lunedì 29 dicembre 2025

I MIGLIORI DEL 2025

 


TOP TEN ALBUM:



1 THE APARTMENTS - THAT'S WHAT THE MUSIC IS FOR



2 NICCOLO' FABI - LIBERTA' NEGLI OCCHI



3 ANNAHSTASIA - TETHER



4 OPIA - I WELCOME THEE, ETERNAL SLEEP



5 ROS GOS - IN THIS NOISE



6 VINTAGE CARAVAN - PORTALS



7 TAMINO - EVERY DAWN'S A MOUNTAIN



8 THE DELINES - MR.LUCK & MS. DOOM



9 PULP - MORE



10 SKUNK ANANSIE - THE PAINFUL TRUTH


CI SANO PIACIUTI ANCHE:

 

KING WITCH - III

SUEDE - ANTIDEPRESSANTS

JASON ISBELL - FOXES IN THE SNOW

JONATHAN HULTEN - EYES OF THE LIVING NIGHT

YOUNG GUN SILVER FOX - PLEASURE

ANNIE & THE CALDWELLS - CAN'T LOSE MY (SOUL)

O.R.K. - FIREHOSE OF FALSEHOODS

STEVE VON TILL - ALONE IN A WORLD OF WOUNDS

ELTON JOHN & BRANDI CARLILE - WHO BELIEVES IN ANGELS?

SAM FENDER - PEOPLE WATCHING


I MIGLIORI LIBRI DEL 2025:



COLIN WALSH - KALA



PERCIVAL EVERETT - JAMES



LISA RIDZEN - QUANDO LE GRU VOLANO A SUD


TRE SERIE TV CHE CI SONO PIACIUTE:



THE PITT (SKY)



ADOLESCENCE (NETFLIX)



UNTAMED (NETFLIX)


Blackswan, lunedì 29/12/2025

mercoledì 24 dicembre 2025

Emanuele Atturo - Il Mito Dei Bomber Di Provincia. Un Almanacco Sentimentale (Einaudi, 2025)

 


Avevano un coro personalizzato allo stadio, un soprannome immaginifico, una tifoseria devota. Hübner, Protti, Zampagna, Luiso, Flachi, Riganò... Ognuno di loro è stato ed è tuttora oggetto di un culto diverso, ma insieme esprimono un mondo dimenticato. Mentre il calcio è sempre piú professionalizzato, questo libro è una frenata a mano sul cuore: un omaggio appassionato a quei bomber che hanno fatto della provincia il loro regno e della porta avversaria il loro destino.

 

Frombolieri spietati, visionari della giocata impossibile, operai del goal voluto con feroce determinazione: Hubner, Protti, Flachi, Riganò e Zampagna sono solo alcuni dei nomi di quei bomber di provincia raccontati con appassionata meraviglia da Emanuele Atturo, in questo libro emozionante e godibilissimo.

Vite semplici di uomini semplici, che sono stati straordinari attaccanti, senza, tuttavia, entrare mai a far parte della storia che conta: per scelta di vita, per amore di una maglia, per scelte esistenziali incoerenti con le regole rigide dello sport, o per uno sgambetto del fato, difensore più arcigno di qualunque stopper sia mai sceso in campo.

Giocatori che, però, si sono conquistati un posto d’onore in quella mitologia da bar fatta di aneddoti curiosi, di ricordi indelebili, di partite epiche, di goal fotografati in un attimo eterno e da mandare a memoria ai propri figli. I bar della Gazzetta letta sul frigorifero dei gelati, delle chiacchiere sportive fugaci come un caffè e un saluto, o di quella prosopopea calcistica, un po’ alticcia ed estenuante, accompagnata da una teoria inarrestabile di bianchini spruzzati.

Grandi campioni, spietati killer dell’aria di rigore, che le grandi squadre le hanno solo incrociate, ambendo orizzonti troppo lontani per le loro carriere sportive di piccolo cabotaggio, ma che Atturi rende vividi e immortali, in questo libro di poco più di duecento pagine, che si legge d’un fiato e che ha come fil rouge la nostalgia.

La nostalgia per un calcio che non c’è più, risucchiato in un vortice grigio dalla spietata logica del profitto, che ha duplicato all’infinito il numero delle partite, troppe e una uguale all’altra, togliendo al calcio la sua forza evocativa: quella legata alla commozione del ricordo, dell’epicità dell’evento e della poesia dell’attimo. Atteggiamenti da ticktocker, musica trap pompata come habitus culturale, tatuaggi che nemmeno nella più sordida prigione venezuelana, abiti ignobili sfoggiati con non curante e stolida arroganza da chi può tutto, dall’alto di un contratto milionario. E alla prima spintarella, tutti giù per terra, urlanti come agnelli al mattatoio. Questi, per buona parte, sono i calciatori di oggi, questo il calcio che viviamo.

Come si fa, allora, a non provare nostalgia per Darione Hubner, un bisonte asfalta difese e refrattario al dolore, che nell’intervallo della partita si fumava una sigaretta e non rifiutava mai un buon bicchiere di grappa?

Troverete tutto questo, e molto altro, in Il Mito Dei Bomber Di Provincia, un libro che intreccia storie di calcio al tessuto socio culturale del momento, che snocciola gustosissimi aneddoti, che racconta i goal come se li vedessimo in diretta, e che, oltretutto, è scritto benissimo da chi, come noi, ama questo sport (un tempo) meraviglioso.

 

Blackswan, Mercoledì 24/12/2025

martedì 23 dicembre 2025

Wucan - Axioms (Long Branch Records, 2025)


 

Tutto nasce dalla grande passione per il classic rock della cantante, chitarrista e flautista Francis Tobolsky, che nel dicembre del 2011, pubblicò un annuncio su una rivista studentesca intitolato "Cercasi Blues Brothers", con l'intenzione di formare una band. Risposero all’annuncio il chitarrista Tim George e il batterista "Pätz", che iniziano a suonare insieme per tutto il 2012, anno in cui la formazione fu completata quando il bassista Patrik Dröge si unì alla line up a novembre. Nel 2013, con un bagaglio di canzoni già pronte per l’uso, i Wucan iniziano a suonare nei locali di Dresda, loro città di origine, trovando lentamente riscontri positivi anche su tutto il territorio nazionale.

Svariati cambi di formazione, non hanno fermato l’ascesa del progetto, sempre saldamente in mano alla frontwoman Tobolsky e arrivato oggi al quarto album in studio, intitolato Axioms, cioè assiomi. Principi indiscutibili come quelli su cui si è sempre basata la musica del gruppo tedesco, i cui piedi son ben piantati nell’hard rock di derivazione settantiana, riletto però con accenti che vanno dal prog, allo stoner e al doom. Eppure, questo nuovo album, alla faccia degli assioni, pur mantenendo invariate le fonti d’ispirazione, esce dalla comfort zone proponendo eleganti e incisive variazioni sul tema.

La proposta è, dunque, stratificata e richiede tempo per essere esplorata, i brani si fanno strutturalmente più complessi avvicinandosi parecchio al mondo progressive, senza che tuttavia vengano meno le sciabolate hard e la consueta dose di melodia.

Il brano di apertura, "Spectres of Fear", offre un primo entusiasmante assaggio dell'album, è una cavalcata rapida, quasi rabbiosa, la voce della Tobolsky è tirata al limite e quel flauto che imperversa ovunque rimanda inevitabilmente ai Jethro Tull, ma a dei Jethro Tull strafatti di anfetamine.

Una bella botta, seguita dall’incandescente derapata intitolata "Irons in the Fire" in quota NWOBHM, con una parte centrale sostenuta da un basso impetuoso su cui si muovono vertiginose le scorribande della sei corde.

L'inizio del funky "Wicked, Sick and Twisted" è caratterizzato dalla volontà della band di sperimentare con l'elettronica, il groove è contagioso e mette in mostra la versatilità del gruppo tedesco, che gira intorno alla linea di basso con eleganti tessiture jazzy.

La volontà di uscire dai soliti schemi è ben evidente anche nella successiva e sorprendente "KTNSAX", in cui l’elettronica è messa al servizio di una sezione ritmica quadrata e di una melodia ipnotica, le cui chitarre nervose chiamano in causa addirittura i Blondie.

"Holz auf Holz", cantata in tedesco, è uno dei brani più complessi dell'album, sottolineando le qualità tecniche della band e la volontà di uscire dall’ovvio, il piede sempre pigiato sull’acceleratore, ma in direzione prog rock.

L'inizio evocativo di "Pipe Dreams" è solo uno specchietto per le allodole, perché la canzone parte poi rapidissima tirando fuori una propensione quasi metal e mettendo in evidenza la strabiliante estensione della Tobolsky, la cui voce si eleva altissima in mezzo a uno sferragliare di chitarre agguerrite. Una corsa a rotta di collo che evapora di fronte alle iniziali trame evanescenti e ai colori pastello della title track, che si immerge lentamente nel prog rock anni ’70, richiamando ancora alla mente i Jethro Tull.  

Chiude la scaletta "Fountain of Youth", arpeggio di chitarra, la voce straordinaria della frontwoman, traboccante soul, e un’improvvisa accelerazione che aumenta l’intensità di un brano sempre più vibrante e travolgente. In un certo senso, "Fountain of Youth" riunisce in sette minuti tutti gli elementi della musica dei Wucan, formando un capitolo finale in cui convivono rock, folk, prog e propensione alla jam, declinati con la consueta eleganza tecnica e dirompente energia.

Con Axioms, i Wucan, pur non rinnegando completamente le proprie fonti d’ispirazione, prendono una direzione diversa, rendono la loro musica più versatile e, in certi casi, meno immediata, guadagnandone però in fascino e, dopo quasi tre lustri, aprendo a una seconda fase di carriera decisamente intrigante.

Voto: 8

Genere: Hard rock, Prog Rock

 


 


Blackswan, martedì 23/12/2025

 

lunedì 22 dicembre 2025

We Are The World - USA For Africa (Columbia, 1985)


 

La risposta americana alla britannica Band Aid e a "Do They Know It’s Christmas" (1984): "We Are The World" degli USA For Africa fu pubblicata l’anno successivo come iniziativa benefica per le vittime della carestia in Etiopia, raccogliendo oltre cento milioni di dollari devoluti tutti alle popolazioni afflitte dal disastro climatico.

A scriverla furono Michael Jackson e Lionel Richie, mentre Quincy Jones la produsse. Questo talentuoso trio era perfetto per il lavoro: Quincy Jones era il produttore più in voga del momento, Richie aveva scritto canzoni che erano arrivate al primo posto della Hot 100 in ciascuno dei sette anni precedenti, mentre Michael Jackson aveva pubblicato l'album di maggior successo del 1984 con Thriller (prodotto da Jones) ed era la star più in voga del momento.

Il progetto USA For Africa (United Support of Artists for Africa), tuttavia, nacque da un'idea del cantante calypso Harry Belafonte, che aveva l’intenzione di organizzare un concerto di beneficenza coinvolgendo solo musicisti neri. Alla fine di dicembre del 1984, alla ricerca di artisti da arruolare, Belafonte chiamò Ken Kragen, che gestiva un impressionante gruppo di talenti, tra cui Lionel Richie. Kragen convinse Belafonte che avrebbero potuto raccogliere più fondi e avere un impatto maggiore con una canzone originale invece che con un singolo concerto. Belafonte accettò e Richie si unì immediatamente ai due per dare una mano. Kragen, allora, chiese a Quincy Jones di produrre il brano, e Jones arruolò Michael Jackson. Richie coinvolse anche Stevie Wonder, una scelta che fu l’abbrivio decisivo per rendere partecipi molti membri dell'industria musicale, che accettarono di collaborare.

 

Il progetto, dall'ideazione alla registrazione, durò circa un mese e, come accennato, fu modellato sui Band Aid, il gruppo britannico formato da Bob Geldof l'anno prima per registrare "Do They Know It's Christmas?". I Band Aid, che includevano Bono, Phil Collins, David Bowie, Paul McCartney e Sting, furono d’ispirazione, dimostrando come un gruppo eterogeneo di artisti famosi potesse riunirsi in un giorno per registrare una canzone ed avere un incredibile successo.

Il singolo fu registrato agli A&M Studios di Los Angeles il 28 gennaio 1985, la sera degli American Music Awards, che si tennero al vicino Shrine Auditorium. Dato che gli artisti erano tutti in città per la premiazione, fu molto più facile riunirli per registrare il singolo.

Le star che cantarono da solisti furono, nell'ordine, Lionel Richie, Stevie Wonder, Paul Simon, Kenny Rogers, James Ingram, Billy Joel, Tina Turner, Michael Jackson, Diana Ross, Dionne Warwick, Willie Nelson, Al Jarreau, Bruce Springsteen, Kenny Loggins, Steve Perry, Daryl Hall, Michael Jackson (di nuovo), Huey Lewis, Cyndi Lauper e Kim Carnes. Anche Bob Dylan e Ray Charles parteciparono al brano e vennero ripresi in primo piano nel video. Harry Belafonte, che aveva avuto l'idea originale del progetto, cantò nel ritornello ma non ottenne un assolo, unendosi, invece, a Bette Midler, Smokey Robinson, The Pointer Sisters, LaToya Jackson, Bob Geldof (unico non americano a partecipare al progetto), Sheila E. e Waylon Jennings come corista.

A Prince fu chiesto di unirsi al progetto e Quincy Jones si aspettava la sua presenza, ma il genio di Minneapolis non si presentò, non perché non fosse d’accordo con gli intenti benefici ella canzone, ma in quanto restio a collaborare con altri artisti. A ogni modo, diede il suo contributo, donando un brano esclusivo intitolato "4 The Tears In Your Eyes" che venne inserito nel successivo 33 giri, anch'esso intitolato "We Are The World" e pubblicato il mese successivo.

Il singolo da 7 pollici (la versione radiofonica) dura 6 minuti e 22 secondi, ma fu pubblicato anche un singolo da 12 pollici di 7 minuti e 19 secondi. Michael Jackson e Lionel Richie dovettero rendere la canzone così lunga per poter ospitare il maggior numero possibile di cantanti: si trattava di trovare un equilibrio tra l'inserimento di più assoli di star e il mantenimento di una durata sufficiente per la trasmissione radiofonica. 

Quincy Jones, oltre a produrre, era anche il responsabile della gestione di tutte le star coinvolte, alcune, come immaginabile, con un ego smisurato. Eppure, andò tutto liscio, nonostante alcuni artisti molto famosi non riuscirono a cantare nemmeno una strofa. Prima dell'inizio della sessione, Jones decise dove tutti si sarebbero piazzati. Mise del nastro adesivo sul pavimento con il nome di ogni cantante. C'era una politica di "niente ego", ma Jones elargì alcune cortesie, come, ad esempio, mettere Diana Ross in prima fila.

La canzone ha solo due strofe e segue una struttura base: strofa-ritornello-strofa-ritornello-bridge-ritornello. Ci sono sette cantanti nella prima strofa, ma solo tre nella seconda; la maggior parte degli assoli avviene durante le linee del ritornello.

Il brano vinse il Grammy Award come miglior canzone dell'anno, e superò le aspettative in termini di vendite. Pubblicato il 7 marzo 1985, inizialmente furono date alle stampe 800.000 copie, che andarono esaurite nel primo fine settimana. Grazie all'ampia gamma di star, le stazioni radio misero il brano in heavy rotation e MTV diede ampio spazio al video. Il singolo raggiunse, così, il primo posto negli Stati Uniti il 13 aprile, dove rimase per quattro settimane. Nel Regno Unito, raggiunse la vetta il 20 aprile e vi rimase per due settimane.

La sessione di registrazione per le parti vocali (Quincy Jones aveva registrato in precedenza le tracce strumentali) durò circa 12 ore, il che è quasi un miracolo, considerando la portata del progetto e un po’ di tensione che serpeggiò in studio. Molti artisti, infatti, ritenevano la canzone artisticamente modesta, tanto che, per fare un esempio, Cyndi Lauper, la definì, in uno scambio di vedute con Billy Joel, “uno spot per la Pepsi”. La cantante non smise di polemizzare e, anzi, continuò a creare disturbo durante la registrazione facendo tintinnare i suoi braccialetti vicino al microfono, facendo perdere la pazienza a un solitamente compassato Quincy Jones, che le disse, senza mezzi termini, che era libera di andarsene dallo studio.

Fu Bruce Springsteen a fare da collante alla serata e a convincere tutti della bontà del progetto, dando prova di spirito altruistico. Il Boss, infatti, concluse la tappa nordamericana del suo tour Born In The U.S.A. la sera prima a Syracuse, New York, e volò a Los Angeles il giorno dopo, recandosi in studio di registrazione in auto, saltando gli American Music Awards. Secondo Ken Kragen, Springsteen contribuì a placare le tensioni in studio, poiché i rocker non erano soddisfatti del brano e temevano per la propria credibilità. Springsteen diede l'esempio con la sua partecipazione incondizionata, convincendo tutti che lo scopo meritorio dell’operazione fosse più importante del valore artistico della canzone.

Ci è voluto un po' di tempo prima che le royalties di "We Are The World" arrivassero a destinazione, il che ha dato a Kragen e al suo staff il tempo di pianificare come usufruirne. Si concentrarono così sulla fornitura di cibo e di beni di prima necessità a quelle organizzazioni che avevano dimostrato impegno per la causa e la capacità di saper utilizzare le donazioni in modo efficace. E poco importa se la canzone fu bistrattata dalla critica specializzata: le vendite del singolo e dell’album salvarono la vita a migliaia di bambini affamati.

 


 

 

Blackswan, lunedì 22/12/2025

giovedì 18 dicembre 2025

Florence + The Machine -. Everybody Scream (Polydor, 2025)

 


Deve essere bello essere un uomo e fare musica noiosa solo perché puoi"

 

Con questo verso contenuto in "One of the Greats", seconda traccia tratta da questo nuovo Everybody Scream, Florence Welch ribadisce l’inclinazione femminista della sua musica, che è anche uno dei temi portanti e più sfacciatamente esibiti dell’album. D’altra parte, in tal senso, la copertina è abbastanza esplicita: la foto mostra la Welch inquadrata in un tipico atteggiamento maschile (e machista) con le gambe aperte e lo sguardo spavaldo, in una posa che suggerisce un bel dito medio mostrato agli innumerevoli concetti patriarcali della società odierna.

Non solo. Alla base del disco c’è un dramma personale, l’aborto spontaneo avvenuto durante il tour per la promozione di Dance Fever nel 2023. In Everybody Scream, però, la Welch fa molto più che descrivere dettagliatamente il trauma e dare forma al dolore attraverso le note. La riflessione è profonda e lacerante, ma, come evidente nel titolo, c’è anche un implicito invito a se stessa e all’ascoltatore a reagire, a liberare, attraverso un urlo catartico, la rabbia e la tristezza represse.

Questo disco è, dunque, un'opera in cui la Welch raggiunge il punto di ebollizione estrema e condensa questo mondo di dolore e confusione in dodici canzoni che non si risparmiano mai dal punto di vista emotivo. Qui ci sono alcune delle sue musiche più sincere composte fino ad oggi e, anche se il mondo sembra crollarle addosso, la songwriter londinese sembra uscirne più saggia e audace, consapevole come non mai.

Everybody Scream è anche un disco che si sviluppa in alternanza fra luci (poche) e ombre, mettendo ancora una volta sul piatto l’alone di mistero e il lato gotico che sono due elementi distintivi dell’artista anglosassone. Quell’estetica stregonesca alla Stevie Nicks, su cui la Welch ha sempre giocato, e non solo da un punto di vista estetico, emerge più che mai in questo disco, che, come detto, nasce in un momento buio e traumatico per la cantante.

Anche se la sua stella brilla sempre più luminosa ogni volta che viene menzionato il suo nome, quell’episodio traumatizzante e l'inevitabile tumulto emotivo che ne è conseguito, hanno gettato un'ombra oscura sulla sua vita. La vicinanza con la morte ha fatto scattare una molla decisiva, e quella strega che è sempre stata un sotto testo delle sue canzoni, emerge con forza e diventa protagonista della title track e della clip che l’accompagna, in cui la musicista accompagnata dal Deep Throat Choir, ensemble tutto al femminile (il suo "coro delle streghe", come lei stessa lo definisce), costruisce un mondo sonoro intriso di ritualità e liberazione: “La stregoneria, la medicina, gli incantesimi e le iniezioni / Il raccolto, l’ago, proteggimi dal male / La magia e la miseria, la follia e il mistero”.

Qui, la Welch personifica un'estetica che i suoi fan, e non solo, hanno sempre associato alla musica dei Machine, quella di una strega che scappa nei boschi per maledire coloro che le hanno fatto del male.

Per quanto ammantato di un alone crepuscolare, Everybody Scream è, comunque, ben lontano dall'essere solo un flusso di coscienza, un’immersione nel buio del dolore, un'analisi delle insidie che si celano nel realizzare i propri sogni, e, soprattutto, si tiene lontano dal tentativo di ripetere i successi passati.

La scaletta rappresenta semmai il momento in cui Welch si distingue dai suoi colleghi pop e si tuffa senza paura in un art-pop spazioso plasmato con il folk anni ‘70, sostenuto da percussioni incalzanti e levigato da una produzione che gioca per sottrazione, lasciando che siano l’immaginario vivido e sentimenti senza filtri a guidare i brani.

La strumentazione del disco, anche nei suoi momenti più esplosivi, come nella trascinante traccia che dà il titolo all'album e nella struggente "You Can Have It All", s’incentra su percussioni a cascata e incandescenti crescendo, lasciando però che la stella più luminosa sia sempre la Welch, il suo inarrivabile vibrato, la sua emotività trascinante.

Traumatica e incredibilmente sincera, la musica di Florence continua a muovere l'ago della bilancia in una cultura pop che è stata ridotta a canzoni abbastanza brevi da diventare virali in un video di TikTok. Lo stile barocco e la passione per l’art pop dei Florence + the Machine potrebbero sembrare in qualche modo anacronistici e fuori luogo in un contesto musicale attuale, eppure questa proposta ha mantenuto un certo livello di rilevanza in un'industria satura di inautenticità. E questo urlo, catartico e liberatorio, rende onore al genere, irrorandolo di sangue, bagnandolo di lacrime e pervadendolo di emozioni contraddittorie, ma mai così vere e totalizzanti.

Voto: 8

Genere: Indie Rock, Art Pop

 


 


Blackswan, giovedì 18/12/2025