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martedì 28 aprile 2015

MURDER BY DEATH – BIG DARK LOVE



Indie rock, indie – folk, alt-country, goth folk. Scegliete a caso una di queste definizioni comunemente usate per inquadrare la musica dei Murder By Death e mettere in conto che probabilmente avrete scelto il termine sbagliato. Soprattutto avendo riguardo a quest’ultimo Big Dark Love, settima fatica in studio della band proveniente da Bloomington (Indiana) e capitanata da Adam Turla, voce tenebrosa e songwriting cristallino, uno dei dischi stilisticamente meno coerenti ascoltati quest’anno. Meglio, quindi, partire dalle poche certezze, da quei pochi dati di fatto che sono le costanti di un disco altrimenti eccessivamente disomogeneo: da un lato un mood  crepuscolare e malinconico che si mantiene intatto per tutta la mezz’ora di durata dell’album; dall’altro, una ricchezza di strumentazione e arrangiamenti (il violoncello di Sarah Balliet, soprattutto, è una presenza decisiva nello sviluppo melodico di molti brani) che rendono il suono pieno e corposo. Fine delle certezze. Big Dark Love, infatti è un disco umorale, che modifica continuamente canoni espressivi, che confonde le idee spaziando fra diversi registri, che cambia le regole del gioco in corso d’opera e mette tanta carne al fuoco, riuscendo miracolosamente a non suonare mai sovrabbondante (aiuta la contenuta lunghezza dei brani che solo in un caso superano i quattro minuti). Nella prima parte del disco, infatti, sembra talvolta di ascoltare i The National (Strage Eyes), ma approfondendo gli ascolti si percepiscono anche echi molto british (la title track) e sonorità rasenti al soul, come nella doppietta centrale, assai brillante a onor del vero, di Dream In Red e Solitary One. Nella seconda parte, invece, si vira verso un suono decisamente più americano, rielaborato modernamente (Send Me Home mi ha fatto pensare ai Richmond Fontaine), levigato col pop per passaggi radiofonici (Last Thing), ossequioso verso la tradizione (Natural Pearl possiede lo stesso dna del Boom Chika Boom di Johnny Cash) e di derivazione cinematografica (Morricone e il western della conclusiva, splendida, Haunted). In definitiva non c’è nulla di lineare e scontato in Big Dark Love, e soprattutto all’inizio il rischio è quello di perdere il bandolo della matassa; eppure, sorprende il fatto che, nonostante la mancanza di coerenza stilistica, il risultato finale suoni tutt’altro che confuso. Fascinoso, semmai. Bisogna solo lasciarsi andare a qualche volo pindarico e sbrigliare un po’ la fantasia: le suggestioni arriveranno senz’altro.

VOTO: 7





Blackswan, martedì 28/04/2015

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