martedì 5 agosto 2025

Annahstasia - Tether (Drink Sum Wtr, 2025)

 


 

La prima cosa che salta all’occhio è la copertina. C’è un elemento visivo, forse casuale, forse no, che ricollega il debutto sulla lunga distanza di Annahstasia con un altro eccezionale disco d’esordio, quello di Tracy Chapman, risalente al 1988. Una foto semplice ma icastica, il volto in primo piano, la stessa pettinatura riccia. La foto che ritrae la Chapman, però, è sgranata, il volto della songwriter è rivolto verso il basso, come a voler schermire un’anima fragile e a suggerire timidezza, umiltà e una certa ritrosia verso una medianicità che non le appartiene. Lo sguardo di Annahstasia, invece, è fisso sull’ascoltatore, è languido e sensuale, leggermente imbronciato, ma consapevole del momento.

Due esordi lontanissimi nel tempo, due epoche diverse, e un modo diverso di approcciarsi alla propria musica, al proprio pubblico. La Chapman è spaesata, sembra capitata per caso in un mondo che non le appartiene. Annahstasia è figlia dei suoi tempi, una ragazza cresciuta nel mondo dei social, che comprende quanto la comunicazione e l’immagine siano necessarie per emergere, per avere successo.

Un lungo preambolo reso necessario dal fatto che queste due straordinarie artiste, separate dall’età e da epoche lontanissime tra loro, condividono molto. In primo luogo, un timbro vocale simile (Annahstasia, talvolta, per certe disperate profondità evoca anche Nina Simone) e un approccio dimesso all’interpretazione, che resta comunque ricca di sfumature. E poi, la passione per il folk, chiave di volta di entrambi i dischi, declinato dalla Chapman con una povertà quasi francescana, e da Annahstasia attraverso arrangiamenti minimal ma raffinati, figli del pensiero moderno dominante del less is more.

Annahstasia pubblica musica in piccole quantità fin dai tempi dell'università, e Tether è il primo progetto sulla lunga distanza che raccoglie la sua visione artistica entro confini ben delimitati. La sua musica accosta chitarra folk, fraseggi soul, echi jazz e orchestrali in un melange sfumato ma coeso, senza lasciare che un elemento della formula si sovrapponga all'altro. In undici brani, Annahstasia dimostra come le dinamiche morbide possano avere un peso reale quando la scrittura rimane chiara e l’interpretazione è vivida, appassionata, vissuta.

La maggior parte delle sessioni si è svolta con i musicisti chiusi in un'unica stanza, in presa diretta, come si faceva una volta. Una scelta di fine artigianato, in cui si percepisce l’ambiente circostante, in uno spazio sospeso a metà fra lo studio di registrazione e le mura domestiche, dando l’impressione che gli interventi in post produzione siano stati del tutto marginali.

Se le liriche della Chapman si alternavano tra critica sociale e politica e pene d’amore, il titolo del disco di Annahstasia, Tether (legare) allude alla connessione fra esseri umani. Le canzoni riflettono su come desiderio, affetto e rispetto di sé leghino o rendano complessi i rapporti e le persone: quanta libertà possiamo mantenere per noi stessi pur continuando a prenderci cura gli uni degli altri?

La sua scrittura è poetica, figurata, evita gli slogan e spesso affianca due immagini semplici e lascia che sia l'ascoltatore a tracciarne il collegamento, il che ben si adatta allo sviluppo paziente del disco. 

La scaletta inizia con "Be Kind" e il tempo sembra fermarsi, sospeso in un limbo che, nota dopo nota, accumula malinconia, prima esitante, poi sempre più intensa. Chitarra, organo e voce: adesso, il tempo fluttua con i fraseggi vocali, finché una piccola sezione di fiati non entra e solleva il brano senza disturbarne il quieto andamento.

Un arpeggio di chitarra e la voce calda e profonda di Annahstasia aprono "Villain", che si arricchisce, lentamente, di un rullante spazzolato, morbidi tocchi di piano elettrico e brevi frasi di tromba. Mentre gli accordi ruotano, la voce della cantante cresce, sostenuta da un coro gospel, evidenziando l’approccio fondamentale dell’album, che sottolinea i cambiamenti emotivi attraverso cambiamenti di volume e consistenza, piuttosto che affidandosi a drammatici ritornelli.

"Unrest" dispiega tutta la sua emotività malinconica attraverso note di piano sgocciolate e chitarra acustica, salvo poi arricchirsi di un vellutato arrangiamento di fiati. Lo stesso mood lo si trova nella struggente "Take Gare Of Me", uno dei brani più vicini all’estetica della Chapman, per quell’incedere inizialmente quasi spoglio e per quella morsa malinconica che attanaglia la gola, quando Annahstasia canta senza filtri la propria fragilità, chiedendo sensibilità e attenzione.

Tether eccelle perché si affida alla moderazione. Le scelte tecniche non sono mai in competizione con la scrittura. Il respiro, il ronzio degli archi e i piccoli cambi di tono rimangono udibili, a dimostrazione della visione del disco secondo cui la cura si manifesta nei piccoli dettagli, non nel volume puro.

In tal senso, un brano come "Overflow" riesce a essere smaccatamente pop, tenendosi lontano da ogni escamotage, puntando tutto sulla melodia e il perfetto equilibrio sonoro, risaputo, forse ma efficacissimo. "Silk and Velvet" spoglia ulteriormente la tavolozza. I graffi asciutti del violoncello incontrano un singolo battito di cassa, lasciando spazio a un finale quasi noise.

Piccole variazioni, mai eclatanti, ma perfette per rendere l’ascolto sempre più seducente. Ecco allora l’ossatura magra e la dolcezza carezzevole di "Satisfy Me" o le scosse elettriche di "Believer", che mostrano un inaspettato graffio rock, ciò che potrebbe sembrare un’anomalia, una foto fuori fuoco, e che invece compenetra perfettamente il mood dell’album.

Con "All Is. Will Be. As It Was.", entra in scena la poetessa Aja Monet. Accordi di pianoforte e una chitarra strimpellata fluttuano attorno alle riflessioni parlate della scrittrice, creando un’atmosfera che richiama quella di un locale notturno nell’ora che precede la chiusura.

Il disco si conclude con "Slow", in duetto con Obongjayar (giovane campione dell’afrobeat): il tenore granuloso di lui incontra l’estensione più bassa di Annahstasia in un punto in cui convivono quiete e attrito. Quando le loro voci finalmente si muovono all'unisono, il mix colpisce con forza proprio perché era stato trattenuto per gran parte del brano e i brividi si sprecano.

Come artista di origine nigeriana che lavora in una scena come quella di Los Angeles, spesso divisa in categorie di genere, Annahstasia evita facili schemi. Mischia le carte, crea connubi fra progressioni folk, inflessioni soul e sottili partiture jazzy, in uno stile che serve le canzoni piuttosto che qualsiasi strategia di marketing.

Tether non pretende di reinventare queste tradizioni, ma dimostra, invece, che chiarezza emotiva, qualità di scrittura e una voce distintiva e sorprendente possono ancora toccare il cuore e dare l'impressione di essere urgenti. Senza trucchi, senza eccessi, esponendo fragilità e sincerità, cercando la catarsi e non lo sconvolgimento, usando il tocco tenue del cesello e non lo stordente impatto glamour del graffito.

Voto: 9

Genere: Folk, Soul

 


 


Blackswan, martedì 05/08/2025

lunedì 4 agosto 2025

Wannabe - Spice Girls (Virgin/Emi, 1996)


 

 

 Se vuoi essere il mio amante, devi stare con i miei amici

(Devi stare con i miei amici)

Fai in modo che duri per sempre,

l'amicizia non finisce mai"

 

Un "Wannabe" è un individuo che aspira a essere qualcun altro, in genere una celebrità, e che, per far ciò, imita pedissequamente quella persona. Il titolo ha ben poco a che fare con la canzone, a meno che non si riferisca a colui che “vuole essere il mio amante”; tuttavia, è un titolo accattivante, che cattura immediatamente l’attenzione ed è facile da memorizzare. Il realtà, la canzone è un inno all’amicizia che legava le Spice Girls, e il verso "L'amicizia non finisce mai" è diventato sorta di mantra per la band, tanto da aver usato la frase in un comunicato stampa quando Ginger Spice ha lasciato il gruppo.

Ma andiamo con ordine.

Le Spice Girls si sono formate come alternativa femminile alle boy band, che all'epoca erano molto in voga nel Regno Unito, e hanno trascorso anni a sviluppare le loro affinità e a coltivare la loro immagine, prima di invadere il mercato discografico. "Wannabe" è stato il primo singolo pubblicato e un successo commerciale enorme e immediato, dal momento che le personalità eccentriche delle cinque ragazze si sono sposate magnificamente con il ritmo accattivante e sbarazzino della canzone, creando un hype pazzesco.

E allora, qualche numero. Quando "Wannabe" è stata pubblicata nel Regno Unito l'8 luglio 1996, ha superato anche le più rosee aspettative, raggiungendo il primo posto il 27 luglio, dove è rimasta per ben sette settimane. Seguì il dominio globale: nel gennaio 1997 la canzone è stata pubblicata negli Stati Uniti e a febbraio è arrivata al primo posto. Ha raggiunto, poi, la vetta delle classifiche in almeno altri dieci paesi, tra cui Australia, Canada, Israele, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Svizzera, aggiudicandosi il disco di platino anche in Italia. A livello mondiale, questo è il singolo più venduto di un gruppo tutto al femminile (per la cronaca, la band ha venduto in carriera più di cento milioni di dischi).

La canzone è stata scritta dalle Spice Girl insieme a Richard "Biff" Stannard e al di lui collaboratore, Matt Rowe. Stannard aveva già scritto una hit, "Steam", per gli East 17 e, dopo un incontro casuale con Mel B., venne invitato dalla band a comporre alcune canzoni per il loro album d’esordio (Spice). Nel corso di dieci giorni, lui e Rowe hanno scritto sia "2 Become 1" (che sarebbe diventato il terzo singolo), che, appunto, "Wannabe".La quale, tuttavia, nonostante gli sforzi, non riusciva a suonare come avrebbero voluto. I due, coadiuvati dalle cinque ragazze, lavorarono alacremente al brano, privandosi anche del sonno, tanto che spesso si addormentavano nello studio di registrazione. Stannard ricorda che una mattina, dopo aver dormito sul pavimento, si svegliò, con un registratore vicino e un post-it lasciato da Rowe che recitava:”Premi play!”. La canzone finalmente era perfetta.

Il video, che venne realizzato dal regista svedese Johan Camitz, noto per il suo lavoro negli spot pubblicitari, e che fu girato al St. Pancras Midland Grand Hotel di Londra, andò in onda, prima che la canzone venisse ufficialmente pubblicata nel Regno Unito, sulla rete via cavo The Box, diventando il video più popolare della TV, e preparando il terreno per il travolgente successo.

Un successo così eclatante che, anni dopo, anche la scienza si occupò del brano. "Wannabe", infatti, è stata definita il singolo di successo più orecchiabile di sempre da uno studio scientifico del 2014 condotto dal Manchester's Museum of Science and Industry. Il risultato è stato ottenuto tramite un sondaggio online, attraverso il quale veniva chiesto a dodicimila persone di nominare una canzone non appena l'avessero riconosciuta. Vennero fatti ascoltare a caso più di 1.000 clip di brani molto famosi, che, in media, venivano riconosciuti dopo cinque secondi d’ascolto.

Il tormentone delle Spice Girls, invece, venne riconosciuto in una media di 2,29 secondi, davanti a "Mambo No 5 (A Little Bit Of)" di Lou Bega, che venne riconosciuto in una media di 2,48 secondi, e "Eye of the Tiger" dei Survivor in 2,62 secondi.

 


 

   

Blackswan, lunedì 04/08/2025

martedì 22 luglio 2025

Chiuso Per Ferie

 


Il Killer si prende qualche giorno di riposo. Buone vacanze a tutti i lettori che vanno e buona permanenza a quelli che restano. Ci si legge prestissimo! 

 


 .

 

Blackswan, martedì 22 luglio 2025

lunedì 21 luglio 2025

Hard To Say I'm Sorry - Chicago (Full Moon, 1982)


 

Una ballata zuccherina e romantica, un evergreen universalmente conosciuto, ma anche la canzone che ha segnato la rinascita per i Chicago, dopo un filotto di dischi commercialmente deludenti e la rescissione del contratto con la loro etichetta storica, la Columbia Records.

Chicago 16 (gli album dei Chicago non hanno titolo ma vengono distinti tra loro da un numero progressivo), il disco in cui è racchiusa Hard To Say I’m Sorry, è anche l’album che sancisce la definitiva influenza nel suono della band del produttore e compositore David Foster, che vede l’ingresso nella line up dell’abile polistrumentista Bill Champlin e che certifica il passaggio dei Chicago alla Full Moon, etichetta emanazione della Warner Bros.

Vero e proprio singolo azzanna classifiche, Hard to Say I'm Sorry, pubblicato il 27 maggio del 1982, raggiunse la prima piazza delle classifiche americane, portò la band, caso raro, al quarto posto delle charts inglesi, e conquistò anche la cima delle classifiche italiane, partecipando al Festivalbar del 1982.  

La formula per raggiungere il successo era collaudata, visto che fu la stessa che produsse l’altra straordinaria hit della band, If You Leave Me Now: una ballata d’amore, cantata dal bassista del gruppo, Peter Cetera, anche coautore delle musiche insieme a David Foster e al pianista Robert Lamm, e un utilizzo spregiudicato delle tastiere che fece scuola (vedi i Van Halen di Jump e gli Yes di Owner Of A Lonely Heart).

Il brano racconta di una storia d’amore al collasso, in cui la coppia, sul punto di separarsi, si prende una pausa di riflessione. Il protagonista del brano cerca disperatamente di tener in vita il rapporto, promettendo di rimediare ai suoi errori, e anche se è difficile chiedere scusa, si impegnerà perché i due possono continuare a stare insieme. Un testo decisamente banale, ma anche estremamente funzionale alla storia che la canzone racconta.

 

Stringimi ora

E' difficile per me dire che mi dispiace

Voglio solo che tu sappia

Stringimi ora

Voglio davvero dirti che mi dispiace

Non potrei mai lasciarti andare

 

Strano ma vero, nel brano suonano Steve Lukather (chitarra), David Paich (sintetizzatore) e Steve Porcaro (sintetizzatore), che non solo erano dei turnisti di classe sopraffina, ma anche membri dei Toto. La decisione di utilizzarli in Hard To Say I’m Sorry fu presa da David Foster, deciso a fare di tutto perché la canzone potesse sfondare in classifica. Ovviamente, ebbe ragione, e i tre contribuirono con le loro parti in un solo take; la scelta, tuttavia, fece infuriare gli altri componenti della band, che si trovarono a essere spodestati dai loro ruoli.  

Nonostante il fare dispotico, Foster era un abile compositore, che non lasciava nulla al caso, e riusciva a trasformare in oro ciò a cui metteva mano, grazie alla capacità di inserire numerose variazioni all’interno delle canzoni. In Hard To Say I’m Sorry, se ponete attenzione all’ascolto, scoprirete come le strofe occupino davvero poco spazio, per lasciarlo al ritornello, che in realtà sono due, quello che inizia con “hold me now” e quello che inizia con “after all that we’ve been through”.

La sezione degli archi fu arrangiata da Jeremy Lubbock, che in seguito avrebbe vinto un Grammy per il suo arrangiamento di "Hard Habit To Break", brano pubblicato sempre dai Chicago nel 1984.

La versione della canzone pubblicata come singolo, per ovvi motivi di fruibilità radiofonica, dura tre minuti e quarantotto secondi, mentre la versione contenuta nell’album, che è quella che la band ha sempre suonato dal vivo, supera di poco i cinque minuti, grazie a una coda con sezione fiati intitolata Get Away




Blackswan, lunedì 21/07/2025

venerdì 18 luglio 2025

Stephan Schafer - Ancora Venticinque Estati (Einaudi, 2025)

 


«Ero diventato una di quelle persone che mettono al centro della propria esistenza professione, riconoscimento e guadagno. Non volevo quello che avevo, volevo quello che non avevo. Poi qualcuno mi ha aperto gli occhi».

Travolti dagli impegni, dagli obblighi, non ci fermiamo mai a domandarci: quanta vita ci resta? Quante estati abbiamo ancora davanti? La storia di un incontro inatteso e rivelatorio tra un manager che conosce solo il lavoro e un contadino. Il racconto toccante di un'amicizia che è anche un'iniziazione.

 

Durante un fine settimana nella propria tenuta di campagna, un manager rampante si sveglia come sempre all’alba e decide di concedersi una passeggiata fino a un laghetto li vicino. Qui, incontrerà Karl, un contadino di mezza età con cui instaura subito una spontanea e sincera amicizia. Un incontro inaspettato che si dimostrerà ben presto rivelatorio.

Ancora Venticinque Estati, che l’anno scorso è stato un grande successo editoriale in Germania, patria del suo autore, Stephan Schafer, è un racconto lungo, un libricino di poco più di cento pagine, che si legge in mezza giornata. La prosa è semplice ma sicura, il mood è dimesso, gli intenti apprezzabili e condivisibili: fotografare due mondi opposti (quello del protagonista e del contadino Karl) nel momento in cui vengono a contatto, quando le reciproche traiettorie si intersecano, e riflettere sui veri valori dell’esistenza.

Lo scopo di Schafer è decisamente meritorio, l’approccio è entusiasta e ottimistico, le pagine si sfogliano con leggerezza, risucchiati da un’ambientazione agreste nitida e dolcemente bucolica.

Nonostante ciò, però, la scoperta da parte del manager che un diverso modo di vivere è possibile, non riesce a districarsi da una fitta trama di ovvietà. Mi spiego. Chi vive con consapevolezza, chi conosce il potere edificante della lettura e dell’arte, chi si tiene lontano dalle logiche del profitto, chi crede che mangiare sia una gioia e non un sacrificio per tenersi in forma, chi usa i social con moderazione e conserva gelosamente i momenti di silenzio e solitudine, chi rispetta la natura e i suoi cicli, troverà scontata l’epifania di Schafer. Pochi, ma buoni.

Chi sono, allora, i possibili destinatari di questo libricino che, ripeto, è assolutamente encomiabile per il fine che si propone? Probabilmente i giovani, che troveranno nel racconto spunti interessanti per consolidare le proprie intuizioni e per riflettere sul proprio futuro.

Una lettura piacevole, ma che potrebbe rivelarsi superflua.

 

Blackswan, venerdì 18/07/2025