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lunedì 31 ottobre 2011

IGGY & THE STOOGES -RAW POWER LIVE - IN THE HANDS OF THE FANS - DVD





Il 3 settembre del 2010, gli Stooges si riunivano per un concerto da tenersi nell'ambito dell' "All Tomorrow Parties Festival". Tramite un concorso lanciato sul web, sei fans del gruppo vennero selezionati, non solo per assistere  gratuitamente al concerto, ma anche, e soprattutto, per incontrare e intervistare la band.Questo DVD, freschissimo di pubblicazione, immortala l'evento, cogliendo gli Stooges  in un'epocale esibizione, durante la quale eseguono per intero " Raw Power ", capolavoro datato 1973.Chi ha assistito nella propria vita ad un concerto degli Stooges sa esattamente cosa troverà in questi 150 minuti di film ( intervista compresa ) :canzoni straordinarie che non pagano ancora debito al tempo trascorso dalla loro genesi e un rito collettivo di purificazione sciamanica in cui l'assoluto protagonista, a dispetto dei 64 anni suonati, è lui, Iggy Pop, l'iguana del rock. Difficile credere che un arzillo vecchietto, pronto per la pensione anche secondo le norme italiane di futura introduzione, sia ancora capace di affrontare un live act con tanta foga, di avere la forza fisica per tenere un'ora e mezza di concerto, zompando da un lato all'altro del palco e non disdegnando frequenti tuffi fra il pubblico festante.Eppure, lo dico per tranquillizzare i più scettici, posso confermare che è tutto assolutamente vero, avendo assistito alla medesima esibizione degli Stooges quest'estate a Rock In IdRho ( dove faveno da spalla, gli assurdi della vita, ai comunque bravi Foo Fighters ).Come si diceva, il cuore del Dvd è " Raw Power ", album suonato per intero, a cui si aggiungono i grandi classici di sempre come " I Wanna Be Your Dog ", " No Fun ", " Fun House " e " 1970 ".Da segnalare una versione intensissima e sanguinante di " Gimme Danger " e una assolutamente folle di " Shake Appeal ",suonata con il palco invaso da una baraonda di fans. Nonostante James Williamson non sia Ron Asheton, Iggy ogni tanto perda qualche colpo, e in scaletta manchi " Down On The Street "( argh ! ),  il dvd è assolutamente imperdibile per quanti, come il sottoscritto, adorano i padri del sound di Detroit.
Voto : 7,5
Blackswan, lunedì 31/10/2011

COLDPLAY - MYLO XYLOTO





Premetto che, nonostante i miei gusti siano più orientati verso il rock, non ho alcuna forma di prevenzione nei confronti del pop.Anzi, sono sempre stato intimamente convinto che sia molto difficile scrivere una buona canzone pop, che sappia star lontano dalle banalità, e riesca a far convivere melodia e buon gusto .Peraltro, per quanto riguarda i Coldplay, posso addirittura definirmi un fan della prima, e unica, ora, nel senso che ho amato visceralmente il loro esordio del 2000, " Parachutes ", iniziando a tollerarli poco fin dal loro secondo album ( " A Rush Of Blood To The Head " ).Eppure, hai tempi di " Yellow ", i Coldplay erano un gruppo di ragazzi con davanti un futuro ricco di prospettive, una band che faceva della sincerità il proprio punto di forza e che sapeva scrivere canzoni, a mio avviso, tutte decisive.Ma si sa, come di solito vanno le cose : si vendono dischi, il romaticismo lascia il posto al sentimentalismo, la malinconia viene sostituita dall'appagamento piacione di chi ha raggiunto il successo e si trova nella vantaggiosa posizione di seguire le regole di mercato e non i propri istinti artistici.Insomma, pecunia non olet e ci mancherebbe altro.Pertanto, in virtù dei motivi suesposti, mi accosto ad ogni lavoro di Chris Martin e soci, da un lato con prudenza e somma circospezione, dall'altro con la remota speranza che prima o poi il gruppo inglese riesca a scrivere un'altra canzone del livello di " Trouble " o " Shiver ".Nello specifico di " Mylo Xyloto", la speranziella si era vieppiù rinfocolata dall'aver appreso che la produzione del cd passava per le mani di quel geniaccio di Brian Eno.E invece, come da copione, la storia si ripete. Non che il disco sia brutto, per carità:se dicessi che fa schifo, davvero non sarei obiettivo.I Coldplay, a essere sinceri, non fanno brutti dischi, semmai fanno dischi inutili, variegati nella forma, ma terribilmente omologati nella sostanza.L'impressione che ho avuto ad ascoltare " Mylo Xyloto " è che queste quattordici canzoni altro non siano che la colonna sonora di una passeggiata per un centro commerciale durante le feste natalizie.Tutto è sovrabbondante, ricco di colori e di effetti, scoppiettante, rumoroso e a tratti, pure un pò cafoncello ( che altro si può dire di brani come "Every Teardrop is a Waterfall " e " Princess of China " ? ).Però, scartata la luccicante confezione  e venuta meno l'opulenza del momento, resta nelle mani molta plastica e poco arrosto.Un pò come se il pacco e i fiocchi fossero di gran lunga più costosi del regalo.Allora, non ti resta che celare la delusione con un sorriso di circostanza e sperare che alla prossima ricorrenza sarai più fortunato.
VOTO : 6
Blackswan, lunedì 31/10/2011

domenica 30 ottobre 2011

GUITAR HEROES : JOHNNY MARR

Una delle poche certezze acquisite nella mia ormai più che trentennale carrriera di appassionato di musica ( ho avuto un’inizio molto precoce ) è il fatto, a mio avviso incontrovertibile, che gli Smiths siano stati uno dei pochi gruppi della scena musicale inglese ad essere davvero seminali. Ad avere inventato cioè un linguaggio universale ( alcuni altri gruppi hanno fatto cose egregie nel sottobosco indie ) dal quale ha attinto, rielaborandolo, un’intera generazione di musicisti ( si pensi agli Stone Roses o ai Suede, ad esempio ).Non solo gli Smiths aprirono le porte al movimento brit pop ( che trovò qualche anno più tardi il proprio manifesto nel primo e unico lavoro dei La’s ) e diedero visibilità a livello sociale al tema dell’omosessualità e della diversità in genere , ma grazie all’estro di Johnny Marr riportarono al centro della canzone lo strumento chitarra. Non però i riff rabbiosi del punk o gli assoli incendiari degli anni ’70 e nemmeno le contorsioni noise di derivazione garage di Thurston Moore e soci .Nossignore. Le canzoni degli Smiths si sviluppano su un chitarrismo colorato, luccicante, a volte addirittura stralunato, giocato tutto su cascate di morbidi arpeggi che vestono alla perfezione, esaltandone la drammaticità, il canto monocorde e dolente di Morrissey.Di chiara derivazione Byrdsiana, la peculiarità del suono di Marr ( che influenzerà in seguito giovani musicisti come Noel Gallagher, Bernard Butler e John Squire ) è determinata dall’utilizzo di una Rickembacker 300 a dodici corde ( un tempo appertenuta a Pete Townshend ) su cui il chitarrista sfoggia un’invidiabile tecnica, sia col plettro che con le dita. Musicista intuitivo e moderno, Marr, a differenza dell’istrionico Morrissey, amava una posizione defilata ( chi trova un suo primo piano in un video ufficiale vince una birra! ), mettendosi al servizio della canzone piutosto che del proprio ego. Ecco perché durante la sua militanza con gli Smiths si cimenta in solo due assoli ( uno in “ Shoplifters Of The World Unite “ e l’altro in “ Paint a Vulgar Picture “ ) preferendo “marchiare a fuoco “ i brani con una vasta gamma di tecniche diverse che vanno dal glissando scintillante di “ How Soon Is Now ? “, al folgorante riff di “ Bigmouth Stikes Again “ fino al wah wah epocale dell’attacco di “ The Queen Is Dead “.



Blackswan, domenica 30/10/2011

sabato 29 ottobre 2011

JACKSON BROWNE - LATE FOR THE SKY


Nick Hornby, nel suo saggio " Trentun Canzoni ", fa ammenda verso sè stesso per aver volontariamente trascurato " Late For The Sky " per tanti anni ed averlo scoperto solo di recente, in età adulta. Questione di stupido snobismo, sostiene : l'aspetto dimesso, i buffi capelli a caschetto, il fatto di ritrovare i dischi di Browne nelle discografie delle compagne di liceo e l'indomita propensione verso il punk, impedirono allo scrittore inglese di godere di un disco che, cito testuale: "è molto, molto migliore di quanto avrei mai immaginato". L’atteggiamento di Hornby verso il terzo album del cantautore californiano ricalca  più o meno il mio. In giovane età, mi avvevano regalato " Running On Empty " e, salvo la celeberrima " The Road ", non mi piaceva affatto, lo trovavo ( io che allora ritenevo, ingiustamente,  l'Inghilterra il cuore pulsante del mondo musicale ) troppo smaccatamente americano.Col passare degli anni, invece, trovai quel disco , prima molto piacevole, poi decisamente bello.Comprai allora " Late For The Sky ", con la curiosità di approfondire un autore troppo frettolosamente catalogato e altrettanto frettolosamente messo da parte. Fu amore a primo ascolto, un amore semplice, reciproco ( io do qualcosa di me a Jackson e lui contraccambia in note ) e diretto, fatto di tante tenerezze e struggimenti malinconici. Perchè  " Late For The Sky ", una volta accantonato tutto lo snobismo post adolescenziale, suona alle mie orecchie esattamente per quello che è: un capolavoro. Affermazione apodittica, ne converrete, ma come sono spesso le affermazioni apodittiche, mossa esclusivamente da appassionata e febbrile dedizione. Otto in tutto le canzoni del disco, e una più bella dell'altra. Basterebbe questo semplice e facilmente constatabile rilievo artistico per giustificare l’apparente assolutismo di prima. Ma c'è di più.  " Late For The Sky " è il disco che parla del divorzio di Jackson Browne dalla sua prima moglie .E' un lavoro  pervaso da tristezza, rammarico, risentimento, dolore.Eppure, non c'è una nota di esasperazione, nessuna iperbole, nessuna traccia di melodramma.Ogni singola canzone è dipinta con i colori tenui del pastello.C'è una delicatezza nell'esposizione che lascia basiti, come se l'urgenza di esprimere una sofferenza immensa, trovasse nella musica un sorta di romito intimista, di sussurro dell'anima che spiega senza necessariamente voler convincere.Canzoni che potrebbero essere strazianti, ma che risultano essere invece solo consolatorie.Mai sopra le righe, Browne esprime la propria fragilità, si mette a nudo, con pudore e timidezza, parla della fine di un amore con le parole e i sentimenti che tutti abbiamo provato in circostanze analoghe .L'amore, che non c'è più, anche se vorresti non fosse così ; il male che lei/lui ti ha fatto, il risentimento per questo dolore e la nostalgia dei bei momenti che non torneranno.Otto canzoni che scavano sommessamente nel lato oscuro dei sentimenti, senza però che il rancore prenda il sopravvento, lasciando al cuore il tempo per rigenerarsi, in una catarsi emotiva che tutto risolve in un sorriso amaro, certamente triste, ma vitale. La title track è una delle canzoni più belle della mia vita, ogni volta che l'ascolto mi commuovo alle lacrime. "Guardandoti dritto negli occhi” ,canta sommessamente Browne, “non ci vedevo nessuna faccia conosciuta. Che vuota sorpresa sentirsi da soli. Adesso certe parole vengono fuori facili. Ma so che non significano poi tanto se penso alle cose che si dicono  due amanti quando si toccano". Si può esprimere meglio il disagio per un'amore finito, per una persona che ti ha accompagnato per anni e che ora sembra un'estranea? Quanto è sobrio e delicato, Browne, nel descrivere la pena, con quell'incipit per pianoforte e chitarra, miracolosamente fuse in un unico dolcissimo lamento. E poi, l'assolo centrale di chitarra di David Lindley, che penso, e difenderei a spada tratta questa mia opinione contro il mondo intero, sia uno tra i dieci più belli della storia della musica.Tecnicamente ineccepibile, misuratissimo, pregno di una sincera emozione che cresce ad ogni tocco di plettro.Così come è strepitosamente bella ed altrettanto commovente la successiva " Fountain Of  Sorrow", il cui testo  parte dalla descrizione di una fotografia per raccontarci di una fontana di tristezza da cui nascono le incomprensioni che porteranno al successivo abbandono.Poche e strazianti note di pianoforte che ti piazzano un groppo in gola ad ogni nota suonata. " Farther On " si sviluppa su una complessa linea di canto che si scioglie nei ricami sinuosi della chitarra di Lindley ( c'è, è tutto, e quasi non te ne accorgi ) conducendo per mano l’ascoltatore in una dimensione sonora quasi eterea, impalpabile.E quanti al mondo sono stati in grado di scrivere una canzone come " For a Dancer ", così semplice, quasi dimessa, eppure così deliziosamente orecchiabile, con i controcanti ed il violino, che si muovono con la leggerezza di foglie  in balia del vento ? Scrivo di questo disco e nel contempo lo ascolto. Confesso che come al solito vengo travolto da un’ondata di emozioni difficilmente controllabile. Ha ragione Hornby quando dice che questo è un disco che non si può capire ed amare quando sei giovane. Occorre, cito di nuovo testualmente, " aver vissuto un pò per comprendere la profondità dei sentimenti che ha dato forma a queste canzoni". Ma alla mia età, all'età di Hornby e alla vostra, se avete superato la quarantina, so che non vi sarà difficile comprendere la perfetta bellezza del capolavoro del cantautore americano più triste e lontano dagli schemi.Tutto sommato, quando si tratta di muisca, non è mai troppo tardi per il cielo. 

Blackswan, 29/10/2011

I TITOLI GRECHI

Pare che la letterina di Babbo Natale presentata dal governo B. alla commissione europea non abbia sortito grande effetto.La Merkel, infatti, si è subito affrettata a dire che l'Europa si fida solo di Napolitano, mentre i mercati precipitano che è un piacere:il Tesoro vende all'asta i titoli di Stato a un tasso di interesse del 6,06%, mentre lo spread schizza felice nell'azzurro senza fine del cielo. Una questione di fiducia, credo. O più probabilmente di incomprensione. Fatto assolutamente plausibile se fra gli estensori della Wish List c'era anche lei, Daniela Santanchè, il braccio armato del botulino.




Blackswan, sabato 29/10/2011

venerdì 28 ottobre 2011

IL FUTURO DEI MORIBONDI



C'è un contraddizione feroce alla base del decreto sviluppo contenuto nella letterina presentata dal governo B. alla commissione europea.Una contraddizione che è la tara congenita di questo paese che precipita nel baratro: le decisioni relative al nostro futuro, al futuro dei nostri giovani,vengono prese da due vecchi moribondi, Berlusconi e Bossi, che di futuro non ne hanno più.Due figure grottesche, due burattinai stanchi, svuotati di ogni parvenza di umanità, il cui ostinato attaccamento al potere sta condannando l'Italia ad anni di disperazione.Il nostro è un paese senescente, in cui i ruoli chiave, politici, istituzionali, imprenditoriali, sono in mano ad anziani trafficoni che pensano al loro presente tornaconto senza nemmeno un minimo sindacale di lungimiranza che crei prospettive per le nuove generazioni.Gli impegni presi innanzi all'Europa altro non sono che lo specchio di questa contraddizione: provvedimenti che servono solo a salvare un governo agonico, che dovrebbero fare crescita e sviluppo e che invece si concentrano unicamente sulla macelleria sociale.I ricchi perennemente salvati e i poveri costretti a stringere una cintura che non ha più buchi disponibili.Erano necessari interventi strutturali che guarissero le ataviche patologie di una nazione malata terminale, ma invece del chirurgo, in sala operatoria hanno mandato un cerusico demente che cerca di curare il carcinoma con l'aspirina e l'acqua santa.Licenziamenti più facili, mobilità coatta, età pensionabile demandata al giorno delle esequie.Che c'entra tutto ciò con la crescita ? E di che crescita stiamo parlando ? Della loro,ovviamente. Così si muore, e non solo in modo figurato.E' arrivato il momento di mettere fine all'immondezzaio berlusconiano che ammorba l'aria, di prendere le distanze da un'opposizione tremante guidata da grigi figuri che altro non sono se non l'immagine riflessa e sbiadita di chi ci governa, di ribellarci alla logica marchionnecentrica del profitto a prescindere.Se non reagiamo adesso, poi sarà troppo tardi.Ora,servono i fatti,durissimi,inequivocabili.Il tempo delle parole è finito.E l'unica via d'uscita per riappropriarci del nostro futuro è lo sciopero ad oltranza, una mobilitazione generalizzata e continuata che paralizzi il paese.Noi non abbiamo più nulla da perdere, loro,che vivono in nome del dio denaro, tutto.
 
 

 Blackswan, venerdì 28/10/2011

giovedì 27 ottobre 2011

TOM ROB SMITH - AGENT 6





Mosca 1950.Bloccato dai mostruosi meccanismi della burocrazia sovietica, l'ex agente segreto Leo Demidov non può partire con la moglie e le figlie alla volta di New York.Il loro è un "tour di pace", destinato a migliorare le relazioni tra le due superpotenze che si fronteggiano nella Guerra Fredda. Eppure Leo ha paura per loro: perché è stata scelta proprio la sua famiglia? Chi e che cosa si nasconde dietro il viaggio oltrecortina?Quando i peggiori incubi di Leo prendono corpo, e un tragico omicidio distrugge tutto ciò che ama, lui chiede solo una cosa: che gli sia concesso di indagare per cercare l'assassino che ha colpito al cuore la sua famiglia. Distrutto dal dolore, ma ancora costretto a restare in patria, Leo non vede altra via d'uscita: deve intervenire, anche se si trova a migliaia di chilometri dalla scena del delitto.In un racconto ricco di eventi e colpi di scena, che si svolge nell'arco di tre decenni e attraversa i continenti - dalle vie più segrete della New York anni Sessanta alle impervie montagne afgane degli anni Ottanta - Leo non si fermerà davanti a nulla.La sua è una caccia all'uomo, l'unico che conosce tutta la verità:l'inafferrabile Agent 6.


Tom Rob Smith fece il botto nel 2008 con il best-seller "Bambino 44", esordio folgorante con cui si dava inizio alla saga dell'agente del KGB, Leo Demidov, e che a breve vedrà la trasposizione cinematografica per la regia di Ridley Scott. Il secondo capitolo della storia di Demidov, " Il rapporto segreto ", pur mantenendo sempre alto il livello di suspance e la qualità di scrittura, mi aveva lasciato un pò tiepido, forse perchè le cartucce migliori ( l'ambientazione nella tetra Russia staliniana, la figura del protagonista,sempre in bilico fra scelta etica e fedeltà al partito ) Smith le aveva già sparate. " Agent 6 " parte con le migliori premesse, con un racconto che si snoda in trent'anni e attraverso tre continenti, e un impianto narrativo che, se a volte sembra un pò disomogeneo e confuso, è però sorretto da una scrittura sempre piacevole e da una ricostruzione storica minuziosa e attendibile.Tuttavia, ciò che manca davvero rispetto ai due predecessori è l'elemento peculiare del thriller, e cioè il colpo di scena.Queste cinquecento pagine, più che sviluppare una trama gialla ( che c'è,non preoccupatevi ), si muovono sui binari del romanzo di avventura ( soprattutto nella parte del libro che si svolge in Afghanistan ), cercando anche di dar vita a qualche tentativo di introspezione psicologica dei personaggi che, pur non dispiacendo nello sostanza, finiscono per ingolfare un pò la lettura, generando qualche estemporaneo sbadiglio.Il risultato finale, ad ogni modo, è piacevole,la prosa di Tom Rob Smith è di gran lunga superiore alla media dei colleghi di genere,e Leo Demidov è un personaggio di cui è impossibile non apprezzare il rigore morale e la coraggiosa ostinazione.

Blackswan, giovedì 27/10/2011

MASTODON - THE HUNTER



A parte il modesto ( anzi, noioso ) "Live at the Aragon", uscito a marzo di quest'anno, i Mastodon possono vantare una discografia senza cedimenti. Certo, ora il cammino intrapreso dal combo del funambolico batterista Brann Dailor ha virato decisamente verso un metal più variegato e radiofonico rispetto alla violenza primordiale degli esordi o alle esplorazioni prog-oriented di "Crack The Skye ".Tuttavia, nonostante un suono più pulito, l'uso limitatissimo del growling a vantaggio del canto melodico,e qualche inserto elettronico, la qualità di "The Hunter" resta altissima.Merito di una scaletta di buon livello compositivo, della struttura di brani non lineari e ricchi di citazioni " colte " ( su tutti mi pare che siano frequenti i riferimenti a certi ipnotismi pinkfloydiani ) e della produzione scintillante di Mike Helizondo.Fatto salvo, come si diceva, un approcio meno cattivo alla canzone, il marchio di fabbrica rimane chiaramente " Mastodon " : riff di chitarra potenti che intrecciano lo sludge con lo stoner e il thrash, fulminanti assoli di bella ricercatezza tipici del prog metal, aperture melodiche ( qui più accentuate ) mai banali.Quantunque qualche riserva la si possa avanzare sulle prove vocali del terzetto Hinds, Sanders e Dailor ( non sempre a loro agio con le parti melodiche ), la band mantiene comunque un livello tecnico altissimo.Basti pensare alla prestazione da autentico fuoriclasse di Brann Dailor ( a mio avviso il miglior batterista metal in circolazione ) che col suo drumming rutilante e perennemente controtempo ( ascoltatelo nell'art--metal di "Octopus Has No Friends ", nella quale non c'è una battuta al posto giusto ), impreziosisce ulteriormente un filotto di canzoni ad alta densità energetica.Tra i tanti brani di alto livello,una menzione a parte va,oltre alla citata "Octopus... ", anche al cupo incedere della title track ( che fa pensare ad una versione aggiornata di " Down in The Hole" degli Alice In Chains ), alla magnificenza prog di " Thickening " e alla conclusiva psichedelica "The Sparrow ", che non può che rimandare a certe sonorità tanto care a Gilmour e soci. "The Hunter ", in definitiva, potrebbe definirsi il disco della maturità dei Mastondon, se il percorso intrapreso dal gruppo fosse dritto come un'autostrada.In realtà, fra tornanti, curve a gomito ed improvvise deviazioni, ancora non è chiaro dove il quartetto voglia andare a parare e se la crescita creativa abbia ulteriori margini di miglioramento. Poco importa. Godetevi " The Hunter " per quello che è: un disco che fa bene al rock.
 
VOTO:7,5
 
Blackswan, giovedì 27/10/2011

mercoledì 26 ottobre 2011

IL PRIMO CHE RIDE, HA PERSO

A Bruxelles è tutto un ammiccare, un darsi dentro di gomito, uno sfregarsi le mani per l'attesa.Oggi, si gioca a " il primo che ride, ha perso ".C'è gente che ci scommette la cena o un giro di birra.Perchè sarà un'impresa ai limiti dell'impossibile non stramazzare a terra dalle risate quando il nano bitumato dal cerone facile, si presenterà in commissione europea con in mano la letterina di Babbo Natale.Non un elenco di decisioni da prendere a stretto giro di Consiglio dei Ministri, ma piuttosto una wish list, una lista di desideri, vorrei ma non ne sono capace.Il contenuto della letterina rappresenta quelle che sono le reali intenzioni del governo italiano su come affrontare il pauroso debito pubblico: forse, può darsi, non so, vedremo.Meglio sarebbe stato giocare a carte scoperte, presentandosi da Barroso con una scatola di goldoni, un paio di manette e il crocefisso della Minetti. Non facciamo un cazzo, ma in compenso si tromba che è un piacere.Il fatto è che Al Nanone non sa da che parte girarsi.L'unica cosa che gli è venuta in mente,invece di intervenire seriamente sull'evasione fiscale ( 150 miliardi di euro evasi ogni anno ), è quella di andare a toccare le nostre pensioni.Le nostre,ovviamente.Le loro non se le toccano mai.D'altra parte questa marmaglia di cialtroni è fatta così, pensa solo ai propri cazzi.E' da un mese che sbandierano ai quattro venti un fantomatico decreto sviluppo ( nell'attesa, sono riusciti a far diventare leninista anche la Marcegaglia ), e l'unica certezza è che, fra le pieghe di non si sa cosa, è stata inserita una norma che consente a B. di decidere come disporre del proprio asse ereditario, stravolgendo le quote legittime previste dalla legge in vigore.Un codicillo che gli permetterà di favorire nella sucessione PierPirla e Marina, a discapito di Veronica e degli eredi di secondo letto.Una porcata coi controfiocchi, che introdurebbe nell'ordinamento giuridico italiano il concetto di figli di serie A e figli di serie B. Ma l'ometto, si sa, è fatto così:se non gli viene utile giurarci sopra, la testa di un figlio non ha alcun valore.
 
Blackswan, mercoledì 26/10/2011

martedì 25 ottobre 2011

JAMES MADDOCK - WAKE UP AND DREAM

A chi se lo fosse perso,consiglio vivamente l'acquisto di " Sunrise on Avenue C ", disco d'esordio di questo songwriter inglese trasferitosi negli States, a New York precisamente, per questioni di cuore.Un'opera prima che,come solo raramente capita, giustificava gli sperticati elogi della stampa specializzata, proponendo all'ascoltatore un pugno di canzoni di misurato pop-rock d'impronta chiaramente americana e di intensa credibilità emotiva.Evidentemente, Maddock ( qualcuno forse lo ricorderà dieci anni fa come leader dei Wood ) vive un momento molto fertile dal punto di vista creativo o forse, semplicemente, cerca di battere il ferro finchè è caldo.Tant'è che, all'inizio del 2011, ha pubblicato un bel live dal titolo " Live At Rockwood Music Hall " ( già recensito su queste pagine ) e a fine estate ha rilasciato il secondo lavoro in studio," Wake Up  and Dream " appunto.Rispetto al primo cd, non ci sono grandi cambiamenti di registro, se non un'attenzione più marcata alla costruzione melodica a discapito di qualche soluzione più decisamente rock.Ma questo non necessariamente è un difetto, dal momento che il nostro possiede una bella pulizia di scrittura e soprattutto si tiene lontano da zuccherine banalità.A voler necessariamente inquadrarne la musica tramite i soliti paragoni, potrei dire, senza sbagliarmi di molto, che Maddock è uno Springsteen mutuato al pop o ( addirittura ) un Chris Rea più roco e meno sofisticato.Eppure anche queste definizioni sarebbero riduttive.Così come lo sarebbero gli abusati rimandi a Billy Joel, Jackson Browne, James Taylor e via referenziando.La verità è che il cantautore inglese fa venire in mente chiunque si sia cimentato con la ballata metropolitana, pur mantenendo in realtà uno stile personalissimo e immediatamente identificabile.Sebbene" Wake Up and Dream " non sia all'altezza dell'esordio, le intuizioni compositive di Maddock non dispiacciono affatto  anche nei brani più scontati, come l'orecchiabilissimo singolo " Beautifil Now " ( scritto congiuntamente con Mike Scott dei Waterboys ).E qui e là, spuntano anche delle piccole gemme di malinconico struggimento, come i tenui acquarelli dell'acustica " You and Jean " o il mid-tempo da highway al tramonto della superba " Stella's Driving ".Un disco che sicuramente non vi cambiera la vita, ma che merita tutta la vostra attenzione.Potrebbe nascere un nuovo amore.

VOTO : 7

Blackswan, martedì 25/10/2011

THE VOICE - 2° PARTE

 
Si è conclusa oggi la prima parte del sondaggio riguardante il cantante del nostro super-fanta-mega gruppo rock.Nel ruolo di frontman, ha vinto abbastanza prevedibilmente, con sette preferenze, Robert Plant ( ma quanti zeppeliniani di ferro ci sono tra di noi ??? ), seguito a ruota, da Freddie Mercury e Peter Gabriel ( questa è la vera sorpresa del sondaggio ), entrambi con sei voti.Saranno pertanto questi i primi tre finalisti dei ballottaggi conclusivi che si terranno fra due settimane.Adesso invece tocca alle "cantantesse", che potrete votare nell'apposito spazio presente alla destra, circa a metà della pagina.Come di consueto, mi scuso coi lettori per tutti quei nomi ( anche importanti ) che per motivi di spazio, gusto personale o semplice dimenticanza, verranno esclusi dal sondaggio.Ringrazio in anticipo tutti quelli che parteciperanno al giochino e vi rammento che anche in questo caso la scelta è multipla.
 
Rock On, Killers !

lunedì 24 ottobre 2011

NEIL YOUNG - ON THE BEACH


Ci sono stati anni della mia vita in cui ho mangiato pane e Neil Young.Da quando ho iniziato ad ascoltare musica, superata l'iniziale fase di amore esclusivo per il prog – rock e prima di incontrare ( con qualche anno di ritardo ) il punk , i dischi del rocker canadese hanno girato sul piatto del mio stereo con progressiva intensità." Harvest ","After The Gold Rush ", "Zuma" sono stati il carburante nobile della mia crescita, i primi atti di rivolta rock ad ascolti fino ad allora costituiti quasi esclusivamente da musica classica e progressive.Con il passare degli anni e l'età adulta, Neil "forever" Young ha continuato a farmi compagnia, ed ancora oggi l'acquisto di un suo disco mi procura brividi che pochi altri artisti sanno darmi.L'amore per " On The Beach " è però  relativamente recente.Quando ero ragazzino, l'ascoltavo e non mi faceva impazzire.Lo trovavo verboso, pesante, come se Neil si fosse ripiegato su se stesso, avesse perso la grinta e quella forza emotiva che da sempre le sue canzoni mi trasmettevano.Cresciuto, ho capito il perchè quel disco, che oggi adoro, non mi piacesse così tanto." On The Beach " è un’opera adulta, riflessiva, contiene tante parole e tanta sofferenza che un giovane non può comprendere appieno.Il rocker e la sua chitarra lasciano il posto all'uomo tout court, alla sua finitezza, al suo dolore.L'anno precedente alla pubblicazione del disco, Young perde l'amico fidato, Danny Whitten ( chitarrista dei suoi Crazy Horse ), ed un altro amico, Bruce Berry ( roadie del gruppo ). Inoltre, i suoi problemi con alcol e droga si fanno più pressanti e la depressione lentamente lo sta divorando ( si sente in colpa per la morte di Whitten, che lui stesso ha cacciato dalla band perché in condizioni fisiche inaccettabili ).Scende all'inferno, Neil, le perfette melodie di " Harvest " non ci sono più, le cavalcate elettriche sono un ricordo lontano.Toccato il fondo, è necessario risalire o scavare. Bisogna rielaborare il lutto, riflettere, comprendere, cercare una via che porti alla catarsi oppure alla distruzione totale.Nel 1973, incide " Time Fades Away ", disco dal vivo di brani tutti inediti, sui quali aleggia l'ossesione per la morte .I suoni sono ruvidi, duri, sfilacciati, il folk è distante mille miglia, la musica del canadese trasuda rabbia e frustrazione.Poco dopo, Neil scrive " Tonight's The Night " ( che pubblicherà solo nel 1975 ), ma la Reprise, l’etichetta per la quale incide, si rifiuta di pubblicarlo: troppo cupo, troppo ossessionato, troppo lontano da ciò che i fans si aspettano ( ricordiamo che “Time Fades Away “ e il relativo tour furono un fiasco ).In poco tempo, allora, il canadese torna all'opera e partorisce  " On the Beach ". Si chiude in studio di registrazione insieme alla band e inizia un lavoro difficile e tortuoso. Young ha chiari i concetti ( morte, disperazione, militanza civile e politica ), ma non sa bene come svilupparli, soprattutto perché la casa discografica gli impone l’obbligo di sonorità più distese. Si improvvisa molto, e nonostante ciò il risultato è stranamente uno dei dischi più omogenei e completi della discografia del canadese. Merito anche del produttore, Rusty Kershaw, che durante le sessioni di registrazione si prodiga anche come cuoco, cucinando grandi quantità di frittelle composte da un impasto di miele e marijuana ( honey slides ).Sembra una banalità, ma fateci caso :le canzoni suonano rilassate, le atmosfere sono dolorose, ma intrise di una sensazione da liquido amniotico che attenua i toni apocalittici e stempera non poco il pathos.La copertina esprime molto bene il contenuto del disco: Neil di spalle guarda un mare grigio ed un cielo plumbeo. Dietro di lui, un ombrellone, un tavolino e delle sedie da campeggio, la coda di una cadillac che spunta dalla sabbia, un giornale abbandonato.Senso di desolazione, di perdita, di cose troppo umane che il tempo cancella, nasconde, consuma."Ambulance blues " è una delle più belle canzoni scritte da Young : fortemente sarcastica, contiene una vibrante polemica nei confronti di  Nixon e dei disastri della sua presidenza.La title track e " See The Sky About To Rain " sono affreschi dolenti e senza tempo, quasi oasi di serena rassegnazione. “ Vampire Blues ” ripropone i toni sarcastici della polemica : questa volta, Neil prende di mira il capitalismo e la crisi petrolifera.Se si ascolta con attenzione la canzone si può sentire Tim Drummond che tiene il ritmo passandosi la carta di credito sulla barba ispida.L’iniziale " Walk on ” ( scritta in risposta alle critiche della stampa per il mezzo fallimento di “Times Fades Away “ ) è l'unico momento brioso, l'ipotesi che forse alla fine del tunnel ci sia ancora luce." Revolution Blues " è la spietata ed intima confessione del dolore che si fa malattia, depressione, esaurimento, e nella parte finale vi è un esplicito riferimento a Charles Manson, con cui Young ebbe una superficiale amicizia . Ad accompagnare Neil in questo brano, ci sono David Crosby alla chitarra e la sezione ritmica dei The Band. Al momento di pubblicare il disco, si temeva l’ennesimo fallimento. E invece, a dispetto dello spessore degli argomenti trattati,” On The Beach “ raggiunse livelli di vendita altissimi, tanto da aggiudicarsi anche il disco d'oro. Un’ultima curiosità. Tra i vecchi album di Neil Young, questo è stato l'ultimo ad essere pubblicato in cd. Vi si oppose strenuamente lo stesso canadese, che riteneva il disco troppo intimo e personale per essere divulgato ( e suonato ) coi nuovi supporti, la cui resa sonora risultava troppo pulita e fredda.

IN MEMORIAM

Marco Simoncelli, 1987 - 2011.
Dormi bene, campione.

domenica 23 ottobre 2011

LO SPUTTANAMENTO E' TOTALE


Da Repubblica.it :

Bruxelles: domanda su Berlusconi. E in sala stampa ridono tutti.

"Il premier italiano vi ha rassicurato sui provvedimenti che prenderà il suo governo?". A questa domanda, la reazione ilare di Merkel, Sarkozy e di tutta la stampa presente. Poi la risposta del presidente francese: "Abbiamo fiducia nel senso di responsabilità dell'insieme delle autorità italiane, politiche, finanziarie ed economiche" 
 
 

A ME ME PIACE O’ BLUES


A me me piace o’ blues, cantava secoli fa un giovane e promettente Pino Daniele.Dal Texas al delta del Mississippi, dalla periferia di Londra al cuore dell’Africa,il linguaggio universale del blues è il verbo primigenio di qualunque forma di musica moderna conosciuta sul pianeta.Un amore, quello per il blues, che mi ha accompagnato tutta la vita, e che negli ultimi anni sta diventando una vera e proprio ossessione, tanto da assorbire la prevalenza dei miei ( numerosi ) acquisti settimanali di cd.Così, senza alcuna pretesa di autorevolezza e completezza, mi è venuta voglia di suggerire cinque dischi che adoro e che sono motivo d’orgoglio della mia discografia.Con molta probabilità, molti di voi li conosceranno già e li avranno ascoltati alla consunzione.Tuttavia mi piace l’idea di poterli condividere in questa fredda e soleggiata domenica mattina.

John Campbell – One Believer ( 1991 )

Boccoli e sguardo luciferino, John Campbell ( pace all’anima sua ) predicava un blues notturno, oscuro, ricco di riferimenti al voodo, ai film horror, al diavolo e agli inferi. Cadenze lente e ipnotiche, una chitarra dal timbro gotico e una voce così profonda e cavernosa da far sembrare quella di Lemmy un cinguettare di passerotti.”One Believer” è un disco sulfureo, teso,spirituale come una passeggiata ai confini dell’Ade.

John Mayall – Bluesbreakers with Eric Clapton ( 1966 )

Uno dei più grandi dischi di british blues, con la bella voce di Mayall sorretta da un band di tutto rispetto, nella quale spicca un giovane,ma già straordinariamente dotato,Eric Clapton.Tra tante splendide canzoni, spiccano una trascinante cover di “Hideaway “ di Freddy King e la chitarra scintillante di “Double Crossing “.Nell’edizione rimasterizzata su cd, sono presenti sia la versione mono che quella stereo ( risalente al 1969 ) con due mixaggi differenti.

Popa Chubby – Booty and The Beast ( 1995 )

Popa Chubby è un chitarrista e cantante dall’aspetto truce e dalla mole imponente.Voce cattivissima, e stile chitarristico tutto sangue e sudore, con questo portentoso album il buon Chubby entra di diritto  nel novero dei più grandi bluesman di sempre.Il disco è sanguigno, robusto, ma anche ricco di sfumature che portano il blues a contaminarsi con funky, soul, rock e jazz.


Rory Gallagher – Irish Tour ( 1974 )

A buon diritto, considerato uno dei più bei live della storia, “Irish Tour “ è senza dubbio l’album della maturità artistica del chitarrista irlandese.Una scaletta incendiaria di blues travolgenti, con la chitarra slide di Gallagher che fa scintille e una potenza di fuoco che lascia attoniti.

Gary Moore – Blues Alive ( 1993 )

Se chiedete di Gary Moore ad un purista del blues, vi dirà che gli piace poco o nulla.Il blues di Moore è troppo luccicante e plateale, troppo rock oriented.Sarà.In questo trascinante live, lo sfortunato chitarrista dimostrava invece tutto il suo immenso talento di musicista capace di creare dei crescendo così drammatici ( “Parisienne Walkways “ ) da spappolare il cuore.