Essere ovunque o essere in nessun luogo. Che
importanza ha? In quest'epoca iper tecnologica, lo spazio è solo una
condizione mentale: basta un computer per ridurre a pochi centimetri la
distanza fra uomini che vivono a centinaia di chilometri di distanza. E' questa
l'idea che sta alla base del processo di scrittura del nono album in studio dei
californiani Thrice. Dall'ultimo full lenght, Major / Minor, pubblicato nel
2011, i membri della band si sono, infatti, presi una pausa, ognuno a
inseguire progetti alternativi o a vivere la vita reale, quella che
sta lontana dai riflettori e dallo star system (il cantante Dustin
Kensrue, di fede evangelica, ad esempio, oltre a pubblicare un paio di
dischi in solitaria, ha diretto fino al 2014 la Mars Hill Church
di Seattle). Da qui l'intuizione che, prima di entrare in sala di
registrazione, il materiale potesse essere scritto e assemblato virtualmente e
in lontananza, utilizzando programmi come Logic Studios per la composizione e
Dropbox per la condivisione dei files. Solo dopo, il lavoro in studio vero e
proprio, con estenuanti sessioni a fianco del produttore Eric Palmquist, già
al servizio di Mutemath, Dot Hacker e Eyes Set To Kill. Il
risultato voluto (e raggiunto) è un disco che suona decisamente
diverso dai suoi predecessori, in grado di trasmettere emozioni attraverso
melodie orecchiabili, ma anche sostenuto da un impatto più
aggressivo e dinamico, ispirato ad alcune band molto apprezzate dai quattro
componenti del combo californiano (Cult Of Luna, Torche, Cave In, etc). I
Thrice, inoltre, spostano l'accento dai temi letterari (anche in questo caso,
però, il titolo del disco è preso in prestito dalle Lettere Morali a
Lucillo di Seneca il Giovane), scientifici e religiosi, che caratterizzavano la
precedente produzione, concentrandosi su liriche che toccano
maggiormente temi politici e sociali: Blood On The Sand, ad esempio, è un
attacco frontale al sistema delle lobby ("We wave our flags, we swallow
fear like medicine, We kiss the hands of profiteers and their congressmen"), Whistelblower è dedicata a Edward Snowdem, mentre
Death From Above prende di mira l'utilizzo dei droni nei bombardamenti. To Be
Everywhere Is To Be Nowhere è senza ombra di dubbio il disco migliore dei
Thrice dai tempi del sofisticato Vheissu (2005), meno eclettico ma più
diretto nella costruzione dei brani, decisamente riuscito nei contrasti
fra rumorosi walls of sound e azzeccati intermezzi melodici. Chitarra acustica
e pianoforte aprono Hurricane, la prima traccia dell'album, che dopo pochi
secondi si abbandona al fragore di chitarre post-rock e
sfocia poi in un malinconico ritornello emo-core a presa immediata. La
trascinante Blood On The Sand è un rock d'assalto imbastardito da scorie grunge
che reclamano la paternità dei Nirvana (Smells Like Teen Spirit), Black Honey
è una ballata elettrica e potente attraversata da grumi di disperazione, mentre The
Window possiede un riff ipnotico ereditato da I Might Be Wrong dei Radiohead.
Al passivo, solo la scontata Stay With Me, che accusa un eccesso di
"orecchiabilità" radio friendly, mentre l'eterea chiosa di Salt And
Shadow, all'apparenza fuori contesto, risulta l'appagante e pacificante
finale di un disco rumoroso e gagliardo, con cui i Thrice dimostrano di essere
una delle migliori, se non la migliore, band di post-hardcore in circolazione.
VOTO: 7
Blackswan, martedì 31/05/2016
Gran bella recensione! Anche io penso sia il migliore dai tempi di Vheissu. Un comeback spettacolare quello dei Thrice!
RispondiEliminaConcordo: un disco che si fatica a tirar via dallo stereo!
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