…Occation For Song è infatti un disco di
ballate, fragili, sussurrate, e imparentate allo slowcore. Gli strumenti sono
quelli della tradizione americana ( banjo, chitarra, armonica ), ma l’anima di
queste canzoni è terribilmente cupa, autunnale, affranta, quasi presbiteriana.
Un disco che va ascoltato più volte prima di entrare in sintonia con i dolori
del giovane Jerry de Cicca, leader della band. Poi, farete fatica a farne a
meno…
9) NEIL YOUNG WITH CRAZY HORSE - PSYCHEDELIC
PILL
…le cose migliori dell'album arrivano
proprio laddove il minutaggio tracima la convenzione: l'iniziale Driftin' Back,
una maratona elettrica di ventisette minuti tra chiaro-scuri di epica
psichedelica, e la conclusiva Walk Like A Giant, monolite di sedici minuti che
si muove in un magma di fuzz e feedback pur mantenendo un gancio melodico non
indifferente…Il resto sono canzoni younghiane fatte e finite , nelle quale
convivono il senso di Neil per la jam, il gusto per la tradizione
country rock e una rinata propensione per il noise. Novità ?
Nessuna,ovviamente. Ma forse il bello di Psychelic Pill sta proprio in questo :
sapere che Young non molla e lotta ancora insieme a noi. Come ai bei
tempi…
8) BLACK COUNTRY COMMUNION – AFTERGLOW
…Anzi, questo Afterglow, ad essere sinceri, è
il miglior disco del combo anglo – americano, che evidentemente, come un vino
importante, più passa il tempo e più si struttura e acquista corpo…Stupisce
semmai il piglio e la freschezza di queste undici canzoni (prodotte
magnificamente da Kevin Shirley – già Aerosmith, Hoodoo Gurus, Slayer e
Iron Maiden) che non mostrano un punto debole che sia uno, che hanno un bel
suono vintage ma mai arcaico, e che si colorano della sbrigliata e sudata
freschezza di una jam improvvisata su due piedi (ascoltate la funambolica
Common Man, e il rincorrersi degli assoli, nei quali i Deep Purple
all’improvviso si trovano a braccetto con uno scintillante funky rock).
Aggiungiamoci anche che finalmente Sherinian si è guadagnato lo spazio che si
meritava (e il suono ne ha guadagnato perché è diventato più pieno) e che
Hughes azzanna alla gola le canzoni con un’ugola che, strano a dirsi, è migliorata
con l’età, e avremo il quadro completo…
7) THE MASTERSONS - BIRDS FLY SOUTH
…Nonostante inevitabili deja vù (che suonano
semmai come piacevoli ammiccamenti), le canzoni che compongono Birds Fly South
esprimono una personalità autonoma e già ben definita, guardano al passato
ma hanno innanzi un radioso futuro, rilucono nei cromatismi
abbaglianti di chitarre graziosamente rootsy o si schermiscono negli
accenti crepuscolari di arrangiamenti d'archi discreti e
melanconicamente agro-dolci. Difficile trovare una canzone più bella delle
altre: un filo unisce le composizioni, come se nessuna di loro potesse
prescindere dalla fitta trama melodica che inanella tutte le note, dalla prima
all'ultima, come in una collana di preziose gemme. Ma se s'imponesse l'obbligo
di individuarne il diadema, il gioiello più scintillante, l'apertura
di You Don't Know, ariosa e deliziosamente pop, è
di una perfezione tanto angelica, che viene
istintivo riporla per sempre nello scrigno del nostro cuore...
6) SPAIN – THE SOUL OF SPAIN
…la magia di questo slow core imparentato al
jazz è ancora in grado di scaldarci il cuore. Lo si capisce fin dall’iniziale Only
One, nelle cui vene circola lo
stesso sangue amaro di Nobody Has To Know,
o dai languori ipnotici della struggente All I Can Give, i cui accordi in minore ci accompagnano per mano
fino all’ossessivo spleen finale. E quando il torpore della conclusiva Hang
Your Head Down Low (godetevi le partiture di
hammond e lo splendido assolo blues di una chitarra al rallentatore) renderà
dolce e rarefatta anche la vostra più pungente malinconia, sentirete il
desiderio di ricominciare da capo. Magari riscoprendo quel capolavoro al
rallenty che porta il nome di The Blue Moods Of Spain, che dal 1995 fa palpitare i cuori a tutti quei romantici per cui
amore fa rima con slow core…
5) HERITAGE BLUES ORCHESTRA -
AND STILL I RISE
…Quello che piace di questo disco è
soprattutto l'approcio filologico, l'attenzione a ricostruire, attraverso
traditional e standars, cent'anni di storia del blues, con assoluto rispetto e
devozione, senza però cedere alla tentazione della convenzione e del
pedissequo…L'album, infatti, pesca in un repertorio noto, ma pur
rispettando le origini e lo spirito da cui ogni canzone nasce, le
rivitalizza con un suono che è al contempo classico e moderno, caldo,
avvolgente e ricco di sfumature. In questo opera prima della HBO, si
trova tutto quello che riguarda il blues (sarebbe il caso di dire che il
genere viene rivoltato come un calzino), a partire dalle seducenti sonorità africane
di C - Line Woman che ci fanno viaggiare fino alle terre del Mali,
dove tutto ebbe inizio. Ogni canzone del disco suona come un lungo
abbraccio a tre, tra musica, musicisti e ascoltatore: un abbraccio che omaggia
d'affetto il blues e tutti coloro che continuano a essere immanorati di
un genere che sembra non invecchiare mai. L'iniziale Clarcksdale Moan,
ripresa da Son House, riscopre l'epica sudista del folk-blues ; l'infuocata
Catfish Blues di Muddy Waters (ascoltate il lavoro pazzesco di Bucher all'armonica)
stilla sangue e sudore da uno swing orchestrale adrenalinico ; mentre la chiosa
di Hard Times crea un' incredibile alchimia fra blues e jazz, che sfuma in
un'inaspettata coda funky. Il resto del disco sono meraviglie che lasciano
a bocca aperta l'ascoltatore, trasportandolo in un viaggio di suggestioni da
New Orleans alle rive del Mississippi, tra carezzevoli nenie gospel e
sferzate elettriche di scintillanti chitarre...
4) MANAGEMENT DEL DOLORE POST OPERATORIO -
AUFF !
…provate a immaginare una versione
aggiornata e italica dei Gang Of Four
(quelli di Entertainment!, per
intenderci), suonati però con il piglio brioso dei Franz Ferdinand degli esordi : funk bianco, ritmica nervosa,
puntuti riff di chitarra, ganci melodici e assist di godereccia dance-wave.
Eppure, nonostante tanti celebri riferimenti, la musica dei Management ha una
fisionomia personalissima e ben marcata, che sarebbe ingiusto ridurre a un
mero riflesso dello specchio. Auff !, infatti, vibra di energia, è
ben suonato, è divertente, non conosce passi falsi e riempitivi. Le liriche di Luca Romagnoli, spregiudicatissime
e ricche di calembour, stanno lontano chilometri da clichè e banalità, inducono
al sorriso e aprono alla riflessione, sferzano con sarcasmo e inchiodano a
icastiche verità. Le dieci canzoni di cui è composto il disco si bevono
d'un fiato come un boccale di birra quando la gola è arsa dalla sete,
ti sbloccano le gambe come iniezioni di adrenalina che spingono
al ballo senza spegnere il cervello (Pornobisogno,
Auff !) o inquietano
i pensieri con il limaccioso incedere di una scombussolante
malinconia (Amore Borghese, con Emiliano Audisio dei Linea 77 alla voce, e la
conclusiva Il Numero Otto)…
3) PUNCH
BROTHERS - WHO'S FEELING YOUNG NOW ?
…E' indubbio che le dodici
canzoni dell'album paghino debito in qualche modo alla grande tradizione country americana, non fosse altro che
per la strumentazione ( tutta
acustica ) usata dai nostri, che prevede, oltre al basso e alla chitarra,
anche banjo, mandolino e fiddle
( strumento a corda della famiglia dei violini, che viene usato molto anche nel
folk anglosassone ). Eppure la rilettura del genere è modernissima, i
suoni sono caldi e avvolgenti, ma mai retrò. Nulla insomma che faccia pensare a
una serata conviviale fra contadini in salopette e cappello di vimini in
qualche sperduto sobborgo della provincia rurale statunitense. Anzi. Le
canzoni dei Punch Brothers talvolta si screziano di cangianti filamenti jazz, più spesso si ammantano di una
luce pop che richiama alla
mente( per attitudine ) le oblique alchimie degli Arcade Fire o i soffusi languori malinconici dei primi Coldplay. Who's Feeling Young Now ?, a dispetto del titolo, è un disco che
profuma di primavera, è fresco, colorato, giovanile, ma non
giovanilistico. E oltretutto è suonato divinamente, con grazia e tecnica,
senza alcun compiacimento, ma con la perizia di chi sa come giostrare alla
perfezione luci e ombre, pieni e vuoti, groove e digressioni strumentali…
2) BILL FAY - LIFE IS PEOPLE
…Life Is People è un disco
all'apparenza semplice, dall'andamento umorale, quasi istintuale
nell'alternarsi di melodie che talvolta giocano con la luce del sole, per
poi rinchiudersi come d'incanto in una penombra crepuscolare. Eppure, non
ostante l'apparente immediatezza delle composizioni, Life Is People è un disco
che si gusta piano, ascolto dopo ascolto, centellinando, con parsimonia, le
fascinazioni, i rimandi, le implicazioni. Non è una questione di testa, ma di
cuore. Le canzoni di Fay si insinuano sotto pelle, ci gonfiano l'anima di
umori, ci pervadono di vita e di morte, ci scuotono con
frementi nostalgie, ci illanguidiscono con morbidi sorrisi, ci
inebriano di una remota, antichissima sacralità, che è
soprattutto tendenza all'assoluto, forse ricerca del divino ( ascoltate la
sublime preghiera di Thank You Lord, ballata in equilibrio fra estasi e
tormento ). Nessuna delle tredici canzoni che compongono la track list passa
attraverso la nostra anima senza lasciarci qualcosa, non c'è un attimo che non
risulti necessario, nulla che non finisca in qualche modo per stordirci
d'emozione. Le note fluiscono in noi, come trasportate da un refolo di
salvifico vento, sollevate appena da un fraseggio di piano,
intuite in un lontano noise chitarristico, dipinte dai cromatismi
cangianti di un folk speziato d'America, cullate da una voce calda
e sofferta, eppure mai arresa…
…AND THE WINNER IS :
1) PAUL
BUCHANAN – MID AIR
Quando
nel 1983 esce A Walk Across The Rooftops, primo
album in studio dei Blue Nile,
appare subito chiaro di essere al cospetto di una band in grado di lasciare un
segno decisivo nella storia della musica. Eppure Paul Buchanan, leader e cantante del gruppo, è uno che ama lasciar
decantare le cose, si defila invece di cavalcare il successo. Poco incline alle
luci della ribalta, fa dell’understatement
il suo stile di vita artistica : si rifiuta di tenere concerti, non rilascia interviste,
non compare sulle riviste specializzate. Centellina i dischi, oltretutto.
L’album successivo, dal laconico titolo di Hats, esce sei anni dopo, nel 1989, folgorando nuovamente pubblico e critica con suggestioni
sonore grondanti di notturna malinconia. Sarà così anche per i successivi due
album, l’ennesimo capolavoro Peace At
Last, datato 1996, e High del 2004, ultimo capitolo della più dilatata discografia che la storia
ricordi. Paul Buchanan, anche lontano dai Blue Nile, mantiene comunque il medesimo
approcio artistico da eremita del pop: sparisce dalle scene e di lui non si sa
più nulla. Poi, come un fulmine a ciel sereno, ricompare. Esce infatti in
questi giorni Mid Air, primo
album solista del cantante scozzese dopo otto anni di silenzio.Otto anni sono
un’eternità, sono un lasso di tempo così lungo da rendere fallace o incongrua
ogni aspettativa.Saranno ancora i Blue Nile ? O sarà qualcosa di completamente
diverso ? Mi sono posto queste domande più volte prima di inserire il cd nel
lettore. Probabilmente perché Hats
è stato, e resta , uno dei dischi più importanti della mia vita, e perchè
quelle canzoni, così struggenti e decisive, hanno lasciato nel mio cuore ferite
ancora oggi non rimarginate.Per Buchanan quindi provo riconoscenza, eppure
egoisticamente da lui voglio, pretendo, anche dopo tanto tempo, le medesime
suggestioni. Quando parte la title
track il mio cuore si ferma. Penso subito a Let’s Go Out Tonight e mi si stringe la gola. Poi, sfilano una a
una, ripetutamente, tutte le altre tredici canzoni del disco. Le note si
muovono con lentezza, scorrono come frames di una malinconia che non strugge ma
consola, come immagini di un risveglio accarezzato dal morbido calore del primo
sole mattutino. I languori si avviluppano alla tastiera di un piano suonato con
la calma di chi cerca di svelare la melodia senza fretta, come quando si
sorseggia un buon vino del quale si vuol cogliere anche il più recondito
profumo. La voce arresa di Buchanan accarezza le orecchie con sussurri,
bisbigli, esitazioni, culla i fremiti di una feroce nostalgia perché non
esplodano, ma restino sottotraccia, sensazioni buone da consumare come pane
caldo appena sfornato. Minimali nella forma e intimiste nella sostanza, le
canzoni di Mid Air declinano un
lirismo che sembrava perduto, sono l’avamposto di resistenza poetica alla
inconcludente frenesia del mondo, perle di consapevole e disillusa
rassegnazione di un’arte che svela la sua fragile bellezza innanzi allo
strapotere protervo della macchina. Ed è bello fermarsi e lasciarsi sommergere
dall’acqua purificatrice di una musica che restituisce, integra e cristallina,
la gioia dei nostri pensieri più profondi, dei nostri ricordi più dolci, di
quel nitore malinconico che le convulsioni della vita rendono grigio e triste.
Capita poche volte, ma quando succede è bello poterlo scrivere. Perchè Mid Air è un disco magnifico, che
potrebbe anche definirsi epocale se solo parlasse la stessa lingua per tutti.
Invece veste abiti diversi per ogni vissuto, parla di noi, di ciascuno di noi,
nella segreta penombra del confessionale. Lo teniamo stretto al cuore con
protettivo affetto, gelosi di qualcosa che riguarda solo il nostro
passato, come fosse un deliquio privato, un segreto taciuto, una scheggia di
eternità spirituale che infrange la finitezza dei corpi, un gioiello tanto
prezioso da nascondere agli altrui sguardi, celandolo nello scrigno profondo
dell’anima.Per una volta sola, da tanto tempo a questa parte, posso usare una
parola senza temere di esagerare : capolavoro.
E giuro, è una sensazione bellissima.
Le recensioni dei
dischi in classifica le trovate complete sul blog
Come sempre, a fine anno, è
giunta l’ora anche per me di stilare il personale classificone di questo 2012.
Premetto che la mia top ten non ha alcuna pretesa di autorevolezza né tanto
meno di completezza. In trecentosessantacinque giorni, ho ascoltato 523 tra cd
e vinili nuovi, un numero che pare ponderoso, ma che, mi rendo conto, è
insufficiente per avere un quadro d’insieme realmente obiettivo. Peraltro, i
miei gusti virano prevalentemente verso il rock, il blues e l’americana, con
ovvia sofferenza di altri generi quali l’elettronica, il soul e il pop. Nella
mia classifica dei migliori venti dell’anno, non compaiono inoltre alcuni dei
dischi più molto apprezzati negli altri blog (Calexico e Bob Dylan, ad esempio).Non è una dimenticanza, semplicemente, giudicati nel modo più obiettivo
possibile ( mi sono preso fino all’ultimo giorno per emendare gli ascolti dai
miei personalissimi gusti ) ho ritenuto che fossero leggermente inferiori a
quelli che troverete elencati più sotto. Non sempre il metro di giudizio è
stato tarato sulla qualità artistica delle composizione, ma ho volute tenere
conto anche dell’onestà intellettuale (Neil Young), della freschezza della
proposta (Lana Del Rey) e della relatività al genere, di cui alcuni dei
dischi qui sotto citati sono esempi mirabili (Black Country Communion). So
benissimo che ogni classifica lascia il tempo che trova, che i voti servono a
poco (probabilmente più come guida per chi legge che come criterio per chi
scrive), che assolutizzare o relativizzare è un gioco sterile che non conduce
da nessuna parte. In fin dei conti, la musica si divide in musica buona e
musica cattiva, il resto conta poco.Tuttavia, l’atto di ordinare produce su di
me lo stesso effetto benefico di scrivere: mi aiuta a capire meglio e,
soprattutto, mi consente di rassettare un poco le stanze troppo affollate del
mio cervello.
20 ) WOVEN
HAND - THE LAUGHING STALK
…The Laughing Stalk è
l'ennesimo capitolo del grande romanzo di una crepuscolare
epopea americana : i grandi spazi al culmine della notte, terre desolate e
sordidi anfratti, i misteriosi riti sciamani della
cultura indiana, l'invasato declamare di un allucinato predicatore per cui
la spiritualità vive di pentimento e fiamme dell'inferno. La produzione di
Alexander Hake (già con i tedeschi Einsturzende Neubauten), europeizza
un poco il suono, lo rende più rumoroso e heavy, lo ferisce con schegge
di dark wave…
19) IL TEATRO DEGLI ORRORI – IL MONDO NUOVO
…Queste sedici canzoni lanciano piuttosto uno sguardo impietoso e lucidissimo
sulle rovine etiche della nostra società, sull’Italia dello sfruttamento, del
lavoro nero, delle vite sacrificate in nome del profitto, di esistenze ai
margini di un popolo inebetito da vent’anni di berlusconismo… Il Nuovo Mondo è il reportage in note
di una tragedia collettiva, un libro di Storia aperto su una delle pagine più
dolorose del nostro presente. Ascoltare questo disco significa soprattutto
capire, aprire gli occhi su un disagio che non possiamo continuamente far finta
di non vedere…
18) THE
UNTHANKS - DIVERSIONS VOL. 1 ( THE SONGS OF ROBERT WYATT AND ANTONY& THE JOHNSONS )
…perchè se è
vero che queste quindici canzoni sono tanto belle che avrebbero una resa
pazzesca anche se interpretate da Toto Cotugno, è anche vero che il paragone
con gli originali è come una spada di Damocle che pende sul capo di
chiunque si cimenti nel reintepretarle. Poteva, insomma, venirne fuori un
pasticcio o un lavoro esclusivamente referenziale di clonazione
senz'anima. Invece, le Unthanks sfornano un live act da brividi, regalando alcuni momenti di musica davvero celestiali, in
cui a un'indiscutibile eleganza formale si affiancano palpiti di commossa
partecipazione…
17) RADICAL FACE – THE FAMILY TREE : THE ROOTS
…The Roots è il primo capitolo di una
trilogia con cui Cooper intende narrare, con ampio respiro (musicale e
letterario) la storia di una famiglia americana negli anni che vanno dai primi
dell’ottocento agli anni ’50 del secolo scorso. Registrato di notte, nel
capanno dove Cooper vive, la peculiarità di The Roots consiste soprattutto
nell’uso di strumenti originari dell’epoca in cui la storia si svolge. Ne esce
un suono che nemmeno la parola vintage può chiarire: antico, caldo, avvolgente.
E le canzoni sono bellissime…
16) CHATAM COUNTY LINE - SIGHT & SOUND
…Sight & Sound, cd live + Dvd
live, rappresenta un'ottima occasione per apprezzare il repertorio di
questa giovane band (in circolazione già da qualche annetto) alle prese
con un pugno di canzoni che lasciano a bocca aperta per intelligenza di
scrittura e cristalline soluzioni melodiche. Meglio precisare subito che
i Chatam County Line non sono dei puristi (piaceranno quindi anche a
chi non mastica il genere) e l'approcio al Bluegrass vive prevalentemente
nel modo di suonare e nella strumentazione utilizzata : durante il live
act i quattro ragazzi stanno in piedi innanzi allo stesso microfono,
suonando chitarra acustica, banjo, fiddle e contrabbasso…
15) THE EXCITEMENTS – THE EXCITEMENTS
…Così, i trentacinque minuti del disco filano
via divertenti e velocissimi, senza un intoppo, una battuta d’arresto o un
momento che non sia deliziosamente retrò.
Grazie soprattutto a un gruppo di musicisti affiatatissimo e alla voce stre-pi-to-sa della Davis, una che, ve lo assicuro, avrebbe fatto
la sua porca figura anche ai tempi d’oro della Stax. “ The Excitements “ non solo è il classico cd da
festa, di quelli che creano atmosfera e che dopo poche note riempiono il
dancefloor, ma è, in senso assoluto, una bomba energetica che ritempra spirito
e corpo. Per chi ama il genere, perderlo sarebbe un delitto…
14) PATTI SMITH - BANGA
…Banga, primo album di inediti da Trampin'
del 2004, è lo specchio della creatività della Smith : in
esso confluiscono ispiratissimi versi, una serie di ritratti fotografici
decisamente suggestivi ( nell'edizione deluxe il booklet è un vero e
proprio libro ), tanti tributi artistici ( Tarkovsky, Piero della Francesca, Maria Shneider ) e un ricordo toccante del disastro nucleare
di Fukushima ( Fuji-San
)… non è solo un gradito ritorno
di una delle artiste più amate di tutti i tempi, ma è soprattutto
la conferma che Patti Smith resterà, anche per gli anni a venire,
protagonista e punto di riferimento della scena rock internazionale che conta
davvero.Con buona pace di tutti coloro che la davano per finita…
13) BRUCE SPRINGSTEEN - WRECKING BALL
…un disco che ci restituisce un Boss
arrabbiato e in perfetta forma, capace di far convivere il proprio bagaglio di
rock pane e salame con un folk dai sentori celtici che richiama la grande
tradizione americana ( Peter Seeger su tutti ), con certe attitudini
briosamente soul che ricordano alcune ottime performance del passato, e con
passaggi maggiormente intimisti e riflessivi. Insomma, questo è lo Springsteen
che forse nemmeno il più tenace e ottimista dei fan si sarebbe aspettato. Non
fraintendetemi: non siamo di fronte a Born To Run o a Darkness : quegli anni sono passati e non torneranno
più. Tuttavia, " Wrecking Ball " ci restituisce un artista maturo e
di nuovo ( finalmente ) sanguigno, uscito definitivamente da una crisi di
ispirazione che ne aveva fiaccato la credibilità, e capace di scrivere ancora
canzoni che fanno tremare le vene dei polsi…
12) THE JEFFREY LEE PIERCE SESSIONS
PROJECT : THE JOURNEY IS LONG
…Le diciotto canzoni della raccolta sono
invischiate nel fango del Delta, e si manifestano come fiammate
improvvise in un contesto di sulfurea decadenza ( l'’unica
eccezione è Body And Soul,
interpretata dagl i Astro Unicorn, che regolarizza il battito del cuore in
languide movenze di pop solare ). Nick Cave si supera in City In Pain, psycho-funky ballato dagli spiriti delle tenebre,
un notturno al neon che gronda malsana inquietudine. Hugo
Race riscrive il blues della
tradizione, gli anni ’30 e i Crossroads, con la scorbutica slide di I'’m
Going Upstairs. Tex Perkins e Lydia
Lunch parlano la lingua che fu di Hendrix per In My Room, Steve Wynn intride di energia punk From
Death To Texas, mentre i Vertical
Smile rispolverano il grunge con Book
Of Love. Il vertice assoluto lo
raggiunge la ieratica The Breaking Hands, superba tanto nell'esecuzione del duo Mark
Lanegan e Isobel CampbelI quanto in
quella, a dir poco inarrivabile, di Nick Cave e Debbie Harry…The Journey Is Long non è solo un imperdibile omaggio a una delle
figure più carismatiche e controverse della storia del rock, ma un album
bello in assoluto, che nonostante si sviluppi attraverso diverse personalità
artistiche, mantiene comunque un'unità di intenti e un'omogeneità
interpretativa di fondo praticamente perfetta...
11) LANA DEL REY – BORN TO DIE
…Lana è brava, anzi bravissima, e questo è
meglio chiarirlo da subito, visto che esigenze di marketing la propongono al
pubblico con un look tanto abusato da poter indurre a istintivi errori di
valutazione. Così, a uno sguardo superficiale, quel faccino dall’espressione a
metà tra pudica collegiale e sgamatissima Jessica Rabbit , potrebbe farci pensare a una
Katy Perry più sobria o a una Adele meno voluttuosa. E sarebbe un errore gravissimo.
Perchè la ragazza è tanto brava che gli si perdonano volentieri anche i rari e
ingenui ammiccamenti alle due colleghe più famose ( “ National Anthem “
). “Born to Die” è infatti
un disco ricco di intuizioni, di architetture melodiche che suonano
attualissime pur sfuggendo alle ovvietà di un suono preconfezionato da Mtv. Anzi, le cose migliori del cd si rivolgono al
grande pubblico ma senza tradire una coerenza compositiva che vira spesso in
una malinconia dai connotati crepuscolari, quasi dark. In tal senso la dice
lunga il gothic – pop
della title track,
in cui un sinuoso arrangiamento d’archi accompagna la voce dolente di Lana tra
accordi in minore e seducenti languori notturni…
L’idea del carrozzone musicale
itinerante non è certo nuova : ci aveva già pensato Dylan con il Rolling
Thunder Revue che arrivò fin sopra la tomba di Kerouac e i Beatles con il loro
allucinato Magical Mistery Tour. Tuttavia il film messo in piedi da Emmett
Malloy (già alla regia per The White Stripes Under Great White Northern Lights
) è di quelli che possiedono una freschezza e un’energia che li rende unici. Un
treno, duemila miglia da percorrere, un viaggio di dieci giorni da Oakland ( California
) a New Orleans, e tre band a dividersi il palco e le canzoni. Protagonisti di
questo eccellente rock on the road movie sono gli inglesi Mumford & Sons, la
string band più cool del momento, che quest’anno ha scalato le charts con il
singolo I Will Wait, gli Old Crown Medicine Show, storica band americana che ha
ridipinto il tradizionale bluegrass con pennellate punk e rock, e i funambolici
Edward Sharpe & Magnetic Zeros, combo statunitense di folk psichedelico capitanato
da Alex Ebert e dalla bella Jade Castrinos. Un viaggio, quello documentato con
maestria da Emmett Malloy ( finalmente un uso del rallenty che emoziona invece
che far bestemmiare ), che conduce le tre band attraverso i suggestivi scenari
degli Stati Uniti del Sud, in un contesto, quasi hippy, di condivisione ( anche
fisica ) di speranze, di entusiasmi e soprattutto di musica. Che, a ben vedere,
è l’unica protagonista del film : musica come ragione di vita, esperienza
inimitabile, energia che congiunge (e conduce), gioco e gioiosa alchimia con
cui l’uomo flirta con la natura.
Le meravigliose canzoni che compongono la
colonna sonora del viaggio (le tre band ci regalano il meglio della loro
produzione) ora si accendono dell’epica dell’on the road, ora di melanconico
intimismo, ora della travolgente energia di jam session, in cui il talento di
tutti i musicisti emerge con prepotenza, a dimostrarci che, anche un prodotto
all’apparenza commerciale come quello dei Mumford & Sons, sia in realtà
frutto di una perizia tecnica non indifferente. Un film emozionante e
divertente, che vi rapirà fin dalle prime sequenze, grazie a un filotto di
canzoni reinterpretate in modo memorabile. Su tutte, svetta per intensità Home degli
Edward Sharpe & Magnetic Zeros, grazie all'intreccio delle splendide voci di Ebert e della Castrinos e lo sferragliante omaggio finale a Woody Guthrie,
con una rilettura da caos organizzato di Bound For Glory. Il miglior film
musicale del 2012. Assolutamente imperdibile.