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martedì 31 maggio 2016

THRICE - TO BE EVERYWHERE IS TO BE NOWHERE



Essere ovunque o essere in nessun luogo. Che importanza ha? In quest'epoca iper tecnologica, lo spazio è solo una condizione mentale: basta un computer per ridurre a pochi centimetri la distanza fra uomini che vivono a centinaia di chilometri di distanza. E' questa l'idea che sta alla base del processo di scrittura del nono album in studio dei californiani Thrice. Dall'ultimo full lenght, Major / Minor, pubblicato nel 2011, i membri della band si sono, infatti, presi una pausa, ognuno a inseguire progetti alternativi o a vivere la vita reale, quella che sta lontana dai riflettori e dallo star system (il cantante Dustin Kensrue, di fede evangelica, ad esempio, oltre a pubblicare un paio di dischi in solitaria, ha diretto fino al 2014 la Mars Hill Church di Seattle). Da qui l'intuizione che, prima di entrare in sala di registrazione, il materiale potesse essere scritto e assemblato virtualmente e in lontananza, utilizzando programmi come Logic Studios per la composizione e Dropbox per la condivisione dei files. Solo dopo, il lavoro in studio vero e proprio, con estenuanti sessioni a fianco del produttore Eric Palmquist, già al servizio di Mutemath, Dot Hacker e Eyes Set To Kill. Il risultato voluto (e raggiunto) è un disco che suona decisamente diverso dai suoi predecessori, in grado di trasmettere emozioni attraverso melodie orecchiabili, ma anche sostenuto da un impatto più aggressivo e dinamico, ispirato ad alcune band molto apprezzate dai quattro componenti del combo californiano (Cult Of Luna, Torche, Cave In, etc). I Thrice, inoltre, spostano l'accento dai temi letterari (anche in questo caso, però, il titolo del disco è preso in prestito dalle Lettere Morali a Lucillo di Seneca il Giovane), scientifici e religiosi, che caratterizzavano la precedente produzione, concentrandosi su liriche che toccano maggiormente temi politici e sociali: Blood On The Sand, ad esempio, è un attacco frontale al sistema delle lobby ("We wave our flags, we swallow fear like medicine, We kiss the hands of profiteers and their congressmen"), Whistelblower è dedicata a Edward Snowdem, mentre Death From Above prende di mira l'utilizzo dei droni nei bombardamenti. To Be Everywhere Is To Be Nowhere è senza ombra di dubbio il disco migliore dei Thrice dai tempi del sofisticato Vheissu (2005), meno eclettico ma più diretto nella costruzione dei brani, decisamente riuscito nei contrasti fra rumorosi walls of sound e azzeccati intermezzi melodici. Chitarra acustica e pianoforte aprono Hurricane, la prima traccia dell'album, che dopo pochi secondi si abbandona al fragore di chitarre post-rock e sfocia poi in un malinconico ritornello emo-core a presa immediata. La trascinante Blood On The Sand è un rock d'assalto imbastardito da scorie grunge che reclamano la paternità dei Nirvana (Smells Like Teen Spirit), Black Honey è una ballata elettrica e potente attraversata da grumi di disperazione, mentre The Window possiede un riff ipnotico ereditato da I Might Be Wrong dei Radiohead. Al passivo, solo la scontata Stay With Me, che accusa un eccesso di "orecchiabilità" radio friendly, mentre l'eterea chiosa di Salt And Shadow, all'apparenza fuori contesto, risulta l'appagante e pacificante finale di un disco rumoroso e gagliardo, con cui i Thrice dimostrano di essere una delle migliori, se non la migliore, band di post-hardcore in circolazione.

VOTO: 7





Blackswan, martedì 31/05/2016

2 commenti:

  1. Gran bella recensione! Anche io penso sia il migliore dai tempi di Vheissu. Un comeback spettacolare quello dei Thrice!

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  2. Concordo: un disco che si fatica a tirar via dallo stereo!

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