sabato 31 ottobre 2015

THE DELTA SAINTS – BONES



La chiave del successo dei Delta Saints si chiama crowdfunding, quella pratica di micro finanziamento dal basso, che oggi va tanto di moda e che spesso dà risultati sorprendenti, permettendo anche a gruppi emergenti di potersi affacciare nello star system e provarci. E’ in questo modo, infatti, che il gruppo proveniente da Nashville ha potuto produrre, nel 2013, Death Letter Jubilee, secondo album in studio (il primo raccoglie due Ep usciti alla fine del decennio scorso), che ha convinto sia pubblico che critica, ottenendo peraltro ottimi risultati di vendite. Bones, uscito invece seguendo i canali più convenzionali, è pertanto il disco della maturità, quello con cui il gruppo non solo si afferma come una delle realtà più interessanti della scena (southern) rock, ma soprattutto consolida un songwriting personale e ricco di idee. La base di partenza su cui il quintetto lavora è un rock blues declinato con accenti sudisti, che guarda alla tradizione di caposcuola come i Black Crowes e sugge linfa vitale da riff classici di derivazione zeppeliniana. I Delta Saints, tuttavia, non si sono mai presentati come meri epigoni di un suono altrui, ma, come si diceva poc’anzi, hanno arricchito l’idea di partenza con una scrittura che, fin dal loro esordio, ha acquisito sempre più specifiche peculiarità. Bones è, in tal senso, un disco in cui la band sudista salta lo steccato del suono tradizionale, aggiungendo modernità e idee a una formula che, diversamente, risulterebbe consunta. Così, anche nei momenti più convenzionali della scaletta (l’incipit di Sometimes I Worry) il gioco a incastro fra vibrato e slide e una cospicua dose di acidi riescono a colorare una fotografia altrimenti sbiadita. Che si siano guardati intorno, poi, alla ricerca di un suono più a la mode, è evidente quando parte Heavy Hammer (ma anche Soft Spoken gira da quelle parti), una tirata adrenalinica che aggiunge un tocco funky alle scorie garage di casa Jack White. Il delta e il suono bayou non vengono certo rinnegati, e anzi emergono prepotentemente nella title track e nella ballata Butte La Rose, che però hanno il merito di suonare decisamente meno vintage che in passato. Così come convincono la conclusiva Berlin, tutta arpeggi e punta di bacchette, e l’altalenante My Love, sali e scendi elettro- acustico, che si candida a miglior brano del lotto. L’impressione, dopo ripetuti e coinvolgenti ascolti, è che i Delta Saints con Bones abbiano trovato il biglietto vincente della lotteria del rock e siano ora un gruppo di cui ci si possa fidare completamente: solidi e originali, sono destinati a riaccendere di entusiasmo le ormai stanche legioni del rock blues. 

VOTO: 7,5





Blackswan, sabato 31/10/2015

TUA PRINZ SENZA RITORNO

giovedì 29 ottobre 2015

RAYLAND BAXTER - IMAGINARY MAN



Non inganni la copertina, in cui Rayland Baxter indossa un cappellone da cowboy: in Imaginary Man c'è molta meno americana di quanto si possa pensare dalla cover del disco. Certo, Rayland arriva da Nashville, Tennesse, patria del country più mainstream, ed è figlio di Bucky Baxter, un'icona del roots rock a stelle e strisce, ricordato soprattutto per aver suonato con Dylan (le cronache parlano di oltre settecento concerti), e per aver collaborato con Rem e Steve Earle, per citare un paio di nomi. Ma in questo secondo full lenght (l'esordio dal titolo Feathers & Fishooks è risalente al 2012), Baxter Jr. porta a compimento un percorso musicale che solo inizialmente trova spunto nel folk, ma giunge poi a compiuta realizzazione attraverso i colori tenui di un pop declinato con un percettibile accento americano, che mai però si trasforma in slang. Tanto che, a un primo ascolto, l'impressione è quella di essere caduti in un tranello, e chi si aspettava il classico songwriter dalla voce roca e dalle atmosfere polverose, si troverà invece di fronte a un pugno di canzoni dall'anima indie folk pop, elegantemente acconciate con un suono molto curato e decisamente radio frendly. Tuttavia, superato l'enpasse inziale, i ripetuti ascolti di Imaginary Man ci svelano un cantautore con idee ben chiare e niente affatto banali, bravo a restare in bilico fra il vintage di citazioni quasi doverose (Mr. Rodriguez e Memory Of Old Hickory sono un eloquente riferimento a Paul Simon), la modernità di quel movimento nu-folk che miete vittime da un capo all'altro dell'oceano (Mumford & Sons, Fleet Foxes) e qualche breve, ma riuscito, tentativo di spostare gli equilibri, come nella chiosa jazzy di Freakin Me Out o nel riverbero desertico di Young Man. Tuttavia, a prescindere dal suono, quel che conta davvero in Imaginary Man è l'abilità di Baxter a piazzare, con semplicità, melodie che rapiscono verso altri ascolti: Oh My Captain, la citata Mr Rodriguez e Your Love sono piccoli gioielli che intaseranno la playlist del vostro iPod.

VOTO: 7





Blackswan, giovedì 29/10/2015

martedì 27 ottobre 2015

EAGLES OF DEATH METAL - ZIPPER DOWN



Ma davvero avevamo bisogno di un nuovo disco di questi due alfieri del cazzismo più spinto? Probabilmente no, e a essere sinceri fino in fondo nemmeno ne sentivamo la mancanza. Tuttavia, Jesse Hughes (più noto per il suo attivismo repubblicano che per le attitudini musicali) e Josh Homme (il papà dei Queens Of Stone Age) tornano a noi con un quarto album in studio, la cui copertina (una delle più trash viste nell'ultimo decennio) esplicita più di mille parole cosa contengono le undici canzoni in scaletta. Con gli Eagles Of Death Metal, il disimpegno intellettuale è garantito a trecentosessanta gradi e anche Zipper Down, come tutti i suoi predecessori, attinge a piene mani dal rock più rumoroso, festaiolo e cazzaro dell'universo. Potrei mai consigliarvi l'acquisto di un disco del genere? Francamente non me la sento, e se lo facessi, so che finirei per essere messo all'indice come un eretico. Però, se avete la consapevolezza di accingervi a uno degli ascolti più inutili dell'anno, a conti fatti, vi accorgerete che nella vita c'è anche di peggio. Certo, nessuna canzone di Zipper Down è scritta per restare impressa nella memoria, e questo è un disco di cui non rimarra più traccia nella nostra playlist già a fine 2015. Tuttavia, a voler cogliere l'attimo, è impossibile non provare un briciolo di effimera eccitazione mentre lo stereo passa un martellone come Complexity o i nostri eroi tritano in chiave elettrica Save A Prayer, una delle poche canzoni del repertorio dei Duran Duran che valga la pena ascoltare. E' argent de poche, e ci mancherebbe altro, però a qualche festa dall'imbarazzante contenuto alcolico anche Zipper Down può venir utile.

VOTO: 5,5





Blackswan, martedì 27/10/2015

lunedì 26 ottobre 2015

IL MEGLIO DEL PEGGIO





Riceviamo dalla nostra freelance Cleopatra e integralmente pubblichiamo.

"Per un pugno di voti". E' il titolo dell'ultimo film di Matteo Renzi. Il cast è stellare, ve lo assicuro. Conosciamo, insieme, gli interpreti principali di questa nuova opera che sarà un successo al botteghino.
Graziano Delrio, renzianissimo ministro alle Infrastrutture, difende l'innalzamento del limite al pagamento in contanti sostenendo che è un provvedimento nato dall'esigenza di andare incontro alla necessità di tutti quei vecchietti che non sanno usare la carta di credito. Nemmeno il più abile e navigato fra gli equilibristi del Circo Orfei avrebbe fatto meglio. Quindi, se abbiamo pensato che la norma fosse un regalo agli evasori, significa che non abbiamo colto la cifra di questo attore da Oscar.
Segue Pier Carlo Padoan, altro nome altisonante del firmamento renziano. "Ho cambiato idea, non c'è correlazione tra l'uso dei contanti e l'evasione fiscale". La Svezia si prepara all'estinzione dell'uso delle banconote e in Italia, invece, si segue il percorso dei gamberi. Ma noi italiani siamo strani, andiamo controcorrente come i salmoni. Del resto, solo i cretini non cambiano idea. 
E se Raffaele Cantone, presidente dell'autorità anticorruzione, recensisce in modo poco lusinghiero il lungometraggio renziano, poco importa: "Ho preso posizione, ho detto a un convegno che sono assolutamente contrario". Il suo, rimane un canto fuori dal coro: l'indefesso Renzi rimane sordo alle critiche.
Poi, c'è l'estroso Ignazio Marino che da vera star consumata, ritorna sui propri passi e riappare sul palcoscenico. La ribalta, si sa, ha il suo fascino e al grido dei fan "Marino nun ce lascià", lui risponde: "Mi chiedete di ripensarci, non vi deluderò...mi date la determinazione per andare avanti". Un vero talento. Ma il meglio lo offre la special guest star, Denis Verdini che, nel corso dell'interrogatorio al processo sulla P3, riferisce: "Io sono un facilitatore, risolvo i problemi come Wolf: sono rapido". Bisogna dargliene atto: Denis fa sempre la differenza. E' quello che, in gergo cinematografico, è un attore- feticcio. Peccato che in questo film, la realtà supera la fantasia.

Joe Formaggio (Fratelli d'Italia), sindaco di Albettone, a proposito dell'episodio di Vaprio d'Adda: "Ogni tanto un ladro morto ci sta bene, perchè devono imparare che non possono farla sempre franca. Se si presenta un ladro, io gli sparo in testa e quello si trova le cervella dentro le scarpe da ginnastica..."

Silvio Berlusconi: "Anche se mi consigliano di non dirlo, io, Socrate e Gesù abbiamo subito dei processi politici !"

Clemente Mastella, su Renzi: "Con Renzi ci siamo incontrati una volta allo stadio. E' stato molto simpatico e brillante, mi ha trattato come fossi un figlio 'ndrocchia. Ad un amico fiorentino che abbiamo in comune, peraltro, Renzi ha detto che uno come me gli servirebbe..."

Cleopatra, lunedì 26/10/2015

sabato 24 ottobre 2015

IL TEATRO DEGLI ORRORI – IL TEATRO DEGLI ORRORI



Il Teatro Degli Orrori è una delle poche band italiane con non mi fa scappare a gambe levate al primo ascolto. Anzi, per essere precisi, gli ho amati visceralmente fin dal travolgente esordio Dell’Impero Delle Tenebre (2007), seguito poi dal più maturo A Sangue Freddo (2009), tutt’ora apice di una breve ma esaltante carriera, e dal controverso Il Mondo Nuovo (2012), che a sottoscritto parve ottimo e che invece molti stroncarono senza pietà. Questo omonimo nuovo full lenght ha tutte le carte in regola per suscitare ulteriori diatribe fra fans e detrattori, dal momento che nel nostro paese è davvero difficile trovare un progetto musicale che sia ostico e poco accomodante come quello targato Capovilla e soci. Insomma, non fossimo qui a parlare di musica ma a sparar sentenze, potremmo cavarcela con un pilatesco: “Il Teatro Degli Orrori o si amano o si odiano”. Affermazione, questa, che suonerebbe troppo apodittica e soprattutto molto riduttiva per una band che, tra pregi e difetti, continua a essere una delle realtà più interessanti del panorama nazionale. Il Teatro Degli Orrori ha il merito di riconsegnarci un gruppo che, a distanza di anni dagli esordi, continua a scalciare e non ha certo perso la voglia di far rumore e picchiare senza compromessi. Il che, di per sé, è già un gran risultato nell’asfittico mondo musicale italiano, composto da rocker in naftalina, cantautori derivati e indie pippe, alfieri minimalismo più mortificante. Ho trovato poi i testi di Capovilla più immediati e diretti, forse meno suggestivi, ma coraggiosi, perché capaci di colpire il bersaglio, senza giri di parole o vili allusioni (Il Lungo Sonno (Lettera Aperta Al Partito Democratico) dice, in pochi versi, quello che, la prevalentemente irreggimentata, stampa nazionale non ha il coraggio di dire). Poi, è vero che, a livello compositivo, non tutto gira come dovrebbe e certi brani sono un po’ pasticciati (Sentimenti Inconfessabili) o si sviluppano su refrain già abbondantemente noti (Il finale di Lavorare Stanca non è forse Io Cerco Te con un vestito nuovo?); ed è anche vero che, in quanto a logorrea, Capovilla non ha eguali al mondo, e talvolta finisce per rendere estenuante l’ascolto di alcuni passaggi, che risultano veramente sovrabbondanti. Tuttavia, nel disco ci sono anche grandi canzoni (Una Donna, Genova), quelle che in Italia nessuno ha il coraggio di cantare e che rendono Il Teatro Deli Orrori, nel bene e nel male, una band da tenersi stretta al cuore.

VOTO; 6,5





Blackswan, sabato 24/10/2015