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mercoledì 31 agosto 2016

RYLEY WALKER - GOLDEN SINGS THAT HAVE BEEN SUNG



Quando lo scorso anno uscì l'acclamato Primerose Green, ne parlammo in termini certamente lusinghieri, ma evitammo di accodarci alla maggior parte della stampa specializzata, che vedeva nel secondo album in studio di Ryley Walker uno dei dischi più belli dell'anno. Pensavamo, infatti, che il songwriter originario dell'Illinois possedesse un talento smisurato ma pagasse un debito eccessivo alle proprie fonti di ispirazione, che vestivano di deja vù (Tim Buckley, John Martin, etc) la maggior parte delle canzoni in scaletta. Primerose Green, insomma, era un buon disco, suonato in modo eccelso, ma troppo derivativo. Pertanto, definimmo Walker un artista con delle potenzialità e un bagaglio tecnico tali da consentirgli di affrancarsi da un suono troppo immediatamente riconoscibile e di intraprendere un suo peculiare e più autonomo percorso. Forse, ci avevamo visto giusto, visto che Golden Sings That Have Been Sungs non solo conferma quanto di buono avevamo raccontato di Walker ma, anzi, aggiunge qualcosa in più. O meglio dire: toglie. Nel senso che il cantautore chicagoano sembra essersi in parte sgravato dagli ascolti giovanili che avevano profondamente inciso sul suo precedente songwriting, per cercare, riuscendo a trovarla, una propria identità. Certo, i suoni rimangono incredibilmente vintage e trapela inevitabilmente la passione per il folk revival, la psichedelia californiana (David Crosby in primis) e un'attitudine jammistica che allunga il minutaggio standard delle canzoni.




Eppure, questo nuovo lavoro risulta essere più vario, meno referenziale verso un certo tipo di suono, e più coraggioso nella scelta del linguaggio, che si fa maggiormente sbrigliato. Merito anche della produzione di Leroy Bach (Wilco) e di un gruppo di musicisti presi in prestito dalla scena jazz di Chicago (Brian Sulpizio alla chitarra elettrica, Ben Boye alle tastiere, Anton Hatwich al basso, Frank Rosaly e Quin Kirchner alla batteria, Whitney Johnson alla viola), che riescono a esaltare l'estro di Walker, creando un elegante tappeto strumentale su cui la chitarra acustica intreccia suggestive melodie. Solare e volatile (A Choir Apart, The Roundabout), ma anche visionario e estatico (The Great And Undecided), e al contempo capace di tinteggiare malinconiche visioni di cieli stellati (Funny Thing She Said), Golden Sings That Have Been Sung è un'opera articolata e complessa, in cui si fondono alba e crepuscolo, brume e barbagli di sole, terra e cielo, profumi agresti e brezze speziate, folk trasognato, psichedelia, Laurel Canyon e campagna inglese, sentori jazz, post rock, azzardi progressive e luccichii pop. Un disco che richiede più ascolti e la predisposizione ad abbandonarsi a un mood ricco di suggestioni e sommamente evocativo. Spesso, si fluttua a mezz’aria, affabulati.

VOTO: 8





Blackswan, mercoledì 31/08/2016


martedì 30 agosto 2016

CANZONI






I fans dei Metallica hanno (quasi) finito di aspettare. Il nuovo disco della band losangelina è pronto e vedrà la luce il prossimo 18 novembre. Hardwired…To Self-Destruct, questo il titolo dell’album, sarà un doppio (nell’edizione deluxe i cd saranno, invece, tre), durerà ottanta minuti circa e conterrà dodici nuove canzoni. Da qualche giorno il combo capitanato fa James Hatfield ha pubblicato il video di Hardwired, primo singolo estratto dal disco: una ferocissima tirata di tre minuti circa, che sembra restituirci una band in ottima forma e tornata agli antichi fasti d’un tempo.





Blackswan, martedì 30/08/2016

lunedì 29 agosto 2016

DELTA GENERATORS - HIPSHAKERS AND HEARTBREAKERS



Arrivati al loro quarto disco in studio, i Delta Generators, quartetto originario di Worcester (Massachusetts) ma di stanza a Boston, stanno finalmente ricevendo i riconoscimenti che si meritano. Non tanto a livello di vendite, visto che ci muoviamo in un ambito rock blues che resta prevalentemente di nicchia; quanto, piuttosto, in ambito professionale, dal momento che negli ultimi due anni la band è stata chiamata ad aprire i concerti di tanti illustri colleghi, dal compianto Johnny Winter a Robert Cray, da Popa Chubby a Jimmie Vaughn. Una bella soddisfazione per un gruppo relativamente giovane (hanno iniziato a calcare le scene nel 2008) e che ha fatto della coerenza e dell'integrità artistica la propria principale virtù. Nessuna concessione alle mode, quindi, nessun cedimento alle sirene dello show businness, ma un rock blues essenziale, scorbutico, diretto, che concede qualcosa solo al roots rock, all'americana e al soul. Hipshakers And Heartbreakes, seguito ideale del precedente, ottimo, Get On The Horse tiene fede a una concezione musicale primitiva, in cui la presa diretta prevale sui ceselli in fase di produzione: il disco è suonato dal vivo in studio, senza abbellimenti postumi, e si sente. Impossibile, allora, non essere travolti dal rock sporco e primordiale di Two Headed Snake, che ci riporta indietro fino agli anni '50, o dal fango bollente di Elephant In The Room o dal rock blues saltellante dell'iniziale Day That I Met You, con l'armonica ad aprire le danze e spingerci giù, verso le terre del Mississippi, o dal riff stonesiano di Strike The Bells. E non sono da meno i momenti più morbidi, con le ottime ballate Tom Waits For No One e Tumbling Away, a rammentarci che da queste parti non ci sono solo aspri rock blues ma anche caldi languori roots. Ottima la sezione ritmica, scarna e quadrata, di Jeff Armstrong (batteria) e Rick O'neal (basso), carichi di ruggine e polvere i licks chitarristici di Charlie O'neal, potente e vibrante la voce di Brian Templeton. Per chi ama una musica genuina, sporca e senza fronzoli.

VOTO: 7





Blackswan, lunedì 29/08/2016

domenica 28 agosto 2016

CANZONI




Ventidue anni, nata e cresciuta nel Tennesse, padre italiano, Kelsea Ballerini ha pubblicato il suo album d’esordio, The First Time, nel maggio del 2015. E ha subito fatto il botto. Il suo disco, infatti, si è piazzato molto in alto nelle classifiche country (e non solo) e i singoli estratti dall’album sono diventati veri e propri tormentoni radiofonici. Peter Pan, l’ultimo in ordine di tempo, ha venduto mezzo milione di copie ed è stato ascoltato, in streaming su Spotify, venti milioni di volte. Numeri pazzeschi che le hanno permesso di vincere l’ambito disco d’oro del Grand Ole Opry, consegnato a sorpresa durante un’esibizione del 10 agosto. Country pop commerciale, leggero e senza pretese, ma di gran classe.





Originaria del Missouri, ventinove anni, Angel Olsen ha acquisito notorietà come backing singer di Bonnie “Prince” Billy. Ha esordito in solitaria nel 2010 e i suoi primi lavori sono usciti nell’ormai desueto formato cassetta. L’uscita del prossimo disco, dal titolo My Woman, è prevista per settembre, via Jagjaguwar. A giugno 2016 è uscito il primo singolo, Intern, mentre da poco circola sul web il video del secondo singolo tratto dall’album. Sister è una grande canzone, coraggiosa nella durata (sette minuti e mezzo) e varia nella struttura, che incorpora cantautorato folk, echi shoegaze e un finale ad alto tasso di elettricità rock. Il video, così come la musica, gioca la carta degli opposti: notte e giorno, città e natura incontaminata, gioia e malinconia. Da brividi.





Il sesto album in studio per gli Hiss Golden Messanger, band originaria del North Carolina e proprietà quasi esclusiva del leader, M.C. Taylor, è ormai in dirittura d’arrivo. Il disco, che si intitolerà Heart Like A Levee, sarà distribuito a partire dal 7 di ottobre, via Merge Records, e viene ora anticipato da un primo singolo intitolato Tell Her I’m Just Dancing, brano rock dal grande impatto emotivo, che vede ospite alla batteria Matt Mc Caughan, già alla corte di Bon Iver. 





Blackswan, domenica 28/08/2016

sabato 27 agosto 2016

BLOSSOMS – BLOSSOMS



Molto rumore per nulla. Anzi, troppo rumore. Difficile, infatti, da credere che questi Blossoms, quintetto inglese proveniente da Stockport, siano la new sensation della scena (indie) pop britannica. E ancora più difficile comprendere come la stampa britannica, ma non solo quella, spenda parole di elogio per una band tra le più stucchevolmente inutili del decennio. La stessa stampa, peraltro, che evita accuratamente di recensire moderni dischi di classic rock e si erge a fustigatrice di costumi non appena esce una nuova band imparentata ai seventies. I Blossoms, infatti, non sono solo pedissequamente derivativi, ma saccheggiano a mani basse e bocca buona sonorità che derivano per figliazione dal brit – pop anni ’80, ’90 e dintorni. Prendendo il peggio, però. Per dire: Blown Rose mi ha fatto ripensare ai Keane, ed è un vero colpo basso, visto tutto quello che ho dovuto fare per dimenticarmi di aver ascoltato, nel 2004, un disco come Hopes And Fears. E poi il synth pop. Qui, di rimandi a quella musica concepita su un’estetica disperata e contenuti inesistenti ce ne sono a bizzeffe, tanto che, quando parte Charlemagne, singolo che apre il disco, le orecchie dell’ascoltatore vengono risucchiate in un vortice di plastica che ti spinge lentamente fra le braccia di Limahl e dei suoi Kajagoogoo. E ho detto tutto. Insomma, avevamo fatto salti mortali per dimenticare, e invece i Blossoms ti colpiscono alle spalle, resuscitando fantasmi che pensavi il tempo avesse cancellato per sempre. Ma il punto non è questo, o meglio, non solo. Perché, personalmente, non ho nulla contro chi si ispira a un genere e ce lo vuole riproporre. Se non fosse così, non ascolterei la metà dei dischi che poi recensisco su questa pagina. Ma c’è modo e modo: in questo album d’esordio tutto suona zuccherino, posticcio e tronfio di un’estetica radiofonica d’accatto. E il rischio vero è che qualcuno cada nel tranello e si ritrovi a canticchiare, sotto la doccia, queste canzoncine insulse. Perché i brani che compongono la scaletta del disco sono come i pipistrelli: fanno ribrezzo, ma se si attaccano alla testa, poi, è quasi impossibile tirarli via.

VOTO: 4 





Blackswan, sabato 27/08/2016