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mercoledì 30 dicembre 2015

MIGLIOR DISCO 2015: LE SCELTE DEL KILLER – dalla 15 alla 11




 

15) LAST DAYS OF APRIL - SEA OF CLOUDS

…Registrate in analogico, omogenee e compatte nella struttura, eppure al contempo leggerissime, le nove canzoni del disco possiedono il retrogusto agrodolce che avevamo già imparato a conoscere grazie a Elliott Smith, i Wilco, i Nada Surf e i Jayhawks, e fluttuano in una penombra estiva in cui filtrano, solo a tratti, piccoli raggi di sole che ammorbidiscono un mood decisamente malinconico. Sono molte le suggestioni prodotte dall'ascolto, alcune delle quali vivono solo a un livello emotivo (il country della title track), altre invece riguardano esclusivamente il piacere di melodie semplici e cristalline, in grado di rapirci fin da subito ed entrarci in testa in reiterati loop (The Artist è un gioiello di artigianato indie pop che farebbe invidia a Jeff Tweedy). Nessun filler ma tante belle canzoni, alcuni addirittura eccelse, quando diviene protagonista la pedal steel guitar, come nel mid tempo di Everybody Knows o nel lungo assolo della superba The Thunder & The Storm, vetta di un disco davvero riuscito e una delle migliori canzoni ascoltate quest'anno.


14) DAWES - ALL YOUR FAVORITE BANDS

…In definitiva, se rock e West Coast sono accostamenti inevitabili (e non potrebbe essere diversamente per un gruppo che nasce a Los Angeles, che è stato scoperto da Jonathan Wilson e che ha come nume tutelare un mito come Jackson Browne), in All Your Favorite Bands c'è però la visione moderna di una band che continua a stupirci con un suono (forse) risaputo ma maneggiato con gusto e originalità (come peraltro avevano già fatto con il precedente, bellissimo, Stories Don't End). Alla quarta prova in studio, i Dawes toccano il loro vertice creativo, si scrollano di dosso ogni sospetto di essere epigoni senz'anima di un suono retrò e danno alle stampe un disco che verrebbe voglia di definire un piccolo classico moderno per nostalgici che guardano avanti. Merito di alcune intuizioni che si smarcano dall'ovvio (la già citata Things Happen, la strana germinazione di Don't Send Me Away, frutto dell'azzardato innesto fra Fleetwood Mac e Blue Nile), e di un pugno di canzoni (almeno quattro di altissimo livello) che anche al decimo ascolto suonano fresche come la prima volta. Se poi volete proprio insistere a vederli come la copia 2.0 di Jackson Browne, va bene anche così: All Your Favorite Bands è comunque migliore di qualsiasi disco rilasciato dal cantautore losangelino da trent'anni a questa parte.





13) STEVE VON TILL – THE LIFE UNTO ITSELF

...Niente metal, niente doom, niente noise: il Von Till solista è un eremita del fingerpicking che, lontano da tutti, estraneo al mondo che lo circonda, dalle mode e dai suoni consueti, coltiva la sua concezione di americana in bilico fra esoterismo, psichedelia e visione. Accostarsi alle sette canzoni che compongono la scaletta del disco è un po’ come immergersi nel Lete, dimenticare il passato e le certezze, abbandonarsi al fluire obnubilante della musica, per risvegliarsi in un altrove di immense praterie e pece nerissima. Sette brani che ipnotizzano e la cui struttura melodica si compone di patterns acustici che, ripetuti all’infinito, celano trame disturbate di chitarra elettrica ed esaltano la voce cavernosa e ascetica di Von Till. Si parte con In Your Wings e la coltre è attraversata da brevi barbagli di luce. Poi, inizia un lungo piano sequenza di strazianti malinconie, che svaniscono in una maestosa caligine morriconiana (Known But Not Name), si sciolgono in lacrime nel funerale celtico di A Language Of Blood o si perdono negli spazi e nei silenzi della title track, un brano che dilata all’inverosimile quel suono “americano” che attraversa tutto il disco. A prescindere da ogni tentativo di spiegare cosa si celi in questi quarantacinque minuti di musica, ciò che resta alla fine dell’ascolto è l’appagante sensazione di aver vissuto un’esperienza extrasensoriale, consapevoli della propria finitezza fisica, presenti alle nostre malinconie, ma spettatori fluttuanti sopra il mondo senziente. Come arrivare in cima, e perdere la nostra piccola anima nell’infinita maestosità dell’orizzonte. Intimismo per spazi aperti.

12) ANDERSON EAST - DELILAH

...Anderson East fa sua la grande tradizione del profondo Sud e la infiamma con il fuoco della passione e con una pienezza di suono, che lascia a bocca aperta. Merito anche della breve durata del disco, composto da canzoni che, salvo rari casi, hanno una durata appena superiore a una sfuriata punk, e per questo estremamente incisive. Tante ballate al sapor miele e liquerizia, e sferzanti impennate R&B, impreziosite dal suono grasso dei fiati e da un vocione roco, che attribuiresti a uno scafato crooner piuttosto che alla giovane età di Anderson. Difficle trovare una canzone più bella delle altre, visto che Delilah tocca per tutta la sua durata un altissimo livello qualitativo e si beve in un fiato, lasciandoci in bocca la voglia di ricominciare subito. Ma proprio a voler segnalare un paio di pezzi, direi che la melodia del primo singolo, Satisfy Me, e What A Woman Wants To Hear, ballata in equilibrio perfetto fra americana e soul, valgono da sole il prezzo del biglietto. Insomma, non è un caso se Il Buscadero ha dedicato la copertina di ottobre a questo misconosciuto, ma straordinario artista, di cui, potete scommetterci, da questo momento in poi, non smetteremo di seguire le gesta. Soulful and powerful.





11) JJ GREY & MOFRO – OL’ GLORY

...Ecco allora, per arrivare al cuore della questione, che Ol’ Glory può essere definito la summa del JJ Grey pensiero: la musica di un rocker bianco che ha vissuto la propria vita ascoltando tutta la discografia Stax, e che ancora oggi gira in macchina con le cassette di Salomon Burke e James Brown sotto il cruscotto. Passatismo musicale? Nemmeno per idea. Le dodici canzoni in scaletta suonano freschissime, intense, immediate. Sia che il nostro si cimenti con i languori della ballata soul, sia che spinga il piede sull’acceleratore delle chitarre. L’inizio è morbido, con tre brani che ingolosiscono le orecchie con splendide melodie: Everything Is A Song, una sorta di Stand By Me 2.0,  The Island, lentone in punta di slide che scalda il cuore, e il primo singolo tratto dall’album, Every Minute, impreziosita da un assolo di Derek Trucks, ospite del disco. E poi, si prende il volo. Letteralmente. La voce graffiante di Grey si inventa un ballatone soul da strapparsi le mutande: Light A Candle è sesso puro, è Otis Redding che torna fra noi a lasciarci un ultimo saluto. Ho impiegato mezz’ora prima di passare alla canzone successiva, letteralmente rapito da tanto inaspettata gioia. Difficile tenere questo livello di meraviglia. Eppure, Grey ci riesce, dispiegando il meglio groove in circolazione, nel funk cazzoduro di Turn Loose. A questo punto, le coordinate sarebbero sufficienti per giustificare l’acquisto del disco. Poi, però, parte Brave Lil’ Fighter, welleriana fino al midollo e carica di ruvida malinconia, e vien da dire che forse c’è ancora un bel po’ di carne sulla griglia. Basta solo scegliere: il gospel di Home In the Sky, la frenesia chitarristica di Hold On Tight, il southern di Tic Tic Toe o il funky de-va-stan-te della title track, roba da James Brown impasticcato oltre il limite di guardia. Il disco si chiude con Hurricane che, a dispetto del titolo, è scarna, acustica, agrodolce. Un finale riflessivo, che ci aiuta a dare una risposta al quesito iniziale. JJ Grey. Chi era costui? Un grande, direbbe perfino Don Abbondio.





Blackswan, mercoledì 30/12/2015



4 commenti:

  1. Sto ancora aspettando che i dischi belli prima o poi arrivino in questa classifica, ma mi sa che dovrò attendere invano eheh ;D

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  2. Uhm...salvo tutto e mi metto all'ascolto! ;)

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  3. tanta bella roba, al primo ascolto Anderson East mi ha cappottato.

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  4. @ Marco: dipende da cosa intendi per dischi belli: se ti aspetti i Blur o Lana Del Rey rimarrai molto deluso :)

    @ Salvatore: Si vede che ne capisci molto di più del tuo amico Cannibale :)

    @ Bill Lee: Delilah è davvero tanta roba ! :)

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