Se è vero che il tema
della strada ritorna con frequenza nella letteratura musicale americana, tanto
da trasformarsi spesso in una sorta di stereotipo, è per converso altrettanto vero
che in mano ad artisti come Lucinda Williams, quello che potrebbe essere un
abusato clichè, diviene invece folgorante narrazione. Dal vagabondare dell’infanzia
al seguito della propria famiglia, fino alla Gravel Road del 1998 e alla
Highway 20 dei giorni d’oggi, Lucinda di chilometri ne ha percorsi tanti,
tantissimi. Chilometri di vita e di musica, raccontati sempre con la lucida
visione di chi conosce a fondo la materia trattata e con quel mood nostalgico
di chi sa che a ogni pietra miliare ha lasciato dietro di sé, e lascerà, amori,
affetti, luoghi, ricordi dolcissimi, ferite che solo il tempo potrà lenire. La
Highway 20 è soprattutto questo: non solo una lunga lingua d’asfalto che
attraversa sei stati del Sud, ma l’occasione nostalgica per guardare l’orizzonte,
ripensando ai chilometri percorsi, costruendo un immaginario evocativo in cui le
storie della strada si intrecciano col resoconto del viaggio personale.
Fantasmi a ogni incrocio, a ogni stazione di servizio, fantasmi che non ci
danno tregua, coi quali dobbiamo convivere (“…and
my fears continue to haunt me, along with the ghosts that remain on Highway 20”
dalla title track), che ci rammentano la nostra finitezza, l’essere in
balia della morte e del fato (“…death came, death came and gave you his kiss…Oh, i miss
you so and i long to know why deth gave you his kiss” da Death Came). E’ l’occasione
della perdita del padre, il poeta Miller Williams, a spingere Lucinda, oggi
sessantatreenne, non solo a fare un bilancio della propria vita, ma a
universalizzare la risposta alle grandi domande della nostra esistenza (“But when you go, you’ll let me know if
there’s a heaven out there” da If There’s A Heaven). Highway 20 è in tal
senso un disco dolente, sofferto, che cammina in precario equilibrio sul ciglio
del baratro: da un lato, un vuoto di speranza, che mi ha ricordato, concedetemi
il volo pindarico, la poesia di Pavese (“Oh
cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla”);
dall’altro, l’istintuale attaccamento alla vita, il bisogno primordiale d’amore,
che ci tiene in piedi, ci fa respirare, ci spinge ancora a puntare l’orizzonte (“Trust me, you can’t close the door on our
love, just because you made somebody cry”). Forzando un po’ la mano a un’altra
similitudine letteraria, si potrebbe affermare che, come L’idiota fu per
Dostoevskji il lavoro preparatorio per il successivo I Fratelli Karamazov, così
The Ghosts Of Highway 20 porta alle estreme conseguenze le riflessioni del
precedente Down Where The Spirit Meets The Bone: quel suono e quegli
arrangiamenti ci sono, così come ci sono Bill Frisell e Greg Leisz alle
chitarre (uno degli elementi decisivi per il mood dell’album); tuttavia, la
Williams sceglie questa volta la strada dell’ortodossia e della linearità, puntando
su una narrazione monocorde, meno rockeggiante e più intimista. Ne consegue che
Highway 20 è un disco impegnativo, scorbutico, che va riascoltato più volte per
entrare in sintonia con una fascinazione che richiede immedesimazione totale
(difficile, se no, anche per uno springsteeniano di ferro, comprendere, ad
esempio, la livida trasposizione di Factory). Non siamo, dunque, di fronte al
grande affresco di Americana dipinto in Down Where The Spirit Meets Bone, e i
toni epici del racconto vengono quasi completamente sfumati in un cupo soliloquio
interiore; qui, si chiede all’ascoltatore lo sforzo di compenetrare lo sguardo
in soggettiva dell’artista, di mettersi in moto sull’ Highway 20 e macinare
chilometri, macinare vita, macinare ricordi. Imparare, soprattutto, a convivere
coi propri fantasmi.
VOTO: 9
Blackswan, martedì 01/03/2016
Grazie del consiglio, provo ad ascoltarlo subito!
RispondiElimina@ Michele: disco impegnativo, ma estremamente gratificante.:)
RispondiEliminaPezzo memorabile. Uno, se non è pazzo, corre a procurarsi il disco. Fossi in Lucinda ti assumerei, e di corsa. Tieni le chiavi, l’ufficio stampa è tuo!Grande Nick!
RispondiElimina@ Porter Stout: grazie mille, sono onorato :)
RispondiEliminaBellissima recensione :)
RispondiEliminaLucinda e' meravigliosa
@ Offhegoes: Grazie ! :)
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