’allenatore, paura di essere solo un ingranaggio senza identità in quella
macchina da guerra letale che è una squadra di football. Da partita a partita,
otto giorni in cui Phil Elliot, flanker dei Dallas Cowboys, racconta al lettore,
in prima persona e senza fare sconti, le proprie paure di giocatore ed essere
umano. Un terrore così radicato e invasivo che per combatterlo è lecito tutto :
l’abuso di droghe e di medicinali, sbornie colossali, sesso d’accatto e
tradimenti di ogni sorta. Il viaggio di Gent attraverso il mondo del football è
tanto allucinato da lasciare il lettore senza fiato. Perché anche se siamo
abituati a ipotizzare eccessi e bella vita legati agli ambiti sportivi che ci
sono noti, I Mastini Di Dallas apre il sipario su una passata realtà (il
romanzo si svolge alla fine degli anni ‘60) che nemmeno il più cinico di noi
riuscirebbe a immaginare. I giocatori rappresentati dalla prosa cruda ed
efficace di Gent sono gladiatori senz’anima che si muovono in un contesto
deprivato da ogni forma d’etica che non abbia connotati paramilitari (giocare a
football e combattere in Vietnam sono i due rovesci della stessa medaglia). Guerrieri
che confondono la vita reale con il campo di battaglia, devastatori
lanzichenecchi, stupratori seriali, tossici all’ultimo stadio, bestie da soma
sfruttate da allenatori e dirigenti che non conoscono umanità e vivono di
statistiche e filmati: questi sono i protagonisti di una settimana in cui lo
sport è solo una punizione da scontare e l’abuso, di ogni tipo, è l’unica vera
salvezza. Eppure, in un contesto tanto sordido, Gent riesce comunque a ricreare,
attraverso le proprie malinconiche riflessioni, l’epica del football americano.
Da un lato la coralità degli eccessi e del cinismo, dall’altro il soliloquio di
un atleta atipico, inserito negli ingranaggi distorti del sistema, eppure
consapevole della realtà e del proprio destino, capace ancora di uno scarto
critico, di compredere la sottile linea di confine fra bene e male. In un mondo
ipocrita, che in nome di Dio e del dio denaro, chiude gli occhi e accetta le
peggiori turpitudini, Elliot ha ancora la forza per imboccare la via della
salvezza. Ed è proprio questo suo percorso di crescita a condannarlo. A nulla
valgono le sue indubbie doti di giocatore a mantenerlo all’interno del sistema,
né pesano gli eccessi folli, peraltro condivisi coi propri compagni, a
decretarne l’espulsione. Elliot viene messo fuori gioco, in un finale crudele e
inaspettato, dalla sua incapacità a irregimentarsi, dalla sua propensione a
scegliere l’individualismo critico rispetto alla stolida abnegazione verso
regole che trasformano la passione sportiva in logica del business. In
definitiva, per Gent lo sport diventa una sorta di metafora necessaria a
rappresentare un periodo controverso della storia americana e lo scontro fra
due culture agli antipodi: quella conservatrice, reazionaria e militarista connotata
da un Texas retrogrado e violento, e quella nascente, hippie e libertaria, che
risuona nelle canzoni di Dylan e nella testa di Elliot. Crudo, grottesco e
sempre al limite, il romanzo di Gent è imprescindibile non solo per chi ama lo
sport, ma anche per tutti coloro che vogliono gettare uno sguardo, cinico ma
decisivo, su un’epoca di grandi cambiamenti che condurrà l’America e il mondo
verso una nuova direzione.
Il
libro di Gent fu pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1973. Solo
adesso, a quarant’anni di distanza, viene edito anche in Italia.
Nel
1979, ne venne fatto un film per la regia di di Ted
Kotchef, con Nick Nolte nei panni di Phil Elliot.
Black, avrei sempre voluto chiedertelo : quella di critico musicale e letterario è la tua professione, vero?
RispondiEliminaPer quanto non ami i film e i libri che parlano di sport, soprattutto americani, io questo lo devo leggere!
Cristiana
Che bella recensione, complimenti, l'ho letta con piacere e mi ha molto incuriosito :-)
RispondiElimina@ Cris : ahahahah ! Se ti dicessi quello che faccio nella vita, mi sputeresti in un occhio ! :))Il libro merita, anche perchè lo sport è presente, ma alla fine è solo un pretesto.
RispondiElimina@ Alla Base : grazie mille. Il libro è anche meglio ! :)