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venerdì 1 luglio 2022

FANTASTIC NEGRITO - WHITE JESUS, BLACK PROBLEMS (Storefront Records, 2022)

 


Sul fatto che Xavier Amin Dphrepaulezz, al secolo meglio noto come Fantastic Negrito, sia un artista straordinario, è un’evidenza inconfutabile. Se è vero, infatti, che tre indizi fanno una prova, i tre Grammy vinti consecutivamente per i suoi ultimi tre album in studio (miglior disco di blues contemporaneo nel 2016, 2019 e 2020) collocano il non più giovane Dphrepaulezz (a gennaio ha compiuto 54 anni) fra gli artisti più influenti e seminali di musica nera del nuovo millennio. Non parliamo, ovviamente, di successo commerciale (FN era e resta un artista quasi di nicchia), ma di caratura artistica, che ha conquistato la critica grazie a un progetto musicale legatissimo al passato, ma in grado di rileggere la grande tradizione, rinnovandola. Ogni volta.

In tal senso, Fantastic Negrito è un artista non convenzionale, che potrebbe collocarsi all’interno di una confort zone ricca di soddisfazioni, se solo non fosse per quell’animo inquieto che lo porta a sperimentare, creando canzoni che suonano al contempo vintage e modernissime. Retromaniaco, certo, ma sempre imprevedibile nell’approcciarsi e nell’interpretare le radici. Al quinto album in studio, però, Dphrepaulezz azzarda ancora più del solito, e tira fuori il suo disco più sperimentale, che dispiega una vastissima grana espressiva (dalla psichedelia al funky, dal rock al pop, dal gospel al soul), in un gioco di rimandi complesso e in un intreccio musicale nevrotico, stralunato e decisamente bizzarro.

Xavier Dphrepaulezz è un sacco di cose, ma prevedibile non è certo una di queste. Se si pensa ai citati tre Grammy, vinti per il miglior disco di blues moderno, stupisce, allora, che il suo album numero cinque lo veda alle prese con un groove musicale e tematico che spinge la sua musica più lontano da qualsiasi cosa anche il blues, anche il più contemporaneo, comprenda. Chi segue Fantastic Negrito da sempre, forse non resterà spiazzato dal suo approccio anticonformista e innovatore, un elemento che ha comunque caratterizzato ogni sua opera passata; ma è fuor di dubbio che in White Jesus, Black Problems l’elemento sorpresa è di gran lunga superiore che in passato.

Un set musicale approntato con astuzia e coraggio, un viaggio instabile, irregolare, ardito, che fonde le radici con le intuizioni che avevano fatto brillare la musica di artisti quali Frank Zappa o Prince, un’opera che confonde, che non dà punti di riferimento, e che nel momento in cui si fa accomodante, prende immediatamente traiettorie apparentemente illogiche. Non capita spesso di ascoltare dischi di questo livello, e anche se ci vuole più di un ascolto per entrare in sintonia con questo mondo incredibilmente cangiante, la sensazione finale è quella di trovarsi di fronte a un discone, probabilmente il migliore di una discografia inappuntabile.

Non una scaletta semplice da affrontare, a partire da quel titolo, che suona come uno slogan politico, e da liriche che ammiccano a temi sociali e razziali (titoli come "You Don’t Belong Here", "You Better Have A Gun" e "Register of Free Negros" sono abbastanza espliciti in tal senso) ma che hanno anche una funzione di riscoperta del passato dell’artista, che recupera le storie dei suoi avi riportando alla luce vite lontanissime nel tempo.

Musicalmente, il disco inanella una serie di azzardi perfettamente riusciti, come appare evidente fin da "Venomous Dogma", il brano che apre la scaletta, fondendo orchestrazioni beatlesiane, languori psichedelici ed echi space rock, per virare improvvisamente verso sonorità gospel tradizionali, che evocano un immaginario fatto di paludi, fango e sudore. Echi di Sly & the Family Stone nel risuonano nel riff di apertura di "Nibbadip", che si trasforma quasi immediatamente in coloratissima chincaglieria pop anni '60. Se il frenetico rock di Trudoo scivola adrenalinico su un groove funky e dispensa fragranze Motown, in "In My Head" le acrobazie vocali doo-woop si schiantano contro un muro di funky alla James Brown, in cui un’eccitazione sudata viene tamponata dal velluto sotterraneo di brevi tocchi jazzati.

In questo percorso accidentato ma altamente suggestivo, riveste un ruolo importante anche la voce espressiva di Dphrepaulezz, in bilico perenne tra carezzevoli falsetti e ringhio nervoso, inafferrabile come la sostanza di cui sono fatte queste tredici, splendide canzoni.

White Jesus, Black Problems, giova ribadirlo, non è un’opera di facile assimilazione. Restare aggrappati al filo logico che sottende questa musica è come mantenere l’equilibrio dopo aver fatto un frenetico giro di giostra: si barcolla un po', prima di ritrovare stabilità e comprendere quanto ci si sia divertiti, tanto da voler ripetere immediatamente l’esperienza. Come si suol dire, il gioco vale ampiamente la candela. Aprite, dunque, il cuore e la mente, senza preconcetti, all’ecclettismo di Fantastic Negrito, e probabilmente vi ritroverete per le mani uno dei dischi più significativi ed eccitanti del 2022.

VOTO: 9

 


 

Blackswan, venerdì 01/07/2022

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