sabato 29 febbraio 2020

HONORE' DE BALZAC - EUGENIE GRANDET (I Classici Felttrinelli, Ed.2015)

Considerato da molti il capolavoro di Balzac, Eugénie Grandet propone due figure tra le più straordinarie della letteratura francese: Félix Grandet, commerciante spregiudicato e ricchissimo, prigioniero della propria smisurata avarizia, e la figlia Eugénie, fanciulla malinconica e sottomessa, d’animo nobile e sensibile, vittima di un impossibile sogno d’amore. Due ritratti indimenticabili, tratteggiati con vigore e grande maestria psicologica, che si fronteggiano in un dramma di «ordinaria famiglia». Nulla può distoglierli dal perseguire il proprio credo, dalla fatale attuazione del proprio destino: nella scena memorabile della morte di Grandet, il vecchio avido spira nel tentativo di impadronirsi del crocifisso dorato che il prete gli avvicina alle labbra impartendo alla figlia, erede del suo patrimonio, l’ultimo ordine: «Abbi cura di tutto, me ne renderai conto laggiù».

Eugenie conduce un’esistenza monotona e ripetitiva, consumata a rammendare abiti davanti alla finestra della cucina, in compagnia della madre, e scandita solo dal ritmo regolare delle funzioni religiose a cui partecipa. Vive come una reclusa, nella tetra e mal ridotta casa del padre, Felix Grandet, ex bottaio, e ora avido milionario e padre padrone, la cui parola è legge, in tutto e per tutto.
Fuori dalle mura domestiche, la vita di provincia, in cui commercianti e notabili rappresentano il cuore pulsante di una società gretta, calcolatrice e ipocrita, che si regge su due massimi sistemi: Dio e Denaro. Più lontano ancora, gli echi della rutilante Parigi, città modaiola guardata con disprezzo e con malcelata invidia dalle ricche famiglie che frequentano la casa paterna, con l’unico scopo di ottenere la mano di Eugenie, ricca ereditiera in prospettiva. Un giorno però, proprio dall’odiata Parigi, arriva Charles, nipote di Felix Grandet e cugino di Eugenie. Una variabile impazzita, che stravolgerà definitivamente la vita dell’ingenua fanciulla.
Tredicesimo romanzo di Balzac, scritto nel 1833, Eugenie Grandet è in primo luogo un affresco cinico e dissacrante sulla società francese del tempo, in cui nulla conta se non il denaro, la produzione a costo dello sfruttamento, il titolo nobiliare e il prestigio economico, in nome dei quali ogni cosa è sacrificabile, l’amore, l’etica, financo la vita delle persone più care.
Balzac, però, oltre a tratteggiare con mano ferma il mondo in cui vive, scandaglia abilmente l’animo umano, disegnando alcune delle figure tra le più celebri della letteratura francese. In primo luogo, Pere Grandet, uomo avido e spregevole, anaffettivo e spinto ad ogni azione, anche la più sordida, da un’insaziabile brama di denaro. La finta balbuzie e la verruca sul volto che si muove impercettibilmente, svelando i moti dell’anima di questo omuncolo eticamente inconsistente, manipolatore e mentitore seriale, sono i connotati fisici che raccontano la pochezza dell’uomo e la vacuità delle sue brame, in un crescendo di perdizione, suggellato da Balzac con un‘immagine tremenda, quando Felix, sul punto di morte, mentre riceve l’estrema unzione, cerca di afferrare il crocefisso del prete, in un estremo afflato vitale ancora una volta dettato dalla bramosia.
Si dovrebbe, a questo punto, parlare anche del cugino Charles, figura che si rileverà molto simile a Pere Grandet, ma di cui tacciamo, per non anticipare nulla a coloro che saranno invogliati a leggere il romanzo.
Sopra le molte figure minori del romanzo, ma non per questo meno importanti (la madre di Eugenie, donna debole, vessata e timorata di Dio, ma capace di un moto di ribellione quando la narrazione raggiunge il climax, e Nanon, la fedele serva, donna del popolo, obbediente al padrone, ma comunque attraversata da grande e istintuale umanità) si staglia il personaggio di Eugenie.
Ragazza buona e ingenua, contraltare morale della società che la circonda, in un lento percorso di consapevolezza, arriva a sacrificare tutta se stessa in nome dell’amore per il cugino Charles, che è soprattutto idea romantica più che effettiva realtà.
Da ragazza debole e priva di discernimento che lentamente si trasforma in donna forte e decisa, Eugenie racchiude in se il destino crudele di “una vita tetra e senza più attese” della Jeanne di Maupassant (Une Vie) e la esiziale devozione amorosa della sublime Margherita Gautier de La Signora Delle Camelie di Dumas figlio, due romanzi successivi, a cui è inevitabile pensare durante la lettura di Eugenie Grandet. Una figura di donna a tutto tondo, semplice nella sua ingenuità, ma estremamente complessa nel suo percorso di crescita, che affianca i personaggi poc’anzi citati (e ci mettiamo anche e ovviamente Emma Bovary) tra le protagoniste femminili della letteratura francese dell’800.


Blackswan, sabato 29/02/2020

venerdì 28 febbraio 2020

PREVIEW




Il 15 maggio Perfume Genius (Mike Hadreas) pubblicherà il suo quinto album Set My Heart OFire Immediately su Matador Records. Oggi condivide il primo singolo “Describe”, brano che cattura il senso di vivere il momento attraverso una fitta nebbia di distorsioni e slide guitar acrobatiche. Hadreas afferma, “è nata come una ballata veramente cupa. Era molto minimale e lenta. E dopo si è trasformata in questa canzone bestiale. Iniziai a scriverla mentre mi trovavo in questo posto oscuro, non mi ricordavo neanche più cosa fosse la bontà o cosa fossero le sensazioni. E così, l'idea era che qualcuno te ldescrivesse, perché te lo sei dimenticato o non riesci a capire.” Il video che accompagna “Describe” è diretto da Hadreas e immagina “una fine del mondo in cui non ci sono confini, non ci sono limiti, non ci sono regole, o almeno le regole sono completamente nuove per quanto riguarda l’interagire tra le persone e lo spazio intorno a te.”
Il video che accompagna “Describe” è stato diretto da Hadreas e vede la presenza di The YC, la compagnia di danza della coreografa di Seattle Kate Wallich. Wallich e Hadreas lavorarono insieme nel 2019 per The Sun Still Burns Here, una performance collaborativa dove Hadreas scrisse le musiche e si esibì.
Set My Heart On Fire Immediately vede Hadreas collaborare con il produttore nominato ai GRAMMY Blake Mills. Registrato a Los Angeles, città nella quale Perfume Genius si trasferì nel 2017 con il partner e collaboratore Alan Wyffels, Set My Heart On Fire Immediately vede la partecipazione dei musicisti Jim Keltner, Pino Palladino e Matt Chamberlin.
L’album esplora e sovverte il concetto di mascolinità e i ruoli tradizionali, e introduce influenze musicali americane. Nel corso dell’album Hadreas gioca con le tematiche di amore, sesso, memoria e corpo, personificando mitologie della popular music, ma allo stesso tempo scrivendo irriverentemente le sue. “Volevo sentirmi più aperto, più libero e spiritualmente selvaggio,” afferma Hadreas, “e in questo momento mi trovo in una situazione dove quei sentimenti sono molto vicini – ma rasentano l’instabilità. Ho scritto questi brani per essere più paziente, più equilibrato – per trasformare tutti questi filamenti caotici che girano intorno a me, in qualcosa di caloroso, premuroso e rassicurante.”
Il senso di comunione e fisicità è nato in parte dal progetto di Hadreas The Sun Still Burns Here. Già presenza formidabile sul palco, questo lavoro lo ha elevato ad un livello maggiore di rigore e multidisciplinarietà. “Stavo lavorando con loro da un anno e mezzo. Le prove erano numerose, così come le esibizioni, le relazioni e l’energia, e tutto ciò mi faceva sentire connesso con il mio corpo. Mi sentivo connesso a tutti i loro corpi.” Nel 2019 lo spettacolo ha fatto tappa a Boston, New York e Minneapolis, dopo il debutto a Seattle.





Blackswan, venerdì 28/02/2020 

giovedì 27 febbraio 2020

SON LITTLE - aloha (ANTI-, 2020)

Nell’onda lunga di quanti rileggono in modo contemporaneo un suono dalle radici antichissime, fra tanti personaggi saliti alla ribalta negli ultimi anni (Michael Kiwanuka, Curtis Harding, Black Pumas, etc.) si inserisce dalle retrovie anche Son Little, moniker sotto cui si cela Aaron Earl Livingston, polistrumentista e songwriter originario della Pennsylvania. Son Little (l’aka è un evidente omaggio ai grandi bluesman del Delta) ha già alle spalle un paio di dischi a proprio nome e diverse collaborazioni di peso, prime fra tutte quelle con The Roots, RJD2 e Mavis Staples. Ciò nonostante, a differenza degli artisti citati, Livingston è rimasto ai margini del circuito mediatico e, soprattutto dalle nostre parti, resta un musicista ancora tutto da scoprire.
Registrato in soli otto giorni presso gli iconici Studios Ferber di Parigi con il produttore Renaud Letang (Feist, Manu Chao), aloha è il primo album di Son Little ad essere prodotto da un collaboratore esterno. Un disco di black revival, come molti se ne ascoltano in questo periodo, che però si discosta per una lettura del genere decisamente personale, che miscela r’n’b e soul di derivazione classica a un suono più moderno e a intuizioni originali.
Son Little cambia il consueto approccio, preferisce togliere che aggiungere, facendo pienamente sua la regola “less is more”. A differenza di Michael Kiwanuka, musicista oggi sulla cresta dell’onda, sempre molto attento alla ricchezza del suono, Son Little preferisce lavorare per sottrazione e giocarsela sul contrasto fra vuoti e pieni. Gli arrangiamenti sono decisamente minimal, anche se spesso illuminanti, e gli strumenti entrano nelle canzoni in punta di piedi, quasi chiedendo il permesso, come a non voler disturbare l’ascolto della voce ruvida e appassionata di Livingston.
Il risultato è un disco di black music quasi lo-fi (non è un caso che i titoli delle canzoni siano tutti in minuscolo), attraversato da un sottile respiro malinconico e fluttuante in una dimensione atemporale, ove vintage e contemporaneità si fondono in un unicum indistinguibile.
Dodici canzoni in scaletta e quasi tutte bellissime: il singolo hey rose, costruito su una distorta linea di basso e con un tiro melodico che, anche nel cantato, ricorda un po' i N.E.R.D. di Fly Or Die, about her. again, classicissima ballata soul, che gioca sul contrasto fra una batteria riverberata e vuoti di silenzio che danno spazio al cantato afflitto di Son Little, la dolcezza eterea di suffer, capace di sciogliere in lacrime anche il cuore più indurito dalla vita, o la liquida bellezza delle tastiere di don’t wait up, altra ballata che stringe l’anima in una morsa di lacrime e commozione (e che meraviglia quella chitarrina svagata e al contempo malinconicissima).
Chissà se con questo nuovo disco, Son Little riuscirà ad attirare su di sé l’attenzione che merita e a ritagliarsi gli spazi mediatici che dovrebbero essere dati a un musicista della sua levatura. Comunque sarà, aloha ha fin da subito tutte le carte in regola per entrare nel cuore degli appassionati di genere e guadagnarsi lo status di disco rivelazione del 2020.
Il ragazzo sarà in tour in Europa questo aprile, anche se al momento non sono previste date in Italia. Peccato.

VOTO: 8 





Blackswan, giovedì 27/02/2020

mercoledì 26 febbraio 2020

PREVIEW




On The Widow’s Walk è il titolo del nuovo album di The White Buffalo, nome d’arte di Jake Smith, cantautore e chitarrista americano nominato agli Emmy, la cui meravigliosa voce – un baritono solenne dal timbro vibrante – sembra essere alimentato da una verità più grande. On The Widow’s Walk è disponibile dal 17 aprile su Snakefarm Records, distribuzione Universal. 
Della mezza dozzina di album pubblicati fino ad ora sotto lo pseudonimo di The White Buffalo, quest’ultimo lavoro – una collezione di esperienze oscure prodotte da Shooter Jennings, presente anche al piano e alle tastiere – è particolarmente collaborativo e organico, il più robusto dal punto di vista sonoro.
 
On The Widow’s Walk  marca l’inizio della collaborazione mondiale con Snakefarm Records, una giovane etichetta sotto Universal Music Group specializzata in country, rock, blues e Americana.
 
Originario dell’Oregon, Smith è sempre riuscito intenzionalmente ad aggirare i generi, toccando diversi stili – dall’Americana, al punk, dal folk meditabondo al rock ‘n’ roll più scatenato – mantenendo uno stile forte e distintivo. I suoi testi  e la sua abilità oratoria spontanea sono il cuore pulsante della sua musica, e donano ai brani – essenzialmente brevi film – un aspetto cinematografico e artigianale, proprio come in On The Window’s Walk.
 
“Sono rimasto sbalordito dalla voce e dal lirismo di Jake,” afferma Shooter. “È stato intimidatorio. Ma è stato molto bello trovare l’ispirazione insieme. Jake è uno dei migliori in circolazione. Sono onorato di aver collaborato a questo album con lui e la sua band. Mi hanno accolto tra loro e abbiamo fatto dell’ottima musica insieme. Lunga vita alla Jelly Crew!”
 
La ‘Jelly Crew’ in questione è formata dal batterista Matt Lynott e dal bassista Christopher Hoffee, autore anche di molti riff di chitarra. L’album è stato registrato in presa diretta utilizzando violino e pedal steel.
 
Con una storia eclettica dietro al suo illustre nome, Shooter non è un tipo che va sul sicuro; si contorna di talenti diversi fra loro, e la sua collaborazione con The White Buffalo ha prodotto un lavoro spirituale e semplice, che rappresenta perfettamente l’artista.  
 
Ad un certo punto Jake considerò l’idea di fare un concept album, ma non voleva escludere brani ben riusciti solo perchè non centravano con un concept specifico; in On The Window’s Walk l’acqua e l’oceano stanno alla base dell’album, ma non sono tematiche dominanti. Ne sono un esempio perfetto ‘Sycamore’, ‘River Of Love And Loss’ e la title track: questo aspetto è presente anche sulla copertina che vede Smith ritratto da Jack Browning.
 
Altre tematiche affrontate nel disco sono vivere il momento (‘Problem Solution’ / ‘No History’), l’avanzata inarrestabile della tecnologia (‘Cursive’), la forza casuale di madre natura (‘Faster Than Fire’), e ciò che succede quando il senso etico esce fuori controllo (‘The Rapture’, ma anche il primo singolo e il lyric video che lo accompagna).
 
“Si tratta di un racconto primitivo e contorto di una sete spietata di sangue,” spiega Smith. “Con The Rapture volevo cancellare i confini tra animale e uomo, per creare una tensione tra controllo morale e cattiveria sfrenata.
 
“Stavamo guidando in questa cittadina portuale sulla East Coast e chiesi perché ci fossero dei balconi sui tetti degli edifici,” ricorda Smith. “Matt mi spiegò che le mogli dei marinai camminavano avanti e indietro sui tetti, desiderando il ritorno dei loro mariti. C’è così tanto romanticismo in tutto ciò, e la possibilità che cose terribili e drammatiche possano accadere.”
 
“Quello che ho cercato di fare con questo album è rappresentare una gamma più ampia di emozioni. Ci sono momenti oscuri, momenti più felici, momenti messi in discussione. Inoltre amo mettere un po’ di confusione nelle mie canzoni, elemento che penso sia molto umano.”
 
On The Widow’s Walk è la dichiarazione coinvolgente e senza trucchi di un artista la cui attività musicale lo ha visto crescere a dismisura, suonando per milioni di fan in tutto il mondo, raggiungendo 200 milioni di stream e guadagnandosi la presenza nella Top 10 della TV /Film Chart per il 2019.
Nel mese di aprile The White Buffalo sarà in tour in Europa e Regno Unito. Il 27 aprile suonerà all’Alcatraz di Milano per la sua unica data in Italia.





Blackswan, mercoledì 26/02/2020

martedì 25 febbraio 2020

SMOKE FAIRIES - DARKNESS BRINGS THE WONDERS HOME (Seven Years Records, 2020)

L’unico difetto delle Smoke Fairies è che appartengono a un sottobosco musicale frequentato solo da una ristretta cerchia di appassionati. In buona sostanza, da noi, almeno, non se le fila nessuno, e spesso, cosa strana, sono trascurate anche dagli addetti ai lavori. Basterebbe, invece, divulgare il verbo e portare alla luce dischi come questo Darkness Brings The Wonders Home, sesto album in studio del duo, tutto al femminile, originario di Chichester, per rendersi conto che dall’oscurità mediatica in cui vivono le Smoke Fairies è possibile riempirsi casa di autentiche meraviglie.
Darkness… non è certo quello che può definirsi un disco immediato. Al primo ascolto, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di notevole, anche se è necessario decisamente più tempo per rendersi conto della bellezza che si cela dietro le dieci tracce in scaletta.  Registrato a Seattle e prodotto da Phil Ek (The Black Angels, Fleet Foxes, The Shins), il sesto lavoro delle SF è, infatti, un disco cupo, scorbutico, graffiante, che sancisce il passaggio del duo britannico a un suono più robusto rispetto a quello che informava i precedenti lavori.
Katherine Blamire e Jessica Davies badano al sodo, evitano artifici in fase di arrangiamenti e di produzione, e tirano fuori dieci canzoni essenziali, secche, invischiante nella pece nera di atmosfere notturne e dagli echi vagamente psichedelici. Le melodie non sono immediate, ma quando emergono, stendono l’ascoltatore, avviluppato fin da subito in un mood apparentemente ostico ma foriero di inquietanti suggestioni.
L’apertura di On The Wing introduce immediatamente i temi ricorrenti dell’album: giri di chitarra ossessivi (dirò una fesseria, ma talvolta, al netto delle spezie africane, sembra cogliere echi della musica dei Tinariwen), sezione ritmica robusta e basilare, e sensazione di trascendenza quando le voci delle due ragazze si fondono in un connubio quasi etereo.
La successiva Elevator mostra un lato decisamente più rock e muscolare, con il riff stridente della chitarra che introduce l’ennesimo, perfetto, interplay fra le voci di Katherine Blamire e Jessica Davies.
L’alternarsi di brani decisamente più sferraglianti a ballate elettriche, comunque spigolose, trova coerenza ed omogeneità in un suono che trae energia dall'oscurità, talvolta incline a sussulti elettrici, talvolta avviluppato in momenti quasi meditabondi e sgranato in atmosfere “fumose”. Ecco allora che riescono a convivere all’interno della stessa scaletta canzoni che possiedono anime diverse: i riff ossessivi, disturbanti e opprimenti dell’ossuta Out Of The Woods, la sfacciataggine dell’invettiva amorosa di Chocolate Rabbit (“sei come un coniglio di cioccolato, sei vuoto dentro”) e due brani come la sognante e depressa Chew Your Bones e la puntuta Don’t You Want To Spiral Ou Of Control?, entrambe attraversate da un brillantissimo piglio melodico.
Chiude il riff ansiogeno di Super Tremolo, che sigilla alla perfezione un disco dal suono contemporaneo, in cui le ipnotiche armonie vocali, gli acuminati riff di chitarra e le nebbiose melodie creano un mix dai connotati magici.
L’invito è, ovviamente, quello di non farvi sfuggire Darkness Brings The Wonders Home e, al contempo, di recuperare, se vi manca, anche la produzione passata delle due ragazze britanniche. A parere di chi scrive, questo è il miglior disco ascoltato nel primo scorcio del 2020. Fidatevi.

VOTO: 9 





Blackswan, martedì 25/02/2020

lunedì 24 febbraio 2020

IL MEGLIO DEL PEGGIO



È il momento di dire basta. Stop alle farneticazioni quotidiane del Leghista e del Fiorentino. Si prendano una pausa di riflessione e ci lascino un po’ stare. Ne abbiamo tutti bisogno, specialmente ora che il nostro già barcollante Paese si trova nel pieno di un’emergenza sanitaria. Quindi, basta a Matteo Renzi e alla sua smania, ormai patologica, di visibilità, ai suoi comizietti nel salotto bianco di Vespa, alle bislacche proposte sull’elezione del sindaco d’Italia, come se gli italiani fossero tanto grulli da pensare a lui in tale veste. Un bastanonsenepuopiu’ all’altro Matteo. Alle sue citofonate, agli sproloqui su aborto e “sugli stili di vita incivili”, alla famelica propaganda che non conosce decenza ne’ limiti neppure in un momento delicato in cui le istituzioni dovrebbero usare un linguaggio pacato, misurato e rassicurante. Non tace Salvini. “Da papà chiedo di blindare i confini una volta per tutte”, scandisce sui social di ogni specie. E poi, immancabile, la stoccata al Premier Conte che deve dimettersi. Tutti, tranne lui, devono dimettersi. Anche il governatore della Toscana, Enrico Rossi, reo, a dire del Leghista, di non avere disposto misure preventive sui cinesi rientrati a Prato.
E’ uno spettacolo indecoroso, incivile. Il Coronavirus deve essere isolato e non c’è tempo da perdere. Da italiani chiediamo a gran voce di mettere in isolamento anche coloro che non hanno ritegno. Una volta per tutte.

Cleopatra, lunedì 24/02/2020

sabato 22 febbraio 2020

PREVIEW




Nadine Shah annuncia il suo quarto album in studio Kitchen Sink, in uscita il 5 giugno su Infectious Music, e condivide il video del primo singolo estratto “Ladies For Babies (Goats For Love)”.
Il video è stato diretto da Matt Cummins e ha come protagonisti Shah e Craig Parkinson (Line Of Duty di BBC e Black Mirror).

Sul brano, Shah rivela: “Quando mio fratello era più giovane fece un commento sul sessismo e dipinse un uomo che abbracciava una capra con la scritta ‘donne per bambini, capre per amore’. Mi è rimasto impresso, credo perché mi sembrasse un po’ sciocco ma anche perché sapevo quale fosse il suo intento e ne riconoscevo il significato. Ho anche pensato ai brani che ascoltavo di più in quel periodo, brani che cantavo senza davvero riflettere sul loro significato. ‘Ladies For Babies’ è la risposta ad ‘All That She Wants’ degli Ace of Base. Ho invertito i generi e mi sono presa gioco di un uomo che da me, come moglie, si aspetta solo che io porti in grembo suo figlio e sia la donna trofeo che esegue i suoi ordini. Solo che in questo caso la sua amante è un animale da fattoria. Una buona parte del mio album tratta tematiche come il sessismo e la tradizione. Ma non è solo crudeltà, promesso.”
Kitchen Sink segue l’album Holiday Destination, pubblicato nel 2017 e nominato ai Mercury Prize, che aveva brillantemente unito un messaggio politico ad un groove contagioso e aveva riscosso molto successo da parte della critica, tra cui l’AIM Award per “Independent Album of the Year”, guadagnandosi un posto tra gli album dell’anno di BBC 6 Music al #7 e The Quietus al #5, ma anche di Loud And Quiet e The Line Of Best Fit.

Con la stessa determinazione, Shah adesso rivolge lo sguardo verso la sua casa, in un album che racconta la sua stessa storia, quella di una donna di trent’anni che deve affrontare le pressioni e le aspettative della società in cui vive. Questo nuovo lavoro racconta anche le storie di moltissime altre donne che ha incontrato e le loro esperienze, simili nella loro diversità.

Shah spiega ancora: “È un dialogo tra me e le mie amiche che hanno più o meno la mia stessa età. È come se il nostro tempo per avere dei figli stesse per scadere, quindi avvertiamo una sorta di panico. È come se da giovani avessimo programmato di fare certe cose ad una certa età. Se quando avevo 14 anni mi avessero detto che sarei arrivata ai 34 senza marito né figli non ci avrei mai creduto. E molte delle mie amiche con cui ho parlato hanno fatto la stessa cosa.

Tutte le amiche donne con cui sono cresciuta adesso hanno dei bambini. Ho visto delle complete idiote (scherzo, ovviamente!) diventare madri meravigliose. Sono felice per loro, davvero felice per loro. Mi preoccupo per loro quando dubitano di loro stesse e sono sempre pronta a dargli conforto quando ne hanno bisogno. Sono orgogliosa di loro. Ma allo stesso non puoi che paragonare la tua vita a quella delle persone che ti circondano ed ecco cosa proviamo io e molte altre donne tra i 30 e i 40 anni nella mia situazione. Sentiamo la pressione.

Per questo album ho parlato con molte donne. Donne che vorrebbero avere dei figli ma non ne hanno la possibilità, donne che potrebbero averne ma non ne vogliono, ho visti diversi scenari. Una mia buona amica, una donna di 50 anni, ha scelto di non avere figli e continua ad essere una delle mie musiciste preferite, nonché una delle persone più giovanili e positive che conosca. In questo album c’è anche la sua storia. Ho scritto di tante donne che adoro. Le neo-mamme, le rockstar, quelle che dubitano di loro stesse e che hanno bisogno del nostro supporto, quelle che stanno male ma mostrano una forza incredibile.

Ci sono tradizioni che si tramandavano da anni e ci imponevano modelli di vita, ma le cose stanno decisamente cambiando e sono orgogliosa di essere donna e di essere circondata da altre donne potentissime”.
  





Blackswan, sabato 22/02/2020

venerdì 21 febbraio 2020

H.E.A.T - H.E.A.T II (earMusic, 2020)

Dopo tredici anni di carriera e cinque album in studio, gli svedesi H.E.A.T tornano con un nuovo album, il primo interamente autoprodotto. Una novità assoluta, quindi, che testimonia idee chiarissime e la sicurezza e la maturità raggiunte dalla band nel corso del tempo, ma che al contempo segna anche un ritorno alle origini, evocate dal titolo dell’album, che ricalca quello dell’esordio, e la volontà di dare vita a un nuovo inizio, una ripartenza che riprenda le sonorità passate, modificandole però attraverso una visione musicale più moderna.
Il risultato è un disco brillante e centratissimo, forse il miglior lavoro della band in assoluto, arrivata oggi ad avere un suono immediatamente identificabile. Piacciano o meno, gli H.E.A.T, nel panorama attuale, sono probabilmente i migliori interpreti del genere, capaci di abbinare un songwriting ispiratissimo e capacità tecniche fenomenali, e questo sesto album, composto da undici scintillanti canzoni, suona come un definitivo certificato di qualità.
Riff arrembanti, sezione ritmica potente, fiumi di tastiere a riempire ogni spazio e melodie uncinanti, smerigliate dalla voce impossibile di Erik Gronwall, la cui ugola, quando si tratta di note alte, è capace di qualunque cosa. H.E.A.T II non ha un punto debole, non conosce filler, ma vola via per quarantacinque minuti sulle ali di classic rock energico e pompato, capace di entusiasmare, miscelando alla perfezione la potenza tonitruante del metal a ritornelli acchiapponi da canticchiare a memoria già dopo il primo ascolto. Come i Van Halen che rifanno le canzoni dei Journey, o viceversa.  
Il disco si apre con Rock Your Body e da questo momento in avanti è impossibile non farsi rapire da un headbagging compulsivo: l’abbraccio fatale fra chitarra e tastiere, la batteria pompata, la linea di basso martellante per un’esplosione incontenibile di energia su cui la voce adamantina di Growall da inizio alla sua arrampicata verso il cielo.
Segue un filotto di canzoni goduriosissime, a partire dal riff assassino di Dangerous Ground, a cui si accodano il devastante heavy blues di We Are Gods, il tiro pazzesco di Adrenaline (ti entra in testa e non ne esce più) e le armonie zuccherine di Nothing To Say, ballatona malinconica in quota Europe.
Talvolta il suono può apparire opulento e, qui e là, qualche arrangiamento lezioso toglie un po' di respiro alla proposta. Si tratta, però, di sfumature, particolari che nulla tolgono a un disco pimpante e divertentissimo, che si ascolta a raffica, ogni volta, con rinnovato piacere.

VOTO: 7,5





Blackswan, venerdì 21/02/2020

giovedì 20 febbraio 2020

PREVIEW




L’acclamatissima cantautrice di Brooklyn Joan As Police Woman ritorna con il nuovo album “Cover Two”, in uscita l’1 maggio su Sweet Police / PIAS. Si tratta del secondo album in cui Joan rivisiterà dei brani di altri artisti e, ancora una volta, le sue scelte saranno interessanti e sorprendenti.
Oltre ai dieci brani contenuti nell’album, i fan che preordineranno l’album dal sito ufficiale dell’artista riceveranno anche la personalissima versione di Joan del celebre brano di Michael Jackson “Billie Jean”.
A pochi mesi dal recente tour in solo, in occasione della presentazione di ‘Joanthology’, la prima retrospettiva pubblicata a maggio 2019 (Pias Recordings), Joan As Police Woman annuncia brillanti novità per il nuovo anno.
Una nuova formazione porterà la stravagante artista newyorkese sui palchi italiani in trio, a maggio, per quattro imperdibili appuntamenti, per presentare ‘Cover Two’, il secondo album di cover. Dopo il ritorno alle origini con il tour di ‘Joanthology’, che ha visto Joan As Police Woman esibirsi in Italia in solo, tra pianoforte, chitarra, la sua inconconfondibile voce e la sua carismatica presenza scenica, Joan è pronta a tornare in scena accompagnata sul palco da Parker Kindred alla batteria e da Jacob Silver al basso.
mercoledì 20 maggio PORDENONE – CAPITOL
giovedì 21 maggio MILANO – SANTERIA SOCIAL CLUB
venerdì 22 maggio ROMA – AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA
sabato 23 maggio FIRENZE – TEATRO PUCCINI

Dopo aver celebrato nel 2016 una decade di successi internazionali con “Let It Be You”, il disco realizzato in collaborazione con Benjamin Lazar Davis, Joan As Police Woman pubblica nel 2018 ‘Damned Devotion’, un album intimo ed introspettivo. Mentre “The Classic” (2014) era una celebrazione appassionata della vita e “The Deep Field” (2011) respirava romanticismo in ogni canzone, “Damned Devotion” è un ritorno ai testi nudi ed alle melodie senza tempo che avevano caratterizzato “To Survive” (2008) e “Real Life” (2006).
A maggio 2019 Joan As Police Woman pubblica ‘Joanthology’, un multi album contenente i migliori successi dell’artista e materiale inedito, un’antologia degli ultimi quindici anni di brillante carriera musicale, spaziando nei generi e nelle influenze, mettendo in rilievo la dedizione alla sperimentazione che Joan ha sempre avuto nei confronti della musica e dell’arte in senso ampio. I brani inediti contenuti nell’antologia hanno anticipato ‘Cover Two’, il secondo album di cover, dieci brani riproposti in una versione interessante e sorprendente, spaziando dal blues all’r&b, dal rock fino alle più classiche ballad. “I began working on new covers ever since the release of the first covers album 11 years ago! I’ve been performing ‘Kiss’ by Prince and my version of ‘Out of Time’ by Blur throughout last year’s Joanthology Tour and finished the record as soon as I returned home this winter” afferma Joan As Police Woman su ‘Cover Two’.





Blackswan, giovedì 20/02/2020

mercoledì 19 febbraio 2020

MARCUS KING - EL DORADO (Fantasy, 2020)

Di anni ne ha soli ventitre, ma Marcus King ha già alle spalle tante esperienze da sembrare quasi un veterano. Tre dischi sotto l’egida Marcus King Band, tutti bellissimi e molto apprezzati dalla critica, e il picco di notorietà, arrivato quando si è trovato a condividere il palco con la Tedeschi Trucks Band. Insomma, sei anni vissuti intensamente che l’hanno portato a essere considerato qualcosa in più di una semplice promessa, ma un musicista affidabile e tecnicamente validissimo chiamato a dare nuova lucentezza a un genere che ha radici lontane nel tempo.
Eppure, questo disco, pubblicato solo a suo nome, suona quasi come un nuovo inizio. E non è un caso che, per questa decisiva svolta alla propria carriera, il giovane chitarrista si sia fatto affiancare, in veste di produttore, da una vecchia volpe come Dan Auerbach. Il quale, come aveva fatto lo scorso anno per il chiacchierato esordio di Yola, incide sulla resa finale in modo decisivo.
Accantonata la vecchia band di King, Auerbach apre le porte dei leggendari American Sound Studio di Memphis e affianca al giovane rocker un pugno di veterani, che in passato hanno suonato per icone quali Elvis Presley e Dusty Springfield. Oltre a suonare basso e chitarra, Auerbach, poi, dà un tocco immediatamente riconoscibile al suono: lo sgrezza da ogni asperità, gestisce con intelligenza i richiami vintage, rispetta la tradizione di un genere, ma lo attualizza con una appetibile patina mainstream.
Che qualcosa sia cambiato, che l’approccio boogie e grintoso degli album precedenti sia divenuto un’eventualità e non un costante, lo si capisce fin dall’apertura di Young Man’s Dream: chitarra acustica, melodia dolcissima, echi di Neil Young e la voce calda e graffiante di King a raccontare una storia di vita vera emotivamente coinvolgente.
La vecchia strada non è stata, però, completamente abbandonata: brani come The Well (con quel suono di chitarra che è nel dna di Auerbach) o Say You Will (qualcuno ha detto ZZ Top?) richiamano il passato della Marcus King Band, ma, seppur validi, sembrano inseriti solo per bilanciare il morbido velluto di un disco composto soprattutto di ballate.
Il dolce e intenso country soul di Love Song (bella da perdere i sensi), le atmosfere r’n’b di Wildflowers & Wine (cantata con la foto di Otis Redding nel taschino della giacca) e Beatiful Stranger, ballata southern col cuore in mano, rappresentano al meglio la forma e la sostanza del nuovo corso. Insomma, King ha proprio cambiato il suo modo di concepire le canzoni, tiene nascosta la forza della sua scintillante chitarra, dosando gli assoli e riducendoli al minimo indispensabile, e si concentra invece sul cantato, mai così espressivo come in questo disco.
Disco che si chiude con la memorabile No Pain, ennesima ballata, avvolta da fumose volute jazz, con cui il giovane songwriter afferma la sua voglia di convogliare il proprio talento in territori meno burrascosi e più raffinati. Operazione riuscita completamente: pur non disdegnando il notevole passato di King e i bei dischi lasciati alle spalle, El Dorado è di un altro livello, per capacità espressiva e qualità del songwriting. Senza dubbio, il suo album migliore.

VOTO: 8





Blackswan, mercoledì 19/02/2020


martedì 18 febbraio 2020

PREVIEW




Tim Burgess (The Charlatans) annuncia il nuovo album solista I Love The New Sky in uscita il 22 maggio su Bella Union e condivide anche il video diabolicamente brillante per "Empathy For The Devil".
Tim Burgess evoca un sound elettrizzante e pieno di vita con il nuovo album I Love The New Sky. Frontman, cantante, capo di un'etichetta, DJ e autore, Tim è stato una presenza fondamentale in numerosi album nel corso degli anni, portando sempre entusiasmo, positività e molteplici influenze, che insieme illuminano il cammino di coloro che lo portano nel cuore.
Mentre era nei The Charlatans, l'energia infaticabile di Tim ha alimentato la band nel corso dei loro tredici album e la sua avventura solista non è stata da meno, ora scalando nuove vette nel 2020 con il suo quinto album I Love The New Sky. Pubblicato da Bella Union, l'album contiene brani perfettamente legati fra loro che parlano della quotidianità e dell'esperienza universale, di amore e rabbia, di perdita e possessione, e sono accomunati da arrangiamenti elaborati ma allo stesso tempo naturali e dalle incredibili abilità di Tim con le melodie. 





Blackswan, martedì 18/02/2020

lunedì 17 febbraio 2020

IL MEGLIO DEL PEGGIO



Se il premier Conte, secondo il Renzi pensiero, non è il preside di una scuola, certamente il senatore di Rignano è Pierino la peste. Come se fosse il leader di un partito con una percentuale da capogiro, il leader di Italia Viva con appena un 4%, instilla veleno goccia a goccia a un governo che se ancora non si trova sull’orlo del precipizio, poco ci manca. È la strategia della tensione, una sorta di “stai sereno” quotidiano, il noto marchio di fabbrica del Rottamatore. Del resto, aveva covato a lungo la vendetta. Dopo la disfatta al referendum costituzionale, lungi dal lasciare la politica come baldanzosamente millantò, meditava un ritorno da leone. 
Lasciato il Pd sbattendo la porta e fondato Italia Viva appena poco dopo l’insediamento del governo giallorosso, Napoleone Matteo con il suo partito personale ha assunto il ruolo di ago della bilancia. Peccato che nel caso di Italia Viva di bilancia ci sia ben poco, mentre c’è molto ago, tanto da sembrare una vera e propria opposizione. Non c’è da stupirsi se Matteone su certe posizioni (una a caso, la prescrizione) converga con Silvietto e con quello che rimane di Forza Italia. La verità è che il bulimico (di potere) senatore di stare nell’ombra proprio non ne vuol sapere. Nella sua narrazione, sfasciare è la cifra politica che meglio lo rappresenta. Prima ha ridotto a brandelli il Pd, poi lo Statuto dei Lavoratori. 
Ci ha provato con la Costituzione, ma conosciamo l’epilogo. Se ne andò offeso col pallone e dopo essersi saziato di popcorn è ritornato prepotentemente alla ribalta vendicativo più che mai, consegnando il Paese a un governo a trazione leghista. Ora si atteggia a iper garantista sul tema della prescrizione, dimenticando ciò che affermò anni fa sul processo Eternit. “Il potere logora chi non ce l’ha” sosteneva Giulio Andreotti. E Renzi pare proprio non sfuggire a questa regola.

Cleopatra, lunedì 17/02/2020

domenica 16 febbraio 2020

MARCO MARSULLO - ATLETICO MINACCIA FOOTBALL CLUB (Einaudi, 2012)



Vanni Cascione ha un'unica fede, il calcio, e un unico dio, José Mourinho. Dopo anni da mister di squadre scalcagnate della provincia campana e con un'infinita collezione di esoneri, è incaricato dal direttore sportivo Lucio Magia, faccendiere dal viso gitano, di allenare l'Atletico Minaccia Football Club. Alla promessa di poter disporre di una rosa di calciatori eccellenti corrisponde però un reclutamento spericolato, tra patteggiamenti, prostitute nigeriane e reduci di reality show. Cascione si ritrova in squadra un attancante schiavo della colite cronica, un mediano clandestino schierabile solo in trasferta perché in casa è piantonato dalla polizia, un portiere cocainomane, uno stopper detto "Trauma" e non per caso, un ex concorrente di Sarabanda e persino un meccanico e un cuoco... Con questa improbabile formazione, vincere il torneo si prospetta complicato. Figuriamoci se ci si mette pure la camorra. Marco Marsullo dà vita a una figura poetica e maldestra di allenatore di provincia, abituato a perdere e ostinato a vincere. E si diverte a giocare con gli stereotipi del nostro Sud liberandoli, finalmente, dalla retorica del lamento consolatorio.

Un libro sul calcio (ma non solo) adatto a tutti: sia agli appassionati che non si perdono una partita, che palpitano per la squadra del cuore e che magari calcano o hanno calcato campi e campetti, sia a coloro a cui questo sport non interessa, ma che avranno modo, leggendo, di comprendere cosa prova l’altra metà del cielo.
Il calcio raccontato da Marsullo, però, non è quello professionista dei grandi stadi, degli stipendi faraonici e delle star da prima pagina dei tabloid. Lo scrittore napoletano concentra la sua attenzione sul volto ingenuo e ruspante di uno sport colto in una dimensione (quasi) amatoriale, quella che, magari, anche molti tra i lettori hanno vissuto in prima persona durante la loro giovinezza. Uno sport ancora genuino, verace, praticato con passione e vissuto su sgangherati campetti di periferia, tra polvere, fango, buche ed erbacce. Un calcio, però, che proprio per questa sua dimensione “umana” ha più a che vedere coi sentimenti che col denaro, e per questo più propenso a creare emozioni, ad alimentare ricordi, ad ammantarsi di epos.
La figura di Vanni Cascione, allenatore dell’Atletico Minaccia e fan di Josè Mourinho, che cerca di emulare anche per quanto riguarda l’aspetto fisico, è un personaggio indimenticabile: professionalmente alla deriva, incapace di gestire la propria vita privata, che subordina sempre alla grande passione per il football, trova negli occhi e nelle parole della figlioletta Chiara, quella profonda umanità sopita da una vita grigia, monotona e destinata al fallimento, e la forza per raggiungere i propri obiettivi.
Il tema della redenzione e del riscatto attraverso lo sport non è certo nuova, ma qui acquisisce una dimensione ironica, che smorza ogni velleità didascalica. Le vicende dell’Atletico Minaccia, spesso portate al limite della macchietta, divertono, e tanto; ciò non toglie che il romanzo, nel suo taglio volutamente comico, mantenga per tutte le sue duecento pagine, un’aura di poetica malinconia, che inevitabilmente, giunti alla fine, muoverà qualche lacrimuccia e il più classico dei groppi in gola.
Chi ha vissuto le stesse vicende, come giocatore, allenatore o semplice tifoso, non potrà fare a meno di immedesimarsi e provare nostalgia per un calcio che il denaro e le televisioni hanno trasformato in un ben oliato meccanismo di profitto; gli altri, semplicemente, rideranno di gusto. E questo, basta e avanza per leggere un libro capace di far breccia nel cuore di chiunque. Piccolo calcio antico.


Blackswan, domenica 16/02/2020

venerdì 14 febbraio 2020

PREVIEW



BC CAMPLIGHT annuncia il nuovo album SHORTLY AFTER TAKEOFF in uscita il 24 aprile su Bella Union [PIAS]. Ascolta il nuovo singolo "Back To Work".
“Questo è un esame sulla follia e sulla perdita,” dice Brian Christinzio, l’inimitabile forza dietro BC Camplight. “Spero dia luogo a una conversazione attesa da lungo tempo.”
Infuocato dalla sua continua battaglia contro la malattia mentale, Shortly After Takeoff è il capitolo finale, e il migliore, di ciò che Christinzio chiama la sua “trilogia di Manchester”, dopo How To Die In The North (2015) e Deportation Blues (2018). Tutti e tre gli album sono stati creati dopo che Brian, nativo di Philadelphia, si è trasferito a Manchester. Come Deportation Blues, Shortly After Takeoff abbraccia il classicismo del cantautore, il synth-pop orecchiabile e il rock’n’roll anni ’50 con la voce flessibile e allo stesso modo distintiva di Christinzio condotta con un approccio senza paura all’introspezione lirica – ma il nuovo album è un grande balzo in avanti nella raffinatezza del songwriting e nella comunicazione.
“È importante sottolineare che questa non è una storia di redenzione,” dice. “Sono un tipo che forse vive in modo un po’ difficile e sono nel bel mezzo di alcune cose pesanti. Ma come conseguenza, penso di aver fatto il mio miglior disco.”
Le “cose pesanti” sono diventate dense e veloci per Christinzio. Pochi giorni prima che How To Die In The North fosse pubblicato, fu espulso e bandito dal Regno Unito per problemi di visto. Esiliato dalla sua nuova casa, dalla sua ragazza e dal suo cane, impossibilitato a promuovere l’album e costretto a ritornare dai genitori, Christinzio affondò nel buio. Un passaporto italiano, grazie ai nonni, gli permise alla fine di stabilirsi nuovamente a Manchester ma, proprio nel momento della pubblicazione di Deportation Blues, suo padre Angelo morì inaspettatamente.
“Entrai in una spirale devastante,” rammenta. Da qui il titolo Shortly After Takeoff: la sensazione di mandare all’aria tutto quello che la vita sta offrendo. A peggiorare le cose un disturbo neurologico ritornato dopo anni di remissione.
Un modo per elaborare la tragedia è la comicità, che eleva il nuovo album dalla vulnerabilità del dolore alla spavalderia corazzata, dal cane nero della depressione all’umorismo della forca.





Blackswan, venerdì 14/02/2020

giovedì 13 febbraio 2020

GREEN DAY - FATHER OF ALL MOTHERFUCKERS (Reprise.2020)

Basta un solo, fugace ascolto di Father Of All Motherfuckers, per rendersi conto che siamo di fronte a un disco dannatamente buono. I Green Day sono tornati con un lavoro inusuale, spiazzante, se vogliamo, e di gran lunga migliore del precedente, innocuo e prevedibile, Revolution Radio (2016).
Un disco che forse non farà impazzire i fan duri e puri dei Green Day, ma che probabilmente piacerà a quanti, come il sottoscritto, non hanno mai amato particolarmente il gruppo capitanato da Billie Joe Armstrong. Siamo ben lontani dalla grandeur di American Idiot e 21 Century Breakdown e dalla fiacca riproposizioni di stilemi ormai frusti, come avveniva nel capitolo precedente.
Father Of All Motherfuckers è semmai imparentato al progetto parallelo Foxboro Hot Tubs e a quel Stop Drop And Roll!!!, che nel 2007 portò i Green Day in incognito a scalare le classifiche di mezzo mondo.
Si potrebbe parlare di un disco minore, perchè privo delle consuete hit e di quel messaggio politico, che da sempre Armstrong veicola attraverso le sue liriche, se non fosse che in questo caso l’ispirazione è davvero alta e la voglia di divertirsi è fisicamente palpabile. La scaletta è rapidissima: poco meno di mezz’ora per dieci canzoni che non superano i tre minuti di lunghezza. Un disco breve e per questo estremamente efficace, che tira fuori il meglio di un gruppo che ha solo voglia di far casino, pompare decibel e divertirsi.
Inusuale, dicevamo, perché il trio abbandona la strada del pop punk melodico a facilissima presa, e intraprende, invece, quella di un punk’n’roll con vista garage, scalpitante e rumoroso. Se è vero che manca la super hit da mandare a memoria e cantare a squarciagola ai prossimi concerti, è altrettanto vero che in questo caso si apprezza la coerenza di una scaletta senza filler e il tiro assassino di canzoni costruite su riff grezzi, coretti in falsetto, handclapping, ed echi sixties.
Una corsa a perdifiato che comincia con il furore selvaggio della title track (brano che figurerebbe meravigliosamente in un disco degli Hellacopters), e che prosegue con un filotto irresistibile di piccoli gioielli: il r’n’b festaiolo di Meet Me On The Roof, il garage rock cialtrone di Fire, Ready, Aim, il graffio punk di Sugar Youth su tutte.
Se cercavate la prova che i Green Day godono ancora di ottima salute, con Father Of All Motherfuckers l’avete trovata. Non un disco epocale, ovviamente, ma un lavoro finalmente ispirato, tutto muscoli, sudore e rock’n’roll.

VOTO: 7,5





Blackswan, giovedì 13/02/2020