martedì 17 settembre 2024

Alicia Keys - Perfect Way To Die (RCA, 2020)

 


Una ballata per pianoforte, emozionata e struggente, scritta da Alicia Keys per parlare del dolore di una madre che ha perso il proprio figlio, massacrato a colpi di pistola. Una morte improvvisa, insensata e illogica, di quelle a cui non è possibile dare una risposta, che non siano lacrime e un profondo tormento.

 

Una semplice passeggiata fino al negozio all'angolo

La mamma non avrebbe mai pensato che avrebbe ricevuto una chiamata dal coroner

Ha detto che suo figlio è stato ucciso, ucciso a colpi di arma da fuoco

Puoi venire ora?

 

Durante il ritornello, Alicia Keys si immedesima in questa mamma affranta, che non sa darsi pace, e con pena infinita si sofferma per dare il suo ultimo saluto al figlio trucidato:

 

Perché questa potrebbe essere la nostra ultima volta

E sai che sono pessima nel dire addio

Penserò a tutto quello che avresti potuto fare

Almeno rimarrai per sempre giovane

Immagino che tu abbia scelto il modo perfetto per morire

 

E’ molto probabile che la Keys, attraverso queste liriche strazianti, stia ricordando la morte di Trayvon Martin. Martin, un afroamericano di 17 anni di Miami Gardens, Florida, venne ucciso a colpi di arma da fuoco a Sanford, sempre in Florida, da George Zimmerman, un ispanico di 28 anni. La sera del 26 febbraio, Martin stava tornando a casa della fidanzata da un vicino minimarket, quando venne fermato da Zimmerman, un vigilantes della zona, che lo riteneva un sospetto. Tra i due si accese ben presto un alterco, degenerato poi in colluttazione e quindi nell’assassino dell’adolescente colpito al petto da un colpo di pistola. Durante lo scontro, anche Zimmerman rimase leggermente ferito, circostanza che permise all’uomo di invocare la legittima difesa. La polizia non lo incriminò, sostenendo che non esistevano prove a suo carico, in assenza delle quali la legge della Florida impediva di arrestarlo o accusarlo. Dopo che i media nazionali si interessarono massicciamente all’incidente, Zimmerman fu finalmente accusato e processato, ma una giuria lo ha assolto dall'accusa di omicidio di secondo grado, nel luglio 2013.

La Keys, successivamente, ha spiegato che la canzone si riferiva anche ad altre due morti insensate di afroamericani avvenute per mano della polizia: quella del diciottenne Mike Brown, ucciso a colpi di arma da fuoco dall'agente di polizia bianco, Darren Wilson, nella città di Ferguson, in Missouri, nel 2014, e quella di Sandra Bland, che venne trovata impiccata in una cella del Texas, il 13 luglio 2015, pochi giorni dopo essere stata fermata per una lieve violazione del codice stradale (aveva svoltato senza inserire la freccia).

Quando la canzone fu pubblicata, la Keys ci tenne a precisare su Instagram che: "naturalmente, NON esiste un modo perfetto per morire. Quella frase non ha nemmeno senso. Proprio come non ha senso che ci siano così tante vite innocenti che non avrebbero dovuto essere portate via a causa della cultura distruttiva della violenza della polizia."

Perfect Way To Die, che fa parte del settimo album della songwriter statunitense, intitolato semplicemente Alicia, fu scritta nel 2019, ma venne pubblicata, successivamente, il 19 giugno del 2020 (qualche mese prima dell’album), data che ricorda il Juneteenth, una celebrazione afroamericana risalente al 19 giugno 1865, quando in Texas gli schiavi furono affrancati, subito dopo la fine della guerra civile.

E’ rimasta negli occhi di molti appassionati, poi, l’interpretazione del brano da parte di Alicia Keys, il 28 giugno 2020, ai BET Awards, quando la musicista ha eseguito Perfect Way To Die al pianoforte, nel bel mezzo di una strada vuota. Alla fine dell’esibizione, la Keys si è inginocchiata in segno di protesta mentre la telecamera si allontanava per rivelare i nomi, scritti con il gesso sul marciapiede, di uomini e donne neri uccisi dalla polizia.

 


 

 

Blackswan, martedì 17/09/2024

lunedì 16 settembre 2024

The Blues Pills - Birthday (BMG, 2024)

 


Che gli svedesi Blues Pills avessero talento da vendere era chiaro fin dai due primi album, l’omonimo esordio e Lady In Gold, pubblicati rispettivamente nel 2014 e nel 2016. Poi, Holy Moly!, uscito nel 2020, in piena pandemia, aveva confermato l’ottima impressione suscitata dai suoi predecessori, e anche se era passato un po’ in sordina, a causa della drammaticità di quei giorni oscuri, l’album era un vero gioiello, il vertice di una breve, ma entusiasmante carriera.

Il nuovo Birthday è anche meglio, è un disco dalla vitalità sfrenata, intenso e divertente, ricco di groove e di ottime idee che ne fanno uno dei migliori album pop rock dell’anno. È stato detto che questo lavoro potrebbe essere interpretato come un nuovo inizio per una band che non pubblica niente da quattro anni, e tutto sommato non è una riflessione sbagliata. Dopotutto, i Blues Pills erano conosciuti soprattutto per un mix retrò di rock-blues e psichedelia, perfetto per la loro precedente casa discografica, la Nuclear Blast, che si trovava a veicolare quella musica verso un pubblico amante del metal e dell’hard rock.

Birthday, dunque, si discosta dai lavori precedenti, anche se non ci sono vere e proprie rivoluzioni. Semmai, questo disco sembra più l’evoluzione naturale di un suono, plasmato da una consapevole maturità: le influenze derivanti dagli anni ’70 ci sono ancora, ma mancano la patina oscura e gli accenti fortemente vintage, il suono è più mainstream e solare, e c’è una maggior attenzione alla costruzione delle canzoni e a irresistibili hook dal sapore radiofonico. Non è un caso che il loro nuovo produttore, Freddy Alexander, abbia dato una svolta decisiva al corso della band, accentuandone l’energia, lucidandone i ritornelli e aggiornandone il suono.  

Grandi canzoni, quindi, ma anche una band più in palla che mai, guidata dalla vibrante voce di Erin Larsson, e spinta dalla propulsione della sezione ritmica composta del bassista André Kvarnström e del batterista Kristoffer Schander. Da segnalare, ovviamente, anche lo straordinario lavoro alla sei corde di Zack Anderson, che evita lunghi e prepotenti assoli in favore di un tocco più misurato e colorato.

Una scaletta, dicevamo, composta da undici canzoni, tutte sotto i quattro minuti di durata, che non ha un momento di cedimento, a partire dalla title track, un grintosa tirata rock dal ritornello uncinante, una di quelle canzoni da ascoltare a ripetizione con rinnovato piacere.

Pura adrenalina è anche la successiva "Don't You Love It," trainata da una linea di basso spacca sassi e dal consueto hook melodico irresistibile, mentre "Top Of The Sky" è una lectio magistralis su come costruire una ballata emotivamente irresistibile a ritmo di valzer. Un altro aspetto importante dell’album è la versatilità della band e la volontà di esplorare diverse direzioni musicali. Ecco allora spuntare un mid tempo anello di congiunzione fra pop e rock quale "Like A Drug", la cui costruzione lenta ribolle di passione, la frivolezza divertita di "Piggyback Ride" (con un assolo al fulmicotone di Zack Anderson), la furente "Holding Me Back", scattante come una molla, che, poi, derapa nel blues in crescendo di "Somebody Better", in cui Erin Larsson dà vita a una performance stellare.

C’è ancora spazio per un blues cadenzato e cupo, trafitto da coltellate slide, ("Shadows"), per i grumi di fosca malinconia che punteggiano "I Don't Wanna Get Back On That Horse Again" (altro assolo spettacolare di Anderson) e gli echi sixties di "What Has This Life Done To You", ballata che chiude la scaletta con volute di romanticismo agro dolce.

C’è una raffinata arte musicale in Birthday, in cui nessuna nota, nessuna parola, nessun assolo risulta sprecato. I Blues Pills hanno davvero realizzato il loro disco migliore, e su questo non ci piove, ma sono anche riusciti a mantenere intatta la propria riconoscibilità, pur imboccando strade diverse, immagino nel tentativo di raggiungere un pubblico più ampio. Non so se alla fine riusciranno nell’intento, ma quel che è certo è che Birthday è un album che si fa ascoltare a ripetizione, grazie a canzoni scintillanti, alcune delle quali, vi assicuro, resteranno in heavy rotation nel vostro stereo per parecchio tempo.

Voto: 8

Genere: Rock, Pop 




Blackswan, lunedì 16/09/2024

giovedì 12 settembre 2024

Life In The Woods - Looking For Gold (Universal Music Italia, 2024)

 


E’ il 2019, quando il power trio romano Life In The Woods (composto da il chitarrista e cantante Logan Ross, il bassista Frank Lucchetti e il batterista Tomasch Tanzilli) pubblica Blue, un EP contenente cinque brani, prodotti da Gianni Maroccolo, un nome che suggerisce immediatamente un alto livello di qualità. Poi, come successo a molti artisti, l’inevitabile battuta d’arresto dovuta alla pandemia e al lockdown, che ha rallentato il progetto, senza tuttavia cancellarlo.

Cinque anni dopo, esce finalmente questo Looking For Gold, un album di debutto che ripaga ampiamente del tempo perduto e che entra di diritto nel novero dei migliori dischi rock autoctoni del 2024.

Racchiuso nell’elegante copertina disegnata da Mark Kostabi, quotatissimo pittore californiano, che aveva già messo mano all’artwork di Use Your Illusion dei Guns, l’esordio dei Life In The Woods rende omaggio al classic rock di derivazione settantiana, l’approccio è energico e vibrante, la produzione (c’è anche lo zampino di Maurizio Orlando Becker, editor presso Classic Rock Italia e Ciao 2001) recupera la genuinità di quel suono antico che, grazie alla passione dei tre ragazzi romani, torna a scintillare come in quei gloriosi anni.

Il disco è zeppo di citazioni e rimandi a grandi band del passato (Led Zeppelin, Black Sabbath, Pink Floyd, etc.), ma inserite con gusto in canzoni che si distinguono per qualità di scrittura e il cui andamento, pur in un contesto riconoscibilissimo, è tutt’altro che prevedibile.

L’opener "Caravan" è un potente hard rock blues che deflagra dalle casse dello stereo, travolgendo con bordate elettriche che fanno venire in mente i migliori Rival Sons, i quattro minuti abbondanti di "Mountain" volano alle stesse vertiginose altezze del leggendario “dirigibile”, "Fistful Of Stones" incorpora elementi sulfurei che richiamano alla memoria luciferine atmosfere sabbathiane, mentre la scattante "Mad Driver" è attraversata da un’adrenalinica urgenza punk.

Non mancano momenti più riflessivi che vestono gli abiti della ballata, come nella malinconica title track (con il contributo del soprano Olivia Calò), che ammicca alla psichedelia dei Pink Floyd, in "Without A Name" dalle antiche fragranze folk o nella trasognata "Hey Blue", in cui sono riconoscibili, ancora una volta, come fonte d’ispirazione, i Led Zeppelin.

Chiude la scaletta "Manifesto", un magma sonoro di cinque minuti che dimostra l’abilità della band nel far convivere melodia e rumore, bordate hard rock e suggestive derive prog e psichedeliche.

Looking For Gold è un grande disco di rock, in cui il citazionismo, che altrove potrebbe rappresentare un limite, qui è semmai il carburante nobile per un filotto di canzoni esplosive e intense, solide nell’esecuzione e brillanti nella scrittura. Un progetto italianissimo, che non ha nulla da invidiare a più note realtà internazionali, a cui spesso, lo dico con una punta di orgoglio, manca il talento che, invece, abbonda nella musica dei Life In The Woods.

Voto: 8

Genere: Classic Rock

 


 

 

Blackswan, giovedì 12/09/2024

martedì 10 settembre 2024

Garth Brooks - We Shall Be Free (Liberty, 1992)

 


Brano che apre il suo quarto album in studio, The Chase, We Shall Be Free fu scritta da Garth Brooks, insieme alla cantautrice originaria di Nashville, Stephanie Davis, colpito profondamente dai disordini avvenuti a Los Angeles nel 1992. In quel momento, il cantante country era in città per gli ACM Awards e si trovò ad assistere in televisione agli scontri tra polizia e cittadini, che portarono al selvaggio pestaggio di Rodney King, un tassista afroamericano, avvenuto per mano della polizia.

La canzone parla di un uomo comune che immagina di vivere in un mondo pacifico, dove gli esseri umani sono liberi di amarsi l'un l'altro senza barriere di classe, razza, religione o orientamento sessuale. Un testo splendido, ispirato alla pace e all’amore, alla visione di un mondo senza più barriere e guerre, in cui tutti vivono in armonia con la natura.

 

Quando l'ultima cosa che notiamo è il colore della pelle

E la prima cosa che cerchiamo è la bellezza interiore

Quando i cieli e gli oceani saranno di nuovo puliti

Allora saremo liberi

Saremo liberi, saremo liberi

Stai dritto e cammina fiero

Perché saremo liberi

Quando siamo liberi di amare chiunque scegliamo

Quando questo mondo sarà abbastanza grande per tutti i diversi punti di vista

 

Un messaggio che dovrebbe aprire il cuore alla gioia di vivere e alla tolleranza. E invece… Invece, il testo scatenò un vero e proprio putiferio nei circoli ultraconservatori di Nashville e, in genere, fra molti appassionati di country, che si sentirono offesi dall’esplicita difesa dei diritti dei gay contenuta nel verso:

 

Perché saremo liberi

Quando siamo liberi di amare chiunque scegliamo

 

Di conseguenza, molte stazioni radio si rifiutarono di trasmetterlo, e Brooks, per la prima volta, perse la Top 10 della classifica nazionale (raggiungendo solo la piazza numero 12).

Brooks ci rimase malissimo, non certo per il minor successo commerciale, ma perché credeva davvero nel suo messaggio di pace universale. D’altra parte, il cantante era diventato papà per la prima volta di sua figlia Taylor, e il suo nuovo ruolo di genitore gli aveva dato la spinta per iniziare a cantare del mondo in cui avrebbe voluto veder cresce i suoi figli.

L’avversione nei confronti di We Shall Be Free lo colpì così profondamente che tornò spesso sull’argomento. In un intervista alla rivista Rolling Stone, rilasciata nel 1993, disse: “Mi sento male ogni volta che qualcuno tira fuori l'aspetto cristiano contro 'We Shall Be Free. Ed essere chiamati Bruto e Giuda, ogni genere di cose, fa davvero male. Credo che Dio esista. Credo nella Bibbia. Ma non riesco a capire che amare qualcuno sia un peccato."

E ancora, per l’uscita della sua seconda compilation, The Hits, Brooks, a proposito della canzone, disse: "We Shall Be Free è chiaramente la canzone più controversa che abbia mai scritto. Una canzone d'amore, una canzone di tolleranza da parte di qualcuno che afferma di non essere un profeta, ma un uomo normale. Non avrei mai pensato che ci sarebbero stati problemi con questa canzone. A volte le strade che prendiamo non si rivelano essere le strade che avevamo immaginato. Tutto quello che posso dire su We Shall Be Free è questo: sosterrò ogni verso di questa canzone finché vivrò.”

In realtà, non era la prima volta che Brooks dovette affrontare una reazione negativa per le sue opinioni socialmente consapevoli. Due anni prima, The Nashville Network aveva bandito il suo video musicale per The Thunder Rolls, una canzone che condannava la violenza sulle donne e in cui il cantante vestiva i panni di un marito violento e donnaiolo, che viene ucciso dalla moglie maltrattata.

Il video musicale, che ha vinto il premio Video dell'anno agli Academy of Country Music Awards del 1993, fu diretto da Timothy Miller, che alternò a scene di povertà e disordini, le foto di alcune celebrità, quali Reba McEntire, Michael W. Smith, Amy Grant, Julio Iglesias, Paula Abdul e Michael Bolton, che si resero disponibili a condividere il messaggio  di fratellanza lanciato da Brooks.

 


 

 

Blackswan, martedì 10/09/2024

lunedì 9 settembre 2024

Kissin' Dynamite - Back With A Bang (Napalm Records, 2024)


 

 

Non è che ogni disco che ascoltiamo debba necessariamente avere dei sottesi intellettuali, tentare la strada della sperimentazione o usare forme espressive astratte ed elusive. Ogni tanto un po’ di sano e spensierato cazzeggio fa benissimo. Allora, ben vengano i teutonici Kissin’ Dynamite con il loro ottavo album in studio, intitolato Back With a Bang, una vera manna dal cielo per chi pensa che la musica sia anche (o soprattutto) divertimento.

Anacronistici quel tanto (e tanto lo è) che basta e insensibili alle mode, la compagine tedesca continua a pigiare il piede sull’acceleratore di un hard rock melodico pescato a piene mani dagli anni ’80, attraverso dodici canzoni che sanno di pogo e di birra, di festa senza freni, di nottate tirate in lungo fino alla chiusura dell’ultimo locale.

Come da copione, Back with a Bang vede la band girare attorno all’istrionico cantante Hannes Braun, e offrire una valanga di ritmi contagiosi e melodie orecchiabili, perfette per ricaricare le batterie durante queste giornate pigre e insopportabilmente calde.

Dodici canzoni, dicevamo, tutte dense di melodia e irresistibilmente groovy, una musica ad alto numero di ottani, che, come si evince dall’uno due iniziale (la title track e "My Monster") corrono veloci, dritte come fusi, per sbocciare, poi, in ritornelli che si mandano a memoria in un batter di ciglia.

Sono un po’ tamarri (forse un po’ tanto) e non puoi pretendere a livello testuale profondità e lirismo; ma, fatta questa dovuta premessa, i Kissin’ Dynamite conoscono a menadito le regole per scrivere canzoni divertenti, che lasciano poco spazio all’immaginazione, ma centrano sempre il bersaglio. Suonano bene e conoscono il mestiere, così da forgiare nell’elettricità irresistibili inni da stadio come "Raise Your Glass", un tuffo nostalgico negli anni ’80 di Bon Jovi e un ritornello stellare, insufflare con le tastiere vapore melodrammatico nella tirata a la Scorpions di "Queen Of The Night", o mostrare bicipiti da palestra e testosterone con "The Devil Is A Woman", portando sempre a casa il miglior risultato possibile.

Maestri di ritornello e melodia, i cinque ragazzi tedeschi hanno un tocco magico che risolleva il morale, spingendo a cantare a squarciagola con l’ottimismo di "The Best Is Yet To Come", o a saltare come matti in preda un’incontenibile euforia con il contagioso groove di "Learn To Fly".

Attivi dal 2006, i Kissin’ Dynamite hanno imparato a giocare con il loro sound e a offrire una grande varietà di atmosfere, pur rimanendo saldamente ancorati alla matrice dell’hard rock ispirato agli anni '80, e questo album è un ottimo esempio di quanto espansivo sia il loro suono e quante trame e sfumature può facilmente accogliere.

Di conseguenza, mentre l'energia pura di "When the Lights Go Out" mantiene viva la festa con grandi linee di basso che pompano sotto le chitarre melodiche, tamburi fragorosi e ritornelli sornioni, l’utilizzo della talk box di "More and More" omaggia "It's My Life" del già citato Bon Jovi, e la conclusiva ballata folk "Not A Wise Man", porta l’ascoltatore davanti a un ipotetico falò con la sua tanto semplice quanto efficace melodia.  

Back With a Bang, titolo azzeccatissimo, è un album energico e dinamico, ottimo, come dicevamo, per far baldoria fino a notte fonda, far cantare uno stadio o accompagnare un viaggio in macchina, stereo a manetta e finestrini, ovviamente, abbassati. Tenetevi a debita distanza, se quello che cercate è una musica di spessore cerebrale. Se invece avete nostalgia di certe sonorità anni ’80 (Aerosmith, Bon Jovi, Skid Row, etc.), con una scaletta così farete un pieno di irresistibile gioia. Assicurato.

Voto: 7,5

Genere: Hard Rock

 


 

 Blackswan, lunedì 09/09/2024