Come di consueto, arrivati
a fine anno, ci divertiamo a stilare la classifica dei migliori dischi del 2015.
Ascoltati, riascoltati e rivalutati alla prova del tempo trascorso. Ecco i
primi cinque dischi, quelli che vanno dalla posizione 20 alla posizione 16. A
seguire, nei prossimi giorni, gli altri.
20) TOBIAS JESSO JR. – GOON
…Eppure, la sensazione è
che Jesso faccia le cose con appassionata sincerità, come se l’architettura
dell’album fosse frutto di un’estemporanea ispirazione e non di un progetto a
tavolino, e le melodie fluissero dal suo pianoforte vestite solo di disarmante
onestà. E poi, ci sono le canzoni, alcune davvero magnifiche (Just A Dream, For
You, Without You), tutte intelligentemente melodiche, catchy quanto si vuole,
ma mai affette da banalità o calcoli commerciali in odore di charts. Goon è un
album deliberatamente vintage, golosissimo per retromaniaci del pop di classe,
e decisamente poco incline alla modernità. Senza gridare ai miracoli e senza
utilizzare iperboli fuori luogo, possiamo però dire che i tre quarti d‘ora
della track list attraversano le nostre orecchie con piacevole semplicità,
stuzzicandoci a ripetuti, e sempre soddisfacenti, ascolti. Cosa che, al netto
di ogni intellettualismo, è ciò spesso ci spinge ad acquistare (e ad amare) un
disco.
19) FAITH NO MORE - SOL INVICTUS
…Perchè,
diciamolo subito, non sembra essere passato un giorno dall'uscita di Album Of
The Year e la band è più in forma che mai, l'inconfondibile timbro
vocale di Patton si è solo un poco ispessito ma resta assai
brillante, di idee valide ce ne sono parecchie (Mike Patton, in questi
vent'anni, ha messo in piedi progetti e collaborazioni a iosa) e di buone
canzoni pure (Rise Of The Fall, Black Friday). Resta, e non potrebbe
essere altrimenti, la sensazione di deja vù. Ma questo è un problema limitato a
coloro che hanno vissuto in prima persona il decennio e sono fans del gruppo
dalla prima ora. Per tutte le giovani leve, abituate a suoni ingessati e
ovvietà assortite, Sol Invictus rappresenterà un'inconsueta botta di
adrenalina. Bentornati.
18) PUNCH BROTHERS - PHOSPHORESCENT BLUES
…Un
disco, Phosphorescent Blues, che inizialmente perplime (sensazione di
arroganza alternative), ma che cresce a dismisura quando entriamo in sintonia
con la logica che sottende alla scaletta: rinnovare la tradizione
e giocare con le radici per vedere se l'innesto può produrre frutti
succosi che profumino di musica classica come in Passepied (Debussy), di pop
(le incantevoli Julep e I Blew It Off) e addirittura di funky soul (Magnet è
ciò che scriverebbe Prince se avesse a disposizione solo strumenti acustici).
Al comando di una band affiatatissima e dalle indubbie capacità tecniche
(andatevi a vedere i video delle loro performance dal vivo) c'è un signore che
si chiama Chris Thile: possiede una voce angelica e suona il mandolino come
Gesù. Non è un caso, quindi, se alcuni momenti di Phosphorescent Blues vi
sembreranno celestiali. Amen.
17) CLUTCH - PSYCHIC WARFARE
…Sono
una band da presa diretta, i Clutch, buona la prima e via,
approccio live senza mistificazioni di sorta e orpelli formali. Non è un
caso che le due canzoni citate siano presentate come un unico blocco tenuto
insieme da una partitura di batteria e che, in X-Ray Vision, Neil Fallon, come
se si trovasse sul palco, si metta a presentare tutta la band, regalandoci
uno dei passaggi più coinvolgenti e meglio riusciti del disco. Che, come si
diceva poc'anzi, per tutte le dodici tracce in scaletta, non perde un briciolo
della sua potenza e creatività, ma ci consegna anzi una band che sta
probabilmente vivendo il suo vertice artistico. In prima linea e pronti a
tutto, Neil Fallon e soci si gettano in assalti frontali e corrono sotto i
cannoneggiamenti, si esaltano nei corpo a corpo e non fanno prigionieri. E'
l'arte della guerra, campo nel quale i Clutch, ormai è chiaro a
tutti, eccellono.
16) BANDITOS - BANDITOS
…E cioè, che i Banditos non sono solo bravi da morire,
ma esaltano il loro roots rock abbastanza convenzionale (ma nemmeno troppo, in
fin dei conti) con una grinta e una passione davvero difficili da trovare in
giro. In queste dodici tracce c'è sudore da vendere, impeto, gagliardia, un
approccio da strumenti sbrigliati che cavalcano verso l'orizzonte finchè
c'è luce e fiato. Non è solo The Breeze, il graffio sudista che apre l'album: è
tutto il disco, anche nei suoi momenti meno concitati, a farci pensare che i
Banditos, se continuano con questa grinta, avranno un luminoso futuro. Nel
frattempo, godetevi un esordio coi fiocchi, in cui un suono che più roots non
si può amalgama con coerenza gli accenti cow-punk di Waitin' (un brano che
sembra uscire da un disco dei Lone Justice), il rock'n'roll alla Jerry Lee
Lewis di Still Sober (After All These Beers) e No Good, una zampata rock -
soul, in cui Mary Elisabeth Richardson fa grandi cose in memoria di Janis
Joplin. Energizzante e divertentissimo.
Blackswan, martedì 29/12/2015
Avevo adorato Album of the Year, mentre Sol Invictus purtroppo è al massimo una delle Schifezze of the Year. :)
RispondiEliminaBene invece Tobias Jesso Jr.