lunedì 31 dicembre 2012

GLI ALTRI OSCAR DEL KILLER

IL LIBRO DELL'ANNO :



Matt Bondurant - La contea più fradicia del mondo 


IL FILM DELL'ANNO :



Argo di Ben Affleck


L'UOMO DELL'ANNO :

Alex Zanardi - Campione di tutto


LA DONNA DELL'ANNO :


Le Maestre della Sandy Hook Elementary School di Newtown
Victoria Soto, 27 anni
Dawn Hochsprung, 47 anni
Mary Sherlach, 56 anni



IL PEGGIO DELL' ANNO :





E

Il Ritorno Della Mummia Nana




IL MEGLIO DELL'ANNO : 
pensa un pò come stiamo messi






A tutti i viandanti un augurio di felice 2013 da parte del Killer!


   

sabato 29 dicembre 2012

GLI OSCAR DEL KILLER 2012 : dal 10° al 1°



10) THE BLACK SWANS – OCCATION FOR SONG

…Occation For Song è infatti un disco di ballate, fragili, sussurrate, e imparentate allo slowcore. Gli strumenti sono quelli della tradizione americana ( banjo, chitarra, armonica ), ma l’anima di queste canzoni è terribilmente cupa, autunnale, affranta, quasi presbiteriana. Un disco che va ascoltato più volte prima di entrare in sintonia con i dolori del giovane Jerry de Cicca, leader della band. Poi, farete fatica a farne a meno…

 


9) NEIL YOUNG WITH CRAZY HORSE - PSYCHEDELIC PILL

…le cose migliori dell'album arrivano proprio laddove il minutaggio tracima la convenzione: l'iniziale Driftin' Back, una maratona elettrica di ventisette minuti tra chiaro-scuri di epica psichedelica, e la conclusiva Walk Like A Giant, monolite di sedici minuti che si muove in un magma di fuzz e feedback pur mantenendo un gancio melodico non indifferente…Il resto sono canzoni younghiane fatte e finite , nelle quale convivono il senso di Neil per la jam, il gusto per la tradizione country rock e una rinata propensione per il noise. Novità ? Nessuna,ovviamente. Ma forse il bello di Psychelic Pill sta proprio in questo : sapere che Young non molla e lotta ancora insieme a noi. Come ai bei tempi…

 


8) BLACK COUNTRY COMMUNION – AFTERGLOW

…Anzi, questo Afterglow, ad essere sinceri, è il miglior disco del combo anglo – americano, che evidentemente, come un vino importante, più passa il tempo e più si struttura e acquista corpo…Stupisce semmai il piglio e la freschezza di queste undici canzoni (prodotte magnificamente da Kevin Shirley –  già Aerosmith, Hoodoo Gurus, Slayer e Iron Maiden) che non mostrano un punto debole che sia uno, che hanno un bel suono vintage ma mai arcaico, e che si colorano della sbrigliata e sudata freschezza di una jam improvvisata su due piedi (ascoltate la funambolica Common Man, e il rincorrersi degli assoli, nei quali i Deep Purple all’improvviso si trovano a braccetto con uno scintillante funky rock). Aggiungiamoci anche che finalmente Sherinian si è guadagnato lo spazio che si meritava (e il suono ne ha guadagnato perché è diventato più pieno) e che Hughes azzanna alla gola le canzoni con un’ugola che, strano a dirsi, è migliorata con l’età, e avremo il quadro completo…

 

7) THE MASTERSONS - BIRDS FLY SOUTH

…Nonostante inevitabili deja vù (che suonano semmai come piacevoli ammiccamenti), le canzoni che compongono Birds Fly South esprimono una personalità autonoma e già ben definita, guardano al passato ma hanno innanzi un radioso futuro, rilucono nei cromatismi abbaglianti di chitarre graziosamente rootsy o si schermiscono negli accenti crepuscolari di arrangiamenti d'archi discreti e  melanconicamente agro-dolci. Difficile trovare una canzone più bella delle altre: un filo unisce le composizioni, come se nessuna di loro potesse prescindere dalla fitta trama melodica che inanella tutte le note, dalla prima all'ultima, come in una collana di preziose gemme. Ma se s'imponesse l'obbligo di individuarne il diadema, il gioiello più scintillante, l'apertura di You Don't Know, ariosa e deliziosamente pop, è di una perfezione tanto angelica, che viene istintivo riporla per sempre nello scrigno del nostro cuore...

 


6) SPAIN – THE SOUL OF SPAIN

…la magia di questo slow core imparentato al jazz è ancora in grado di scaldarci il cuore. Lo si capisce fin dall’iniziale Only One, nelle cui vene circola lo stesso sangue amaro di Nobody Has To Know, o dai languori ipnotici della struggente All I Can Give, i cui accordi in minore ci accompagnano per mano fino all’ossessivo spleen finale. E quando il torpore della conclusiva Hang Your Head Down Low (godetevi le partiture di hammond e lo splendido assolo blues di una chitarra al rallentatore) renderà dolce e rarefatta anche la vostra più pungente malinconia, sentirete il desiderio di ricominciare da capo. Magari riscoprendo quel capolavoro al rallenty che porta il nome di The Blue Moods Of Spain, che dal 1995 fa palpitare i cuori a tutti quei romantici per cui amore fa rima con slow core…

 


5) HERITAGE BLUES ORCHESTRA - AND STILL I RISE

…Quello che piace di questo disco è soprattutto l'approcio filologico, l'attenzione a ricostruire, attraverso traditional e standars, cent'anni di storia del blues, con assoluto rispetto e devozione, senza però cedere alla tentazione della convenzione e del pedissequo…L'album, infatti, pesca in un repertorio noto, ma pur rispettando le origini e lo spirito da cui ogni canzone nasce, le rivitalizza con un suono che è al contempo classico e moderno, caldo, avvolgente e ricco di sfumature. In questo opera prima della HBO, si trova tutto quello che riguarda il blues (sarebbe il caso di dire che il genere viene rivoltato come un calzino), a partire dalle seducenti sonorità africane di C - Line Woman che ci fanno viaggiare fino alle terre del Mali, dove tutto ebbe inizio. Ogni canzone del disco suona come un lungo abbraccio a tre, tra musica, musicisti e ascoltatore: un abbraccio che omaggia d'affetto il blues e  tutti coloro che continuano a essere immanorati di un genere che sembra non invecchiare mai. L'iniziale Clarcksdale Moan, ripresa da Son House, riscopre l'epica sudista del folk-blues ; l'infuocata Catfish Blues di Muddy Waters (ascoltate il lavoro pazzesco di Bucher all'armonica) stilla sangue e sudore da uno swing orchestrale adrenalinico ; mentre la chiosa di Hard Times crea un' incredibile alchimia fra blues e jazz, che sfuma in un'inaspettata coda funky. Il resto del disco sono meraviglie che lasciano a bocca aperta l'ascoltatore, trasportandolo in un viaggio di suggestioni da New Orleans alle rive del Mississippi, tra carezzevoli nenie gospel e sferzate elettriche di scintillanti chitarre...

 


4) MANAGEMENT DEL DOLORE POST OPERATORIO - AUFF !

…provate a immaginare una versione aggiornata e italica dei Gang Of Four (quelli di Entertainment!, per intenderci), suonati però con il piglio brioso dei Franz Ferdinand degli esordi : funk bianco, ritmica nervosa, puntuti riff di chitarra, ganci melodici e assist di godereccia dance-wave. Eppure, nonostante tanti celebri riferimenti, la musica dei Management ha una fisionomia personalissima e ben marcata, che sarebbe ingiusto ridurre a un mero riflesso dello specchio. Auff !, infatti, vibra di energia, è ben suonato, è divertente, non conosce passi falsi e riempitivi. Le liriche di Luca Romagnoli, spregiudicatissime e ricche di calembour, stanno lontano chilometri da clichè e banalità, inducono al sorriso e aprono alla riflessione, sferzano con sarcasmo e inchiodano a icastiche verità. Le dieci canzoni di cui è composto il disco si bevono d'un fiato come un boccale di birra quando la gola è arsa dalla sete, ti sbloccano le gambe come iniezioni di adrenalina che spingono al ballo senza spegnere il cervello (Pornobisogno, Auff !) o inquietano i pensieri  con il limaccioso incedere di una scombussolante malinconia (Amore Borghese, con Emiliano Audisio dei Linea 77 alla voce, e la conclusiva Il Numero Otto)…



3) PUNCH BROTHERS - WHO'S FEELING YOUNG NOW ?

…E' indubbio che le dodici canzoni dell'album paghino debito in qualche modo alla grande tradizione country americana, non fosse altro che per la strumentazione ( tutta acustica ) usata dai nostri, che prevede, oltre al basso e alla chitarra, anche banjo, mandolino e fiddle ( strumento a corda della famiglia dei violini, che viene usato molto anche nel folk anglosassone ). Eppure la rilettura del genere è modernissima, i suoni sono caldi e avvolgenti, ma mai retrò. Nulla insomma che faccia pensare a una serata conviviale fra contadini in salopette e cappello di vimini in qualche sperduto sobborgo della provincia rurale statunitense. Anzi. Le canzoni dei Punch Brothers talvolta si screziano di cangianti filamenti jazz, più spesso si ammantano di una luce pop che richiama alla mente( per attitudine ) le oblique alchimie degli Arcade Fire o i soffusi languori malinconici dei primi Coldplay. Who's Feeling Young Now ?, a dispetto del titolo, è un disco che profuma di primavera, è fresco, colorato, giovanile, ma non giovanilistico. E oltretutto è suonato divinamente, con grazia e tecnica, senza alcun compiacimento, ma con la perizia di chi sa come giostrare alla perfezione luci e ombre, pieni e vuoti, groove e digressioni strumentali…







2) BILL FAY - LIFE IS PEOPLE

…Life Is People è un disco all'apparenza semplice, dall'andamento umorale, quasi istintuale nell'alternarsi di melodie che talvolta giocano con la luce del sole, per poi rinchiudersi come d'incanto in una penombra crepuscolare. Eppure, non ostante l'apparente immediatezza delle composizioni, Life Is People è un disco che si gusta piano, ascolto dopo ascolto, centellinando, con parsimonia, le fascinazioni, i rimandi, le implicazioni. Non è una questione di testa, ma di cuore. Le canzoni di Fay si insinuano sotto pelle, ci gonfiano l'anima di umori, ci pervadono di vita e di morte, ci scuotono con frementi nostalgie, ci illanguidiscono con morbidi sorrisi, ci inebriano di una remota, antichissima sacralità, che è soprattutto tendenza all'assoluto, forse ricerca del divino ( ascoltate la sublime preghiera di Thank You Lord, ballata in equilibrio fra estasi e tormento ). Nessuna delle tredici canzoni che compongono la track list passa attraverso la nostra anima senza lasciarci qualcosa, non c'è un attimo che non risulti necessario, nulla che non finisca in qualche modo per stordirci d'emozione. Le note fluiscono in noi, come trasportate da un refolo di salvifico vento, sollevate appena da un fraseggio di piano, intuite in un lontano noise chitarristico, dipinte dai cromatismi cangianti di un folk speziato d'America, cullate da una voce calda e sofferta, eppure mai arresa…






…AND THE WINNER IS :



1) PAUL BUCHANAN – MID AIR

Quando nel 1983 esce A Walk Across The Rooftops, primo album in studio dei Blue Nile, appare subito chiaro di essere al cospetto di una band in grado di lasciare un segno decisivo nella storia della musica. Eppure Paul Buchanan, leader e cantante del gruppo, è uno che ama lasciar decantare le cose, si defila invece di cavalcare il successo. Poco incline alle luci della ribalta, fa dell’understatement il suo stile di vita artistica : si rifiuta di tenere concerti, non rilascia interviste, non compare sulle riviste specializzate. Centellina i dischi, oltretutto. L’album successivo, dal laconico titolo di Hats, esce sei anni dopo, nel 1989, folgorando nuovamente pubblico e critica con suggestioni sonore grondanti di notturna malinconia. Sarà così anche per i successivi due album, l’ennesimo capolavoro Peace At Last, datato 1996, e High del 2004, ultimo capitolo della più dilatata discografia che la storia ricordi. Paul Buchanan, anche lontano dai Blue Nile, mantiene comunque il medesimo approcio artistico da eremita del pop: sparisce dalle scene e di lui non si sa più nulla. Poi, come un fulmine a ciel sereno, ricompare. Esce infatti in questi giorni Mid Air, primo album solista del cantante scozzese dopo otto anni di silenzio.Otto anni sono un’eternità, sono un lasso di tempo così lungo da rendere fallace o incongrua ogni aspettativa.Saranno ancora i Blue Nile ? O sarà qualcosa di completamente diverso ? Mi sono posto queste domande più volte prima di inserire il cd nel lettore. Probabilmente perché Hats è stato, e resta , uno dei dischi più importanti della mia vita, e perchè quelle canzoni, così struggenti e decisive, hanno lasciato nel mio cuore ferite ancora oggi non rimarginate.Per Buchanan quindi provo riconoscenza, eppure egoisticamente da lui voglio, pretendo, anche dopo tanto tempo, le medesime suggestioni. Quando parte la title track il mio cuore si ferma. Penso subito a Let’s Go Out Tonight e mi si stringe la gola. Poi, sfilano una a una, ripetutamente, tutte le altre tredici canzoni del disco. Le note si muovono con lentezza, scorrono come frames di una malinconia che non strugge ma consola, come immagini di un risveglio accarezzato dal morbido calore del primo sole mattutino. I languori si avviluppano alla tastiera di un piano suonato con la calma di chi cerca di svelare la melodia senza fretta, come quando si sorseggia un buon vino del quale si vuol cogliere anche il più recondito profumo. La voce arresa di Buchanan accarezza le orecchie con sussurri, bisbigli, esitazioni, culla i fremiti di una feroce nostalgia perché non esplodano, ma restino sottotraccia, sensazioni buone da consumare come pane caldo appena sfornato. Minimali nella forma e intimiste nella sostanza, le canzoni di Mid Air declinano un lirismo che sembrava perduto, sono l’avamposto di resistenza poetica alla inconcludente frenesia del mondo, perle di consapevole e disillusa rassegnazione di un’arte che svela la sua fragile bellezza innanzi allo strapotere protervo della macchina. Ed è bello fermarsi e lasciarsi sommergere dall’acqua purificatrice di una musica che restituisce, integra e cristallina, la gioia dei nostri pensieri più profondi, dei nostri ricordi più dolci, di quel nitore malinconico che le convulsioni della vita rendono grigio e triste. Capita poche volte, ma quando succede è bello poterlo scrivere. Perchè Mid Air è un disco magnifico, che potrebbe anche definirsi epocale se solo parlasse la stessa lingua per tutti. Invece veste abiti diversi per ogni vissuto, parla di noi, di ciascuno di noi, nella segreta penombra del confessionale. Lo teniamo stretto al cuore con protettivo affetto, gelosi di  qualcosa che riguarda solo il nostro passato, come fosse un deliquio privato, un segreto taciuto, una scheggia di eternità spirituale che infrange la finitezza dei corpi, un gioiello tanto prezioso da nascondere agli altrui sguardi, celandolo nello scrigno profondo dell’anima.Per una volta sola, da tanto tempo a questa parte, posso usare una parola senza temere di esagerare : capolavoro. E giuro, è una sensazione bellissima.







Le recensioni dei dischi in classifica le trovate complete sul blog

Blackswan, sabato 29/12/2012

venerdì 28 dicembre 2012

GLI OSCAR DEL KILLER 2012 - dal 20° all’11°


Come sempre, a fine anno, è giunta l’ora anche per me di stilare il personale classificone di questo 2012. Premetto che la mia top ten non ha alcuna pretesa di autorevolezza né tanto meno di completezza. In trecentosessantacinque giorni, ho ascoltato 523 tra cd e vinili nuovi, un numero che pare ponderoso, ma che, mi rendo conto, è insufficiente per avere un quadro d’insieme realmente obiettivo. Peraltro, i miei gusti virano prevalentemente verso il rock, il blues e l’americana, con ovvia sofferenza di altri generi quali l’elettronica, il soul e il pop. Nella mia classifica dei migliori venti dell’anno, non compaiono inoltre alcuni dei dischi più molto apprezzati negli altri blog (Calexico e Bob Dylan, ad esempio).Non è una dimenticanza, semplicemente, giudicati nel modo più obiettivo possibile ( mi sono preso fino all’ultimo giorno per emendare gli ascolti dai miei personalissimi gusti ) ho ritenuto che fossero leggermente inferiori a quelli che troverete elencati più sotto. Non sempre il metro di giudizio è stato tarato sulla qualità artistica delle composizione, ma ho volute tenere conto anche dell’onestà intellettuale (Neil Young), della freschezza della proposta (Lana Del Rey) e della relatività al genere, di cui alcuni dei dischi qui sotto citati sono esempi mirabili (Black Country Communion). So benissimo che ogni classifica lascia il tempo che trova, che i voti servono a poco (probabilmente più come guida per chi legge che come criterio per chi scrive), che assolutizzare o relativizzare è un gioco sterile che non conduce da nessuna parte. In fin dei conti, la musica si divide in musica buona e musica cattiva, il resto conta poco.Tuttavia, l’atto di ordinare produce su di me lo stesso effetto benefico di scrivere: mi aiuta a capire meglio e, soprattutto, mi consente di rassettare un poco le stanze troppo affollate del mio cervello.




20 ) WOVEN HAND - THE LAUGHING STALK

…The Laughing Stalk è l'ennesimo capitolo del grande romanzo di una crepuscolare epopea americana : i grandi spazi al culmine della notte, terre desolate e sordidi anfratti, i misteriosi riti sciamani della cultura indiana, l'invasato declamare di un allucinato predicatore per cui la spiritualità vive di pentimento e fiamme dell'inferno. La produzione di Alexander Hake (già con i tedeschi Einsturzende Neubauten), europeizza un poco il suono, lo rende più rumoroso e heavy, lo ferisce con schegge di dark wave…

 

 

19) IL TEATRO DEGLI ORRORI – IL MONDO NUOVO


…Queste sedici canzoni lanciano piuttosto uno sguardo impietoso e lucidissimo sulle rovine etiche della nostra società, sull’Italia dello sfruttamento, del lavoro nero, delle vite sacrificate in nome del profitto, di esistenze ai margini di un popolo inebetito da vent’anni di berlusconismo… Il Nuovo Mondo è il reportage in note di una tragedia collettiva, un libro di Storia aperto su una delle pagine più dolorose del nostro presente. Ascoltare questo disco significa soprattutto capire, aprire gli occhi su un disagio che non possiamo continuamente far finta di non vedere…







18) THE UNTHANKS - DIVERSIONS VOL. 1 ( THE SONGS OF ROBERT WYATT AND ANTONY & THE JOHNSONS )


…perchè se è vero che queste quindici canzoni sono tanto belle che avrebbero una resa pazzesca anche se interpretate da Toto Cotugno, è anche vero che il paragone con gli originali è come una spada di Damocle che pende sul capo di chiunque si cimenti nel reintepretarle. Poteva, insomma, venirne fuori un pasticcio o un lavoro esclusivamente referenziale di clonazione senz'anima. Invece, le Unthanks sfornano un live act da brividi, regalando alcuni momenti di musica davvero celestiali, in cui a un'indiscutibile eleganza formale si affiancano palpiti di commossa partecipazione…

 


17) RADICAL FACE – THE FAMILY TREE : THE ROOTS


…The Roots è il primo capitolo di una trilogia con cui Cooper intende narrare, con ampio respiro (musicale e letterario) la storia di una famiglia americana negli anni che vanno dai primi dell’ottocento agli anni ’50 del secolo scorso. Registrato di notte, nel capanno dove Cooper vive, la peculiarità di The Roots consiste soprattutto nell’uso di strumenti originari dell’epoca in cui la storia si svolge. Ne esce un suono che nemmeno la parola vintage può chiarire: antico, caldo, avvolgente. E le canzoni sono bellissime…

 


16) CHATAM COUNTY LINE - SIGHT & SOUND


Sight & Sound, cd live + Dvd live, rappresenta un'ottima occasione per apprezzare il repertorio di questa giovane band (in circolazione già da qualche annetto) alle prese con un pugno di canzoni che lasciano a bocca aperta per intelligenza di scrittura e cristalline soluzioni melodiche. Meglio precisare subito che i Chatam County Line non sono dei puristi (piaceranno quindi anche a chi non mastica il genere) e l'approcio al Bluegrass vive prevalentemente nel modo di suonare e nella strumentazione utilizzata : durante il live act i quattro ragazzi stanno in piedi innanzi allo stesso microfono, suonando chitarra acustica, banjo, fiddle e contrabbasso…

 


15) THE EXCITEMENTS – THE EXCITEMENTS


…Così, i trentacinque minuti del disco filano via divertenti e velocissimi, senza un intoppo, una battuta d’arresto o un momento che non sia deliziosamente retrò. Grazie soprattutto a un gruppo di musicisti affiatatissimo e alla voce stre-pi-to-sa della Davis, una che, ve lo assicuro, avrebbe fatto la sua porca figura anche ai tempi d’oro della Stax. “ The Excitements “ non solo è il classico cd da festa, di quelli che creano atmosfera e che dopo poche note riempiono il dancefloor, ma è, in senso assoluto, una bomba energetica che ritempra spirito e corpo. Per chi ama il genere, perderlo sarebbe un delitto…

 

 


14) PATTI SMITH - BANGA


…Banga, primo album di inediti da Trampin' del 2004, è lo specchio della creatività della Smith : in esso confluiscono ispiratissimi versi, una serie di ritratti fotografici decisamente suggestivi ( nell'edizione deluxe il booklet è un vero e proprio libro ), tanti tributi artistici ( Tarkovsky, Piero della Francesca, Maria Shneider ) e un ricordo toccante del disastro nucleare di Fukushima ( Fuji-San )… non è solo un gradito ritorno di una delle artiste più amate di tutti i tempi, ma è soprattutto la conferma che Patti Smith resterà, anche per gli anni a venire, protagonista e punto di riferimento della scena rock internazionale che conta davvero.Con buona pace di tutti coloro che la davano per finita…

 


13) BRUCE SPRINGSTEEN - WRECKING BALL


…un disco che ci restituisce un Boss arrabbiato e in perfetta forma, capace di far convivere il proprio bagaglio di rock pane e salame  con un folk dai sentori celtici che richiama la grande tradizione americana ( Peter Seeger su tutti ),  con certe attitudini briosamente soul che ricordano alcune ottime performance del passato, e con passaggi maggiormente intimisti e riflessivi. Insomma, questo è lo Springsteen che forse nemmeno il più tenace e ottimista dei fan si sarebbe aspettato. Non fraintendetemi: non siamo di fronte a Born To Run o a Darkness : quegli anni sono passati e non torneranno più. Tuttavia, " Wrecking Ball " ci restituisce un artista maturo e di nuovo ( finalmente ) sanguigno, uscito definitivamente da una crisi di ispirazione che ne aveva fiaccato la credibilità, e capace di scrivere ancora canzoni che fanno tremare le vene dei polsi…

 


12) THE JEFFREY LEE PIERCE SESSIONS PROJECT : THE JOURNEY IS LONG


…Le diciotto canzoni della raccolta sono invischiate nel fango del Delta, e si manifestano come fiammate improvvise in un contesto di sulfurea decadenza ( l'’unica eccezione è Body And Soul, interpretata dagl i Astro Unicorn, che regolarizza il battito del cuore in languide movenze di pop solare ). Nick Cave si supera in City In Pain, psycho-funky ballato dagli spiriti delle tenebre, un notturno al neon che gronda malsana inquietudine. Hugo Race riscrive il blues della tradizione, gli anni ’30 e i Crossroads, con la scorbutica slide di I'’m Going Upstairs. Tex Perkins e Lydia Lunch parlano la lingua che fu di Hendrix per In My RoomSteve Wynn intride di energia punk From Death To Texas, mentre i Vertical Smile rispolverano il grunge con Book Of Love. Il vertice assoluto lo raggiunge la ieratica The Breaking Hands, superba tanto nell'esecuzione del duo Mark Lanegan e Isobel CampbelI quanto in quella, a dir poco inarrivabile, di Nick Cave e Debbie HarryThe Journey Is Long non è solo un imperdibile omaggio a una delle figure più carismatiche e controverse della storia del rock, ma un album bello in assoluto, che nonostante si sviluppi attraverso diverse personalità artistiche, mantiene comunque un'unità di intenti e un'omogeneità interpretativa di fondo praticamente perfetta...

 


11) LANA DEL REY – BORN TO DIE


…Lana è brava, anzi bravissima, e questo è meglio chiarirlo da subito, visto che esigenze di marketing la propongono al pubblico con un look tanto abusato da poter indurre a istintivi errori di valutazione. Così, a uno sguardo superficiale, quel faccino dall’espressione a metà tra pudica collegiale e sgamatissima Jessica Rabbit , potrebbe farci pensare a una Katy Perry più sobria o a una Adele meno voluttuosa. E sarebbe un errore gravissimo. Perchè la ragazza è tanto brava che gli si perdonano volentieri anche i rari e ingenui  ammiccamenti alle due colleghe più famose ( “ National Anthem “ ). “Born to Die” è infatti un disco ricco di intuizioni, di architetture melodiche che suonano attualissime pur sfuggendo alle ovvietà di un suono preconfezionato da Mtv. Anzi, le cose migliori del cd si rivolgono al grande pubblico ma senza tradire una coerenza compositiva che vira spesso in una malinconia dai connotati crepuscolari, quasi dark. In tal senso la dice lunga il gothic – pop della title track, in cui un sinuoso arrangiamento d’archi accompagna la voce dolente di Lana tra accordi in minore e seducenti languori notturni…

 

 


 SEGUIRA' LA TOP TEN...

Blackswan, venerdì 28/12/2012

giovedì 27 dicembre 2012

BIG EASY EXPRESS A FILM BY EMMETT MALLOY




L’idea del carrozzone musicale itinerante non è certo nuova : ci aveva già pensato Dylan con il Rolling Thunder Revue che arrivò fin sopra la tomba di Kerouac e i Beatles con il loro allucinato Magical Mistery Tour. Tuttavia il film messo in piedi da Emmett Malloy (già alla regia per The White Stripes Under Great White Northern Lights ) è di quelli che possiedono una freschezza e un’energia che li rende unici. Un treno, duemila miglia da percorrere, un viaggio di dieci giorni da Oakland ( California ) a New Orleans, e tre band a dividersi il palco e le canzoni. Protagonisti di questo eccellente rock on the road movie sono gli inglesi Mumford & Sons, la string band più cool del momento, che quest’anno ha scalato le charts con il singolo I Will Wait, gli Old Crown Medicine Show, storica band americana che ha ridipinto il tradizionale bluegrass con pennellate punk e rock, e i funambolici Edward Sharpe & Magnetic Zeros, combo statunitense di folk psichedelico capitanato da Alex Ebert e dalla bella Jade Castrinos. Un viaggio, quello documentato con maestria da Emmett Malloy ( finalmente un uso del rallenty che emoziona invece che far bestemmiare ), che conduce le tre band attraverso i suggestivi scenari degli Stati Uniti del Sud, in un contesto, quasi hippy, di condivisione ( anche fisica ) di speranze, di entusiasmi e soprattutto di musica. Che, a ben vedere, è l’unica protagonista del film : musica come ragione di vita, esperienza inimitabile, energia che congiunge (e conduce), gioco e gioiosa alchimia con cui l’uomo flirta con la natura. 







Le meravigliose canzoni che compongono la colonna sonora del viaggio (le tre band ci regalano il meglio della loro produzione) ora si accendono dell’epica dell’on the road, ora di melanconico intimismo, ora della travolgente energia di jam session, in cui il talento di tutti i musicisti emerge con prepotenza, a dimostrarci che, anche un prodotto all’apparenza commerciale come quello dei Mumford & Sons, sia in realtà frutto di una perizia tecnica non indifferente. Un film emozionante e divertente, che vi rapirà fin dalle prime sequenze, grazie a un filotto di canzoni reinterpretate in modo memorabile. Su tutte, svetta per intensità Home  degli Edward Sharpe & Magnetic Zeros, grazie all'intreccio delle splendide voci di Ebert e della Castrinos e lo sferragliante omaggio finale a Woody Guthrie, con una rilettura da caos organizzato di Bound For Glory.  Il miglior film musicale del 2012. Assolutamente imperdibile.





Blackswan, giovedì 27/12/2012