Non
 è facile stare sulla breccia per oltre venticinque e mantenere per 
tutto questo tempo una decorosa caratura artistica. In fin dei conti, 
però, Kelly Jones e la sua creatura, pur non essendo destinati a 
gloriose pagine sui libri di letteratura rock, sono riusciti a resistere
 alle mode, a volte anche adattandosi, e a creare un suono e uno stile 
facilmente riconoscibili. Gli Stereophonics, infatti, sono la classica 
band a cui non si riesce ad ascrivere alcun capolavoro, quel disco, 
fosse anche solo uno, destinato, cioè, a farsi ricordare nei secoli dei 
secoli; è pur vero, tuttavia, che hanno mantenuto in buona salute il 
loro pop-rock di facile presa, sfornando talvolta album di buon livello e
 molte hit spacca classifiche.
Dopo
 il riuscito Scream Above The Sounds (2017) e un periodo che lo stesso 
Jones definisce come caratterizzato da afasia compositiva, il gruppo 
scozzese sforna l’undicesimo album in studio, registrato in una decina 
di giorni presso la distilleria The Ramsbury nel Wiltshire e prodotto da
 una vecchia volpe come George Drakulias, già al servizio di Black 
Crowes e Tom Petty.
Se
 il marchio Stereophonics è immediatamente riconoscibile fin dalle prime
 battute dell’album, bisogna dire che questo Kind segna, però, un 
leggero cambio di rotta rispetto al lavoro precedente: è un disco 
decisamente meno pop, segnato prevalentemente da ballate che guardano 
più gli States che la terra d’Albione, e che offrono un songwriting 
decisamente più intimo e raccolto. Jones, si sa, possiede una voce 
ruvida e calda che fa da perfetto contraltare anche ai momenti più 
melodici, e soprattutto in questi brani, a volte decisamente 
carezzevoli, il contrasto produce l’effetto sperato.
Apre
 il disco I Just Wanted The Goods, brano decisamente anomalo rispetto 
alla restante scaletta: chitarra slide, groove funky, esuberanza rock e 
un ritornello che non lascia scampo. Una canzone con un tiro 
notevolissimo, che però non trova conferme ulteriori. La successiva Fly 
Like An Eagle, infatti, è un’intensa ballata, molto melodica, e che, per
 quanto prevedibile, è attraversata da un gran pathos.
Make
 Friends With The Morning, è un altro brano lento che veste però abiti 
gospel, Hangover For You e This Life Ain’t Easy (But It’s The One That 
We All Got) hanno il classico suono Stereophonics, sono un po' risapute 
ma hanno melodie uncinanti, Street Of Orange Light è la più marcatamente
 americana del lotto, mentre Don’t Let The Devil Take Another Day guarda
 al passato rispolverando sonorità brit pop.
In
 definitiva, Kind tiene il passo del suo predecessore e, pur senza 
apportare grandi novità alla storia della band, risulta piacevole e si 
fa apprezzare. Non c’è nulla che stupisca né troverete canzoni 
immortali, e l’ispirazione di Kelly Jones, anche in questa veste 
decisamente più languida e schiva, sembra sempre viaggiare con il pilota
 automatico. I dischi brutti, però, sono altri, e questi quaranta minuti
 (più di un’ora nell’edizione deluxe, arricchita di demo) vanno via 
lisci, senza sussulti, ma anche senza sbadigli.
VOTO: 6,5
Blackswan, venerdì 08/11/2019 

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