mercoledì 31 ottobre 2018

PREVIEW



Gli Indoor Pets (prima noti come Get Inuit) hanno annunciato i dettagli del nuovo album, Be Content, che sarà pubblicato su Wichita Recordings venerdì 8 marzo 2019 e condividono la nuova track “Being Strange”. L’album è stato dal chitarrista della band, James Hanson e Kristofer Harris e mixato da Claudius Mittendorfer (Weezer, Ash, Yak, Parquet Courts).
Il gruppo aveva recentemente già condiviso un primo assaggio, “Hi”, un’esplosione di orecchiabile power-pop, riff carichi di fuzz e melodie contagiose, che ha raccolto il plauso di artisti come Annie Mac, Huw Stephens e Jack Saunders.
Formatisi subito dopo aver lasciato la scuola a Sittingbourne, nel Kent, non passò molto tempo prima che le loro canzoni calamitassero attenzione: una di queste fu nominata “canzone della settimana” dalla BBC Introducing, e in un paio di settimane Huw Sephens era già in pista.
Negli anni successivi gli Indoor Pets scrissero incessantemente e tennero numerosi concerti, costruendo una serie di brani killer e una fanbase devota in tutto il paese. Hanno fatto e continuano a fare tutto da soli. Dalla realizzazione degli artwork fino all’organizzazione dei tour, alla produzione, alla costruzione del proprio sistema di monitoraggio del palco, occupandosi persino della gestione finanziaria (Simpson: “se qualcuno vuole spendere dei soldi, deve chiederlo a me”). Una feroce etica DIY nata non tanto da attitudini punk quanto dalla stretta necessità. “Si tratta di fare tutto da soli o di non farlo affatto,” nota Glass, “e allora abbiamo deciso di farlo da soli.”
Dopo la firma con Wichita, la band ha iniziato a registrare l’album di debutto, un disco che sembra una riserva infinita di grandi melodie. Le sensazioni familiari di non essere adeguati o di voler giocare la partita con le carte che la vita ti ha dato in sorte con spirito autoironico sottolineato dai giochi di parole e dai doppi sensi che sono uno dei loro tratti distintivi. Pensate a River Cuomo e Brian Wilson che marinano la scuola per scrivere canzoni e ridacchiare in faccia ai ragazzi perbene. Sono intelligenti e amano la vita.
Non perdeteli nell'unica data italiana, il 3 dicembre al Legend Club di Milano, in apertura agli Ash.





Blackswan, mercoledì 31/10/2018

martedì 30 ottobre 2018

GRAEME MACRAE BURNET - PROGETTO DI SANGUE (Neri Pozza)

Nel 1869 un triplice omicidio sconvolge la piccola comunità scozzese di Culduie, una trazione di sole nove case. Reo confesso è il giovane Roderick Macrae, orfano di madre e figlio di un fittavolo in miseria. Con una sorella di poco più grande e due fratelli gemelli molto più piccoli da mantenere, Roddy ha dovuto abbandonare presto gli studi per dedicarsi anima e corpo al lavoro della terra. Un compito duro, reso ancora più tale non dalle avversità della natura, ma dall'uomo che vive al capo opposto del villaggio: La-chlan Mackenzie.
Non è mai corso buon sangue fra i Macrae e i Mackenzie, un rancore che perdura da decenni benché nessuno ne ricordi più la causa, ma da quando Lachlan è stato eletto conestabile del villaggio, i Macrae non hanno più pace. Lachlan si è messo a controllare con puntiglio lo stato dei terreni, le condizioni dei sentieri e i fossati dell'appezzamento coltivato da Roderick Macrae, finché non ha trovato il modo dapprima di togliergli un quinto del podere e poi di inviargli una notifica di sfratto.
Il giorno dopo lo sfratto, Lachlan viene trovato brutalmente assassinato e Roderick, ricoperto di sangue, viene avvistato nei dintorni del podere dei Mackenzie. Il ragazzo non esita a dichiararsi responsabile dell'omicidio e viene rinchiuso nel carcere di Inverness in attesa del processo, in cui verrà giudicato dalle migliori menti legali e psichiatriche del paese. Ma ha davvero raccontato la verità? E la sua condanna è giusta o immeritata?

Il titolo Progetto Di Sangue suona leggermente fuorviante, perché evoca una dimensione thriller che, in realtà, interessa solo marginalmente l’impianto narrativo. Graeme Macrae Burnet, infatti, recupera, romanzandolo, un efferato fatto di cronaca accaduto in Scozia nel 1869, e lo ricostruisce, scandagliando con minuziosa attenzione i documenti dell’epoca, le carte processuali e antichi testi di criminologia e psicologia forense. Ciò che ne deriva è soprattutto un suggestivo affresco storico su una comunità rurale, sottoposta ancora a ferrei e iniqu regolamenti feudali.
Il romanzo, viene diviso in tre parti, che Macrae Burnet collega magistralmente, tenendo alta la tensione del racconto fino all’ultima pagina. Il libro si apre con il memoriale scritto dal giovane Roderick Macrae, figlio di un povero fittavolo, che si autoaccusa di un triplice omicidio, raccontando al lettore quali furono i motivi che lo portarono a commettere il brutale assassinio.
La seconda parte, invece, è dedicata al resoconto di James Bruce Thomson, antropologo criminale, che in carcere interroga il giovane omicida, delineandone il profilo psicologico e sondando il contesto sociale in cui il crimine è maturato.
La terza e ultima parte, invece, è interamente dedicata al processo a cui venne sottoposto Roderick Macrae.
Progetto Di Sangue, dunque, fonde generi diversi tra loro, facendo convivere il romanzo storico con quello che noi siamo abituati a chiamare legal thriller. Macrae Burnet trascina il lettore in un mondo lontanissimo dal nostro, delineandone la struttura sociale e ponendo l’accento sui soprusi e lo sfruttamento a cui viene sottoposta la comunità rurale di Culduie; ed è altrettanto abile, attraverso una certosina ricostruzione storica e l’adattamento di teorie criminologiche di derivazione lombrosiana, ad appassionare ad una vicenda processuale, il cui esito, ovviamente, evitiamo di anticiparvi.
Una scrittura semplice e diretta, ma mai sciatta, un intreccio narrativo perfettamente oliato, e la creazione di personaggi meravigliosamente connotati dal punto di vista psicologico, fanno di Progetto Di Sangue un romanzo palpitante e al tempo stesso ricco di riflessioni sulla follia e sulla giustizia. Più per chi ama la storia che il thriller, ma comunque degno di nota.

Blackswan, martedì 30/10/2018

lunedì 29 ottobre 2018

IL MEGLIO DEL PEGGIO




Il recente episodio di cronaca nera accaduto nel quartiere romano di San Lorenzo ha rinfocolato una querelle aspra e muscolare tra destra e sinistra. Buoni contro cattivi, noi contro loro. Al centro c'è un orrendo delitto ai danni di una minore, l'ennesimo. La politica, questa politica delle chiacchiere spicce e dell'ostentazione, non perde occasione per cavalcare l'onda dello sdegno popolare a scopo personale (elettorale). E così leggi sui giornali che Matteo Orfini denuncia una sottovalutazione drammatica della situazione che ha messo in evidenza la inadeguatezza del Prefetto di Roma. Lo seguono a ruota altri "illustri" esponenti del decrepito Pd che puntano il ditino verso un governo incapace e incompetente. 
Gli fa eco il super ministro degli Interni e dintorni che forte del crescente consenso popolare, butta la palla dall'altra parte. "Gli anni di prima amministrazione del Pd hanno aggravato i problemi di Roma anche in materia di sicurezza. Il prefetto non può sostituirsi al sindaco, mentre una cattiva amministrazione può essere sostituita dai cittadini. Ecco perché il Pd e' stato cacciato prima dai romani e poi dal resto degli italiani". Tradotto: è sempre colpa di chi c'era prima e soprattutto degli immigrati. E non solo. 
Comincia addirittura a serpeggiare tra certa gente la convinzione che la violenza perpetrata da un italiano su una donna sia più "sopportabile" rispetto a quella commessa da uno straniero. Se nel mentre la cronaca riempie le pagine dei giornali con episodi di femminicidi commessi per lo piùda italiani, poco importa. Del resto, per un politico come Salvini attento più al proprio tornaconto che ad altro, deporre un fiore a San Lorenzo ha un impatto mediatico indiscutibile. Ma il punto non è se l'immigrato di turno abbia commesso un reato in Italia. 
Ogni crimine va punito senza considerare il colore della pelle ne' la bandiera. Il resto è ipocrisia spicciola. Scriveva Luigi Pirandello in "Uno, nessuno è centomila": "Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti". L'amara realtà è che le maschere sono troppe. Di volti non si vede neppure l'ombra.

Cleopatra, lunedì 29/10/2018

domenica 28 ottobre 2018

PREVIEW




Uscito alla fine del 1968, il secondo disco dei Pearls Before Swine continuava a distribuire musica con un senso soprannaturale di ciò che i giovani in America volevano ascoltare. One Nation Undergroud era stato un successo a sorpresa quando fu pubblicato nel 1967 dall’indipendente ESP ricevendo un’incredibile reazione tra continue trasmissioni radiofoniche e vendite.
Come il precedente, Balaklava celebra 50 anni di vita in splendida forma. Il produttore originale Richard Alderson ha rimasterizzato l’album, ripristinando i dettagli del mix originale, svelando, durante il processo, prestazioni straordinariamente dinamiche, e disperdendo la foschia degli anni raccoltasi nelle ultime edizioni di Balaklava. La musica e il messaggio che il disco intendeva consegnare al mondo sono ancora necessari, la pace ancora ricercata. La lotta per capire e cambiare è ancora in corso. E così Balaklava ha un nuovo scopo, dopo tutto questo tempo.
Strappata via la maniacale diversità post-garage del primo album, la produzione qui si rinsalda attorno alla chitarra e al cantato di Tom Rapp, con i tocchi di colore strumentale ancora più drammatici e sorprendenti. Tom Rapp è morto durante la preparazione di questa nuova release. Anche se ha passato la maggior parte della vita lavorando come avvocato i diritti umani e si batteva per leggi eque – “la legge dei ‘60”, come diceva lui – a beneficio delle minoranze, il suo nome sarà ricordato e sarà sempre sinonimo di musica, la musica dei Pearls Before Swine.
Va da sé che questa nuova edizione rimasterizzata e restaurata di Balaklava è dedicata alla memoria di Tom. Sono passati 50 anni, ma potrete finalmente disporre della versione definitiva di questo capolavoro il 14 dicembre.




Blackswan, domenica 28/10/2018

sabato 27 ottobre 2018

LYNYRD SKYNYRD - LIVE IN ATLANTIC CITY (e.a.r Music, 2018)

Il tempo, si sa, non fa sconti e, soprattutto, non fa prigionieri. I Lynyrd Skynyrd sono attivi da più di mezzo secolo, e nonostante il gloriosissimo passato, sono in stallo creativo ormai da anni (le ultime prove in studio, la più recente risale a sei anni fa, non sono certo esaltanti). L’avventura, quindi, sta per concludersi e, seppur a malincuore, viene da dire che forse è davvero giunto il momento: la band, infatti, ha annunciato, lo scorso 25 gennaio, il loro ultimo tour, Last of the Street Survivors Farewell Tour, che è partito a maggio e si concluderà a gennaio con un ultimo concerto nella natia Jacksonville (Florida).
Nonostante gli anni sul groppone e i continui decessi e cambi di formazione (l’unico superstite della formazione originaria è l’ottimo Gary Rossington), i Lynyrd Skynyrd sono da sempre considerate una delle migliori live band in circolazione, come dimostra anche questo nuovo Live In Atlantic City, registrato il 23 giugno 2006 al Decades Rock Arena, lo studio televisivo e area concerti all’interno del Trump Taj Mahal ad Atlantic City. Un disco, a dire il vero, inaspettato, che chiude degnamente il cerchio, omaggiando i tanti fans del gruppo sparsi per il mondo, e risarcendoli, almeno in parte, per l’esiziale notizia dello scioglimento.
Possiamo chiederci se abbia ancora un senso comprare l’ennesimo disco dal vivo della band, visto anche il cospicuo numero di live, ufficiali e non, pubblicati nel corso dei decenni. Così, per ovviare al rischio di un’inutile duplicazione, Live In Atlantic City (la versione standard contiene sia il cd sia il dvd con la registrazione video dell’esibizione) vanta la presenza di alcuni ospiti, grazie ai quali il piatto della casa acquista un sapore leggermente diverso. A spartite il palco con Gary Rossington e soci, infatti, quella sera ci furono Bo Bice Jr., ai tempi fresco finalista di American Idol, Hank Williams Jr., country man figlio di cotanto padre, e i 3 Doors Down, gruppo post-grunge americano.
La consueta scaletta, pertanto, si arricchisce anche di brani appartenenti al repertorio degli artisti ospitati (i 3 Doors Down, ad esempio, portano le hit That Smell e Kryptonite) e dell’esecuzione in condominio di alcuni classici della band (particolarmente rocciosa Gimme Back My Bullets con Bo Dice). Nonostante qualche assenza di peso (Simple Man e Crossroads, tra le altre), non mancano i cavalli di battaglia che hanno reso i Lynyrd Skynyrd autentiche icone del rock sudista: Workin’ For MCA, Call Me The Breeze, Saturday Night Special, e il finalone palpitante dedicato come sempre alle leggendarie Sweet Home Alabama e Free Bird. Disco non imprescindibile, soprattutto per eventuali neofiti, ma l’ennesima chicca che i fan di vecchio corso non si lasceranno sfuggire.

VOTO: 7





Blackswan, sabato 27/10/2018

venerdì 26 ottobre 2018

PREVIEW




Uscirà il 23 novembre la versione deluxe di Lioness, uno dei più bei dischi di Jason Molina, alias Songs: Ohia, originariamente pubblicato nel lontano 2000. Il disco vedrà la luce via Secretly Canadian e conterrà, oltre al disco originale, anche un disco di materiale inedito, corredato da foto e scritti del songwriter deceduto nel 2013 per problemi legati all’alcolismo. Un’occasione ghiotta per scoprire o riscoprire una delle voci più autentiche e malinconiche del rock alternativo americano.





Blackswan, venerdì 26/10/2018

giovedì 25 ottobre 2018

JOHN BUTLER TRIO - HOME (Jarrah Records, 2018)

In Australia (nazione da cui proviene la band, anche se il leader è californiano d’origine) e negli States, John Butler è un nome importante, uno di quelli che quando parte in tour fa il pienone ovunque. Coadiuvato da Bryon Luiters al basso e di Grant Gerathy alla batteria, il buon John costituisce, infatti, un trio che dal vivo dà il meglio di sé. Basterebbe recuperare il doppio cd, Live At Red Rocks, uscito nel 2011, per rendersi conto della caratura live (anche tecnica, a dire il vero) del gruppo e di quanto siano coinvolgenti le loro performance quando salgono su un palco.
Diverso il discorso quando Butler entra in studio per registrare nuovo materiale: se alcune canzoni del repertorio eseguite live acquisiscono una inaspettata brillantezza, in sala di registrazione prevale una certa piattezza a livello compositivo, un’attitudine un po' troppo furbetta verso il mainstream e il passaggio radiofonico, e un po' di confusione sulla strada da imboccare, visto il minestrone, non sempre saporito, fra folk, rock, pop e qualche spruzzata di soul e funk.
Se è vero che non si ricordano dischi imprescindibili della band (il live citato poc’anzi è decisamente il migliore del lotto), è altrettanto vero che il risultato finale di ogni pubblicazione resta nell’alveo di un lavoro dignitoso e, perché no, se non si hanno troppe pretese, financo divertente.
Sicuramente questo nuovo Home, uscito a distanza di qualche anno dal precedente Flesh + Blood, non sposta di molto il consueto trend, se non per il fatto di essere ancor più radiofonico dei precedenti. Il risultato complessivo è, quindi, abbastanza deludente da un punto di vista creativo: a parte la solita confusione d’intenti e un andamento assai altalenante, che non riesce a creare coerenza fra generi e intensità, sono, infatti, davvero pochine le canzoni che restano in mente (Coffee, Methadone and Cigarettes su tutte), mentre quasi tutto il disco scorre fra momenti leccati e decisamente zuccherini e una discreta dose di noia (vista anche l’imponente lunghezza della scaletta, che sfiora l’ora).
Meglio gustarseli dal vivo, dunque, dimensione sicuramente più congeniale al gruppo, ed evitare, se possibile, questo Home, che si propone come un disco non bruttissimo, ma sostanzialmente inutile. Ad ogni modo, venderà benissimo, e questa è la cifra più evidente che contraddistingue il songwriting di John Butler.

VOTO: 5,5





Blackswan, giovedì 25/10/2018

mercoledì 24 ottobre 2018

PREVIEW




La leggenda del cantante soul Charles Bradley, deceduto a settembre dello scorso anno, tornerà a vivere con l'uscita del suo quarto e ultimo album, Black Velvet. Il disco uscirà il 9 novembre, e conterrà dieci canzoni mai ascoltate prima. Il materiale è stato assemblato dalla sua famiglia e dai suoi amici più stretti, allo scopo di celebrare la vita e l'eredità di Bradley, ad un anno dalla sua scomparsa. 

Il primo singolo estratto dall'album, "Can't Fight the Feeling", è stato rivenuto dal produttore e amico di lunga data di Bradley, Tommy "TNT" Brenneck, mentre cercava nuovo materiale materiale da includere su Black Velvet. Registrato nel 2007, Brenneck aveva ritenuto la traccia non perfettamente riuscita. "Per qualche ragione ho sempre pensato che non fossero adeguate le parti vocali, ma, poi, con mia sorpresa, riascoltandolo, la performance di Charles è risultata potente e intensa”.





Blackswan, mercoledì 24/10/2018

martedì 23 ottobre 2018

BLOOD OF THE SUN - BLOOD'S THICKER THAN LOVE (Listenable Records, 2018)

Quattro dischi di hard rock super accattivante con lo sguardo puntato direttamente agli anni ’70 è il bottino messo insieme fino a oggi dai texani Blood Of The Sun, combo che trae evidente ispirazione, in primo luogo, da grandi musicisti del passato quali Deep Purple, Mountain, Humble Pie, Ted Nugent, Led Zeppelin, e chi più ne ha più ne metta. Un suono decisamente retrò, su questo non ci piove, ma forgiato con una tale determinazione e un tale entusiasmo da rendere le loro influenze parte integrale e originale di una proposta coriacea e aggressiva, che spazza via fin da subito ogni sospetto di copia incolla.
Fondata da Henry Vasquez (batteria, ex Saint Vitus) e da Dave Gryder (tastiere), la band ha perso negli anni alcuni dei suoi componenti originali (oltre ai due citati è rimasto anche il bassista, Roger "Kip" Yma) tutti sostituiti con musicisti che non hanno affatto indebolito la line up degli esordi. Anzi, la band è tornata più incazzata che mai, grazie al contributo di Sean Vargas (voce), che è arrivato poco dopo il loro precedente album Burning on the Wings of Desire, e che si è adattato perfettamente al mood della band grazie alla sua grintosa estensione vocale. Non sono da meno i due nuovi chitarristi, Wyatt Burton e Alex Johnson, entrati in scena intorno all'inizio del 2018 che hanno aggiunto alla proposta alcuni elementi nuovi, più metal oriented, ma assolutamente appropriati al suono dei Blood Of The Sun.
Il nuovo album Blood's Thicker Than Love è stato registrato a partire da inizio anno, con l’unica eccezione dell’opener Keep the Lemmy's Coming, una sorta di Highway Star dedicata al grande Lemmy, e suonata da dei Deep Purple strafatti di metanfetamine. Quella canzone, importante biglietto da visita su cosa il combo intenda per hard rock anni ’70, ha subito nel tempo qualche ritocco e messa a punto, quando i chitarristi Wyatt Burton e Alex Johnson si sono uniti alla band.
Le canzoni per questo disco, ogni dubbio svanisce dopo un primo ascolto, sono state portante in studio di registrazione in embrione e sviluppate e arricchite con lo stesso spirito che anima una jam session: improvvisazione e strumenti sbrigliati, e minutaggio che, ovviamente, sfora rispetto ai normali canoni della canzone. Lo racconta lo stesso Henry Vasquez: ”Abbiamo iniziato a lavorare all’album a inizio luglio, abbiamo registrato presso gli studi The Lair di Arlington, in Texas, con il nostro chitarrista Alex Johnson che si occupava del suono. L’approccio è stato diretto, senza fronzoli. Ci siamo trovati e abbiamo iniziato a suonare le canzoni, con l’unico intento di rendere questo disco un disco rock duro. Alex ha fatto un ottimo lavoro, per non parlar e del solito superbo mix e mastering di Tony Reed (Mos Generator, Stone Axe)".
Se Burning On The Wings Of Desire è stato maggiormente influenzato dal southern rock, Blood's Thicker Than Love sfuma quelle influenze, ed è improntato a un crossover tra l’hard rock anni ’70 e alcuni suoni più vicini a certo heavy metal britannico, rappresentato da Motorhead, Riot e i primi Judas Priest.
Il risultato è un discone classicissimo, con i pezzi che dispiegano la loro durata per oltre i sei minuti, travolgendo l’ascoltatore con un fiume in piena di riff tonitruanti, ritmiche martellanti (Henry Vasquez è un vero assassino) e code strumentali in cui gli assoli (chitarre e organo) si rincorrono allo stato brado senza soluzione di continuità. Una corsa a rotta di collo per oltre quaranta minuti di musica durissima, che vi lascerà sudati e senza fiato.

VOTO: 7




Blackswan, martedi' 23/10/2018

lunedì 22 ottobre 2018

IL MEGLIO DEL PEGGIO




Il senatore semplice di Scandicci perde il pelo ma non il vizio della Leopolda. Nella stagione delle castagne va in scena la nona edizione della kermesse renziana. Il titolo è un programma: Ritorno al Futuro. Tutto come da copione, insomma. 50 tavoli di discussione presieduti dal one man show Matteo per l'appunto, che fresco di docufilm su Firenze, lancia strali e invettive ai "cialtroni" dell'attuale governo. Un autentico parterre de roi quello della Leopolda come nelle migliori tradizioni: nomi altisonanti impreziosiscono la convention, uno fra tutti, Paolo Bonolis, storico volto delle tv di Silvietto. Roba forte, dunque. Il conduttore televisivo del Biscione catalizza l'attenzione degli astanti con un intervento da far tremare le vene ai polsi. Altro che Martin Luther King e il celebre "I have a dream". Alla Leopolda si va oltre. "Ho portato un poncho degli Inti Illimani così almeno ci rimane qualcosa di sinistra...Sono cresciuto con il film 'Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda' e quando ho detto a mia moglie che venivo alla Leopolda perché ero stato invitato, mi sono vergognato". Memorabile la replica di Matteone alla dissertazione del Sommo Bonolis: "Io sono della generazione che è cresciuta guardando alla tv 'Bim Bum Bam' condotto da Bonolis". Se qualcuno aveva qualche dubbio sulle attitudini televisive di Matteone ora può sedersi comodamente sul divano e gustarsi le gag della Bavosa e del Cavaliere Mascarato, un tempo cavalli di battaglia della spalla di Bonolis, l'inseparabile Luca Laurenti. Che lo spettacolo abbia inizio!



Cleopatra, lunedì 22/10/2018