lunedì 13 gennaio 2025

Please Mr. Postman - The Marvelettes (Tamla, 1961)

 


Un mondo antico che non esiste più, quello delle lettere e delle cartoline, un mondo di attesa, avanguardia palpitante della lentezza. I lettori più attempati si ricorderanno quei giorni di batticuore, passati ad attendere la scampanellata del postino, i palpiti che precedevano la lettura di parole vergate a mano, scritte da un amore o un amico lontani dai nostri occhi, ma non dal nostro cuore. Oggi, il romanticismo sotteso agli scambi epistolari è svanito per sempre, sostituito dal qui e ora dei social, degli smartphone, dalla stilizzata banalità degli emoticon, che non porteranno mai in dono il profumo della carta, dell’inchiostro, di una lacrima di struggimento, che bagna una lettera d’addio o di un impossibile amor di lontananza.

Please Mr. Postman delle Marvelettes racconta, con ingenuità e trasporto, quei giorni di attesa e batticuore, che i giovani di oggi non comprenderanno mai, e il cui ricordo è affilato come un pungolo nostalgico nel cuore di chi, quei tempi andati, li ha vissuti:

 

Ci deve essere qualche parola oggi

Dal mio ragazzo così lontano

Per favore, signor postino, guardi e veda

C'è una lettera, una lettera per me

Sono rimasta qui ad aspettare il signor Postino

Con tanta pazienza, solo per un biglietto o solo per una lettera

Dicendo che sta tornando a casa da me

 

Le Marvelettes erano cinque ragazze adolescenti di Inkster, Michigan, la cui esperienza in musica si limitava ai cori nelle chiese locali. Quando fecero la prima l'audizione per la Motown, l'etichetta non era ancora dotata di propri songwriter, e quindi i manager, che avevano apprezzato le doti vocali del quintetto, offrirono un contratto alle ragazze, a patto che portassero del loro materiale da registrare. William Garrett, un cantautore amico di una di loro, Georgia Dobbins, offrì alle Marvelettes proprio quel brano che poi sarebbe diventato Please Mr. Postman. Garrett aveva inizialmente concepito la canzone come un blues, ma la Dobbins ci mise mano, la riscrisse completamente (salvò solo il titolo) e la insegnò alla cantante Gladys Horton.

Prima che le Marvelettes lo registrassero, Dobbins, però, lasciò il gruppo per prendersi cura della madre malata, e furono i produttori della Motown, Robert Bateman e Brian Holland (che insieme a suo fratello Eddie e Lamont Dozier, scrisse molti altri classici della Motown) a tirare a lucido il brano e trasformarlo in un grande successo.

Incredibile, ma vero, Marvin Gaye, che ai tempi aveva ventidue anni e stava cercando di affermarsi nel mondo della musica, venne assunto per suonare la batteria nel brano, alla cui stesura definitiva, poi, contribuì un vero e proprio postino.  Il suo nome era Freddie Gorman e il suo percorso quotidiano per la consegna della posta includeva le case popolari di Brewster, dove vivevano i membri delle Supremes. Gorman, che era un grande appassionato di musica, divenne più tardi voce del gruppo Motown, The Originals, e, prima della morte avvenuta nel 2006, fu songwriter e produttore per l’etichetta di Detroit, che con Please Mr. Postman guadagnò la sua prima piazza nelle classifiche americane.

D’altra parte, l'attesa di una lettera e altre storie legate alla posta erano comuni nelle canzoni di quest'epoca, quando il servizio postale forniva un mezzo di comunicazione primario (pensate a Return To Sender, che fu una grande hit di Elvis l'anno dopo). Non è un caso, allora, che il singolo successivo delle Marvelettes, Twistin' Postman, nel tentativo di replicare il successo, raccontava più o meno la stessa storia, quella, cioè, di una donna che aspetta una lettera dal suo ragazzo, e che dopo aver perso la speranza, finalmente riceve l’agognata missiva.

Il brano, visse una nuova vita di successi il decennio successivo, quando i Carpenters, ne fecero una cover per il loro album Horizon del 1975. Con Karen Carpenter alla batteria e un fantastico assolo di chitarra di Tony Peluso, Please Mr. Postman, in questa nuova versione, è stato il più grande successo dei Carpenters di sempre a livello mondiale, raggiungendo il primo posto negli Stati Uniti, Australia, Germania, Giappone e molti altri paesi, oltre a guadagnare la seconda piazza nelle classifiche del Regno Unito e del Canada.

 


 

 

Blackswan, lunedì 13/01/2025

venerdì 10 gennaio 2025

House Of Lords - Full Tilt Overdrive (Frontiers, 2024)

 


Quella degli House Of Lords è una gloriosa storia hard rock che si dipana nel corso di quasi quarant’anni, a partire dal 1988, quando cinque musicisti losangelini, provenienti da diverse esperienze, pubblicarono, sotto l’egida di Gene Simmons, bassista dei Kiss, il loro album d’esordio, che ottenne un buon riscontro sia di pubblico che di critica.

Da qui in avanti, la parabola artistica della band fu punteggiata da numerosi cambi di line up e dallo scioglimento avvenuto nel 1993, che mise in stand by il gruppo fino al 2004, quando uscì nei negozi il disco della resurrezione, The Power And The Myth.

Trascorsi quattro decenni, oggi l’unico membro originale degli House Of Lords è il cantante e bassista James Christian, a cui si sono affiancati Jimi Bell alla chitarra, Mark Mangold alle tastiere e Johan Kolemberg alla batteria. Ciò che non è mai cambiato, nonostante il passare del tempo, è la classe della band nel declinare la materia Aor e Hard Rock con immutato trasporto, e la qualità dei dischi pubblicati, sempre all’altezza di un nome che, negli anni, pur non uscendo dallo status di gruppo di culto, non ha perso un briciolo del proprio appeal.

Full Tilt Overdrive, a dispetto di una copertina non proprio attraente, è l’ennesima buona prova di una band che non ha perso smalto ed è rimasta ancorata a una forma espressiva pressochè immutabile nel tempo, il cui suono continua a costruirsi intorno ad accattivanti melodie, suntuosi tappeti di tastiere e riff di chitarra adrenalinici; tanto che, quando parte l’iniziale "Crowded Room", con le sue armonie, gli hook e il suo riff arrembante, la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un inossidabile marchio di fabbrica.

Se la formula è ormai consolidata, non mancano tuttavia le canzoni, tutte decisamente buone: "Bad Karma" è il manuale d’istruzioni su come scrivere la perfetta canzone Aor, la title track è una sgasata a cento all’ora che ricorda i Deep Purple di "Highway Star", "Taking The Fall", con il suo retrogusto country blues, fa il verso al Bon Jovi di "Dead Or Alive", mentre gli accenni orrorifici che contornano "You’re Cursed" nulla tolgono alla potenza melodica di un brano tagliato in due da un assolo spettacolare di Jimi Bell.

Se "Not The Enemy", con il suo vestito metal moderno, è un po’ fuori contesto, la power ballad "I Don’t Want To Say Goodbye" riporta immediatamente le suggestioni all’arena rock con vista anni ’80. Il disco, poi, si chiude con i nove minuti abbondanti di "Castles High", una lunga suite costruita come un brano progressive e contraddistinta dalla consueta ottima melodia.

C’è mestiere e consapevolezza, in questo nuovo Full Tilt Overdrive, ennesimo capitolo di una band che ha dribblato le ingiurie del tempo e che continua a sfornare dischi, forse non indispensabili, ma di sicuro pregio. Gli House Of Lords non tentano strade alternative, non stupiscono per originalità, ma gli va dato atto di sapere come si scrive un’accattivante canzone rock. Basta poco a renderci felici.

Voto: 7

Genere: Hard Rock, Aor

 


 

 

Blackswan, venerdì 10/01/2025

mercoledì 8 gennaio 2025

Ray LaMontagne - Long Way Home (Liula Records, 2024)

 


In ormai vent’anni di carriera, Ray La Montagne è diventato un nome fondamentale per il folk rock di matrice americana. Basta dare un breve sguardo al suo curriculum per rendersi conto di quanto, anno dopo anno, è accresciuta la grandezza artistica del songwriter originario di Nashua, New Hampshire.

Il suo debutto del 2004, Trouble, è stato certificato disco di platino, mentre Till the Sun Turns Black del 2006 e Gossip In The Grain del 2008 hanno ottenuto certificazioni d'oro. Sempre per Per Trouble, LaMontagne ha vinto quattro premi, tra cui tre Boston Music Awards (miglior cantante/compositore maschile, album dell'anno e canzone dell'anno) e un XM Nation Music Award per l'artista rock acustico dell'anno. Ha ricevuto anche una nomination ai Pollstar Concert Industry Awards come miglior nuovo artista in tournée, un BRIT Award come artista emergente a livello internazionale, un MOJO Award come miglior nuovo artista e, nel 2006, gli è stato conferito il titolo di miglior voce da Esquire. LaMontagne ha ricevuto, inoltre, due nomination ai Grammy e ha vinto il premio per il miglior album folk contemporaneo per God Willin' And The Creek Don't Rise del 2010. Un pedigree decisamente impressionante.

Ciò nonostante, LaMontagne ha scelto di stare lontano dai riflettori e dalla celebrità, continuando a scrivere splendide canzoni, senza svendere la propria arte alle mode e alla visibilità mediatica. In otto album in studio, nove con quest’ultimo, LaMontagne ha lasciato che le sue canzoni e la sua storia parlassero da sole, toccando una corda profonda nel subconscio americano, senza mai forzare la mano, lasciando la sua musica libera da ogni condizionamento.

Long Way Home è il primo lavoro di LaMontagne da Monovision, uscito nel 2020, e nasce da un episodio risalente alla sua giovinezza e, evidentemente, mai dimenticato. A ventun anni, in un piccolo club di Minneapolis, il songwriter ricorda di aver visto Townes Van Zandt esibirsi dal vivo. Un verso della sua "To Live Is To Fly" lo ha letteralmente fulminato: “When here you been is good an gone, all you keep is the getting there”. Un momento catartico, decisivo, su cui LaMontagne ha riflettuto a lungo per dare vita a questo suo nuovo album: "Trent'anni dopo mi rendo conto che ogni canzone di Long Way Home in un modo o nell'altro onora il viaggio. I giorni languidi della giovinezza e dell'innocenza. Le innumerevoli battaglie dell'età adulta, alcune vinte, più spesso perse. È stata una strada lunga e dura, e non la cambierei di un minuto. Mi ci sono volute nove canzoni per esprimere ciò che Townes è riuscito a dire in un verso. Immagino di avere ancora molto da imparare".

Prodotte in tandem con Seth Kauffman (Floating Action, Angel Olsen, Lana Del Ray), le nove tracce toccanti di Long Way Home richiamano l'esplosione folk-rock dei primi anni '70, inserendosi nel filone revivalista che LaMontagne ha contribuito in modo determinante ad alimentare. Registrate nel corso di alcune settimane nel suo studio di casa, le nove canzoni in scaletta hanno visto il contributo di vecchi e nuovi collaboratori: le Secret Sisters regalano i cori nelle prime tre tracce, mentre l'album è stato progettato e mixato dal team di LaMontagne, il citato Seth Kauffman e Ariel Bernstein.

Un disco onesto, riflessivo, e versatile, nonostante la breve durata, che spazia dal saltellante soul dell’iniziale "Step Into Your Power" al Neil Young citato nella morbida "And They Called Her California", al velluto country di "I Wouldn’t Change a Thing" fino alla sgranata malinconia della conclusiva title track.

LaMontagne dimostra, con questo nuovo lavoro, di possedere una consapevolezza superiore e, soprattutto, di non aver perso nulla, in termini di sincerità, dal suo celebrato esordio Trouble. Una certezza che scalda il cuore con canzoni semplici ed emozioni vere.

Voto: 7,5

Genere: Americana, Country, Rock

 


 

 

Blackswan, mercoledì 08/01/2025

martedì 7 gennaio 2025

Fleetwood Mac - Mirage Tour '82 (Warner, 2024)

 


Dopo un disco più sperimentale come Tusk e il successo commerciale di Bella Donna (1981), primo album solista della cantante Stevie Nicks, i Fleetwood Mac, guidati dal produttore Ken Caillat, se ne vanno in Francia, per registrare presso gli studi Le Château di Hérouville, quello che sarà il loro tredicesimo album in studio. L’idea è di rinverdire i fasti commerciali di Rumours (1977), percorrendone le stesse coordinate sonore, ed evitando l’approccio più cerebrale e complesso del disco precedente. Il livello di ispirazione non è più lo stesso, però, e Nicks e Buckingham vivono apertamente una rivalità, anche artistica, che li porta spesso a litigare e a fare i capricci come bambini viziati, perché negli studi, dove soggiornano, viene servito cibo che ritengono inadeguato e  manca la televisione.

In questo clima non proprio idilliaco, viene concepito Mirage, un disco meno centrato dei due predecessori, ma capace comunque di lanciare sul mercato un filotto di singoli ("Hold Me", "Gipsy", "Oh Diane", "Love In Store" e "Can’t Go Back") che fanno dell’album il quarto multi platino consecutivo della band e il loro terzo numero uno negli States, non raggiungendo, tuttavia, gli stessi risultati in Inghilterra, dove mancano la prima piazza, arrestandosi alla quinta posizione.

Nel settembre 1982, a supporto di Mirage, i Fleetwood Mac intrapresero un tour di trentuno date attraverso diverse città degli Stati Uniti, tra cui due (entrambe sold out) al Forum di Los Angeles (21 e 22 ottobre), le cui migliori esecuzioni sono racchiuse in questo live per creare un’unica, e riuscitissima, esperienza di concerto.

Questa collezione live, composta da ventidue tracce, presenta sei registrazioni inedite dello spettacolo del 21 ottobre 1982, tra cui classici come "Landslide", "Don't Stop" e "Never Going Back Again". Le altre canzoni sono state registrate durante lo spettacolo del 22 ottobre e sono apparse in varie uscite nel corso degli anni, tra cui Live Super Deluxe Edition (2021), Mirage Super Deluxe Edition (2016) e il video del concerto del 1983 Mirage Live.

Se in studio la convivenza tra i cinque era spesso burrascosa, è altrettanto vero che la band dal vivo viaggia ad altezze vertiginose. Erano anni in cui Mick Fleetwood, John McVie, Christine McVie, Lindsey Buckingham e Stevie Nicks vivevano all'apice della loro potenza collettiva, e in questo live è del tutto evidente la carica travolgente dei Fleetwood Mac nell’affrontare vecchi e nuovi successi.

 

Il disco inizia con un filotto di canzoni da far girare la testa: "Second Hands News", una scorbutica e ringhiante "The Chain", l’innodica "Don’t Stop" e l’oscura e sensuale "Dreams", in cui la Nicks dà vita alla consueta prova vocale da brividi. 

La successiva "Oh Well" è un omaggio ai Fleetwood Mac di Peter Green, e i quattro minuti della canzone sono interpretati con una furia elettrica dagli effluvi acidi che lascia senza fiato. E non è da meno "Rhiannon", spogliata di ogni delicatezza pop e resa in una versione ruvida, graffiante, in cui la Nicks strattona il testo con un’interpretazione in crescendo roca e collerica, che trova perfetto contrappunto nella chitarra acuminata di Buckingham.

Splendide anche la malinconica "Brown Eyes" da Tusk, che vede la McVie sugli scudi, i due gioiellini melodici tratti dal nuovo Mirage ("Gipsy" e "Love In Store") e una torrenziale "Not That Funny" (da Tusk), rock acido e metropolitano, chiuso da una lunga coda strumentale.

Non è da meno il secondo disco, che si apre con l’allegrezza acustica di "Never Going Back Again" e con un gioiello senza tempo come "Landslide", cantata dalla Nicks con un’intensità che sbriciola il cuore. Non posso mancare, ovviamente, hit come la delicata "Sara", la travolgente "Go Your Own Way", una chilometrica e sferragliante "Sisters of The Moon" (ennesima, intensa interpretazione della Nicks) e la chiosa, lasciata come di consueto, ai tre minuti struggenti di "Songbird", immenso lascito della compianta Christine McVie.

Mirage Tour 1982 è l’ennesimo live dei Fleetwood Mac che merita di essere inserito fra le cose migliori della band, e che, come era successo con il precedente Rumours Live (2023), svela l’anima rock di una band che in quegli anni, dal vivo, era una vera e propria macchina da guerra. Sono in tal senso chiarissime le note di copertina del giornalista musicale Bill DeMain che definisce la raccolta "un ascolto avvincente e il ricordo di un'epoca in cui gli spettacoli rock erano piattaforme per espandere e reinventare canzoni per il palco, per lasciarle respirare, per scatenare lati diversi e più selvaggi di una band".

Voto: 8

Genere: Live, Rock, Pop

 


 

 

Blackswan, martedì 07/01/2025

lunedì 6 gennaio 2025

Polly - Nirvana (Geffen, 1991)

 


Una canzone dura, traboccante di dolore, la cui estetica scarna e sofferta colpisce come un punteruolo il centro preciso dell’anima.  Una canzone tanto intensa, che Bob Dylan, dopo averla ascoltata, esclamò a proposito di Kurt Cobain: “Quel ragazzo ha cuore!”. Polly, poi, commosse alle lacrime anche Bruce Pavitt, co-proprietario della Sub Pop Records (all'epoca l'etichetta dei Nirvana), che dopo averla ascoltata dal vivo disse: "È totalmente rabbiosa e ipnotica. Ti fa entrare in trance. È una delle cose che rende i concerti dei Nirvana incredibili”.  

D’altra parte, è impossibile non emozionarsi profondamente per questa canzone che racconta del vero rapimento e dello stupro di una ragazzina di quattordici anni.

Nel 1987, questa giovane donna, il cui nome non fu mai reso pubblico dagli inquirenti e dalla stampa, stava tornando da un concerto visto a Tacoma, nello stato di Washington, quando fu rapita da un uomo di nome Gerald Friend. L’uomo la condusse nella sua casa mobile, dove la violentò ripetutamente mentre era legata a una carrucola sospesa al soffitto, torturandola con una frusta, un rasoio e una fiamma ossidrica. Fortuna volle che, quando Friend la portò in auto a fare un giro, con l’intento probabile di ucciderla ed occultarne il corpo, la ragazza riuscì a liberarsi e scappare. Successivamente, il violentatore, che aveva già dei precedenti penali per un reato simile commesso nel 1960, fu individuato, arrestato e condannato a settantacinque anni di reclusione.  

La versione di Polly che conosciamo, e che finì su Nevermind, fu registrata a Madison, in Wisconsin, nello studio di proprietà del produttore, Butch Vig. Queste sessioni di registrazione ebbero luogo nell'aprile del 1990, ma solo Polly fu inclusa nella sua interezza nell’album, mentre gli altri brani furono completati successivamente ai Sound City Studios di Van Nuys, California, nell'aprile 1991.

Il batterista che suona nel brano non è Dave Grohl, ma Chad Channing, che aveva militato con la band dal 1988 al 1990. Channing fu messo a suonare in una specie di sgabuzzino, un deposito degli strumenti che venivano utilizzati durante le registrazioni, e gli venne chiesto di essere il più scarno possibile, di non dare ritmo ma semplicemente di porre degli accenti nei punti in cui gli veniva chiesto, in modo da consentire alla tensione emotiva di prendere forma attraverso la voce di Cobain.  

C'è un punto nella canzone in cui Cobain canta solo "Polly said..." prima di fare una pausa e ricominciare da capo. Questo passaggio non fu voluto, si trattò di un errore del cantante, che tuttavia piacque alla band e al team di registrazione, che decisero di non ritoccarlo. Polly è anche il classico esempio di come Cobain amasse scrivere attraverso il punto di vista di un’altra persona, e anche se i suoi testi sembrano sempre molto personali, il cantante spesso si immedesimava in altri, perché riteneva che la sua vita fosse molto noiosa e non interessasse a nessuno.

L’anno dopo la pubblicazione di Polly, un’altra giovane ragazza fu stuprata da due degenerati, che accompagnarono la violenza alle note della canzone. Questo episodio colpì profondamente sia Cobain che il resto della band, che, da quel momento in avanti, suonarono in alcuni spettacoli di beneficenza per aiutare le vittime di stupro, incluso il concerto "Rock Against Rape" del 1993, che raccolse fondi per un'organizzazione di autodifesa femminile.

 


 

 

Blackswan, lunedì 06/01/2025