sabato 31 gennaio 2015

THE DECEMBERISTS – WHAT A TERRIBLE WORLD, WHAT A BEAUTIFUL WORLD



La prima cosa che mi verrebbe da dire a proposito di What A Terrible World, What A Beautiful World (ma un titolo meno banale non c’era?) sia un disco disomogeneo e privo di coerenza, come se la band non avesse ancora ben capito che direzione imboccare. Lo direi se questo fosse il disco d’esordio di un gruppo qualsiasi. Invece, trattasi del settimo full lenght di una band che, non solo amo molto, ma di cui non riesco a ricordarmi un episodio negativo (anzi il penultimo disco, The King Is Dead, era talmente bello da poter essere considerato già un classico). Allora, mi viene da pensare che Colin Meloy e soci avessero in mente di coagulare in un solo disco tutte le esperienze musicali passate, come se What A Terrible World…fosse una sorta di best of composto da brani interamente originali. La scaletta, infatti, spazia parecchio fra i generi, a partire dal trittico iniziale che spiazza non poco: il sentito omaggio iniziale ai fans contenuto in The Singer Addresses His Audience, il pop soul dell’elegante Cavalry Captain e il richiamo ai favolosi ’50 con il doo wop di Philomena. E così via, tra melodie un po’ consunte, ma buone per passaggi radiofonici (il singolo quasi emo di Make You Better), derive blues che rimandano a The King Is dead (Till The Waters All Long Gone e Easy Come, Easy Go) e ballate folk che rappresentano, a parere di chi scrive, il meglio del disco (Carolina Low è una tra le canzoni più belle uscite dalla penna di Meloy). Tanti diversi generi, si diceva, per una produzione che risulta egualmente ondivaga: a tratti magniloquente e stucchevole (Anti-Summersong) in altri estremamente lucida ed equilibrata (la superba The Wrong Year). Alla fine, il settimo album dei The Decemberistis vive in perfetta simbiosi con il titolo che porta: alcuni momenti deliziosi, che esprimono compiutamente la summa del Meloy pensiero, e altri, certamente non terribili, ma relegati allo status di meri riempitivi. Tanto che viene da pensare a What A Terrible World, What A Beautiful World come a una sorta di rito di passaggio, con cui la band guarda al passato e inizia a progettare un futuro.

VOTO: 6,5 






Blackswan, sabato 31/01/2015

SONIC TEMPLE

giovedì 29 gennaio 2015

GOV'T MULE Featuring JOHN SCOFIELD - SCO - MULE



Pazzesco, questo live è semplicemente pazzesco. Un'onda anomala (nel vero senso della parola) che travolge con la sua potenza inarrestabile tutto quello che incontra. Poco meno di due ore di jam session fusion che lasciano tramortiti, esausti, senza parole; due ore per un'esperienza sonora talmente coinvolgente, che quando il disco finisce, l'unica cosa che hai in testa è quella di ricominciare da capo. I Gov't Mule celebrano i vent'anni di carriera e lo fanno nel modo migliore possibile, rilasciando, dopo pochi mesi da The Dark Side Of The Mule, un nuovo, inusuale, live. Se in quel live, Warren Haynes e soci si cimentavano con il repertorio dei Pink Floyd e le registrazioni risalivano al 2008, con Sco-Mule, torniamo ancora più dietro nel tempo, al 1999, con la band (allora un power trio) alle prese con una scaletta prevalentemente jazz e funk. E con un ospite d'onore, John Scofield, che vanta un pedigree lungo come la coda in tangenziale durante l'ora di punta. Tanto per dirne una, Scofield ha suonato con Miles Davis a inizio anni '80, e quel periodo dedicato allo studio dell'improvvisazione funk-jazz sembra trovare ulteriore sviluppo sul palco di queste due serate, registrate ad Atlanta (Georgia), in compagnia di una delle band storicamente più recettive e aperte alla sperimentazione. A fianco del chitarrista originario dell'Ohio, suonano alla grandissima la chitarra di Warren Haynes, la batteria di Matt Abts e il basso del compianto Allen Woody (che di li a poco ci lascerà le penne), oltre a Dan Matrazzo alle tastiere. Due ore per un repertorio che spazia dal jazz di Wayne Shorter (Tom Thumb) e John Coltrane (Afro Blue), al funky di James Brown (Doin' It To Death e Pass The Peas) fino a regalare al pubblico rivisitazioni di classici della band, come la chilometrica Birth Of The Mule (la durata media dei brani supera  in ogni caso i dieci minuti). Una performance torrenziale, sostenuta da una pirotecnica sezione ritmica, che stupisce per precisione, equilibrio e improvvisi (oltre che rapidissimi) cambio tempo, e dalle trame avvolgenti di Matrazzo, puntualissimo a incorniciare le pennellate di Scofield e Haynes. E poi, ci sono loro due, due fenomeni della sei corde, che convivono sul palco con due stili differenti, che per una volta, almeno, sembrano aver bruciato ogni possibile distanza. Le due chitarre si rubano la ribalta a vicenda, si inseguono, si cercano, si trovano, si sovrappongono, si sostengono, duettano, vivono in un sincronismo simbiotico che lascia stupefatti. Virtuosismi, intuizioni, e un fiume di note che scorre in un alveo scavato esattamente a metà fra tecnica e cuore. Se in circolazione ci fosse ancora qualcuno che dubita che i Gov't Mule siano la seconda (il primato è degli Allman, stessa famiglia) più eccitante jam band della storia, con questo Sco-Mule è servito per sempre. Pazzesco.

VOTO: 8






Blackswan, giovedì 29/01/2015



SCHOOL OF ROCK: CLUB 27 (J)

martedì 27 gennaio 2015

THE LAST INTERNATIONALE - WE WILL REIGN



Uno degli ultimi dischi del 2014 che mi sono rimasti ancora da ascoltare, prima di gettarmi a capofitto nella nuova stagione musicale, non poteva essere colonna sonora migliore per accompagnare la piccola ma suggestiva illusione greca, che in questi giorni agita il mondo della sinistra europea (e non solo). Si chiamano The Last Internationale, arrivano da New York, ed è chiaro fin dal nome (mai sentito parlare dell'Internazionale Socialista?) da che parte della barricata si schierino questi tre ragazzi (beh, facciamo due, visto che il batterista, Brad Wilk, ex RATM, ha più o meno la mia età). Prodotti da Tom Morello (RATM), Brendan O'Brien (Pearl Jam) e Brendan Benson (The Raconteurs) e capitanati dalla vocalist Delila Paz, pasionaria dell'ultrasinistra, dall'ottima estensione vocale, i The Last International, dopo un Ep con cinque brani, sono usciti lo scorso agosto con questo We Will Reign, full lenght d'esordio che ha fatto spendere fiumi d'inchiostro alla critica specializzata. E a ragione, oserei dire, dal momento che quest'opera prima, pur non uscendo dagli steccati di un classic rock connotato da sfumature hard, ha il merito di essere prodotto egregiamente, suonato con convinzione e cantato anche meglio dall'ottima Delila. Tra l'altro, non mancano le belle canzoni, alcune delle quali riescono ad avere un buon appeal radiofonico (Battleground), senza tuttavia scadere nell'ovvio. Ne viene fuori una ben costruita alternanza tra brani rabbiosi (Killing Fields dimostra che i tre hanno mandato a memoria la lezione dei Rage Against The Machine) e altri decisamente più orecchiabili (I'll Be Alright, Devil's Dust), che riescono, tuttavia, a mantenere una certa ruvidezza di fondo, nonostante i numerosi ganci melodici. Classico power trio, energia al punto giusto, no elettronica, no smancerie, e un solido disco rock che, certo, guarda agli Skunk Anansie, ai Black Keys, ai citati (fin troppo, forse) Rage Against The Machine, ma che dimostra comunque che i The Last Internationale hanno le idee molto chiare e uno stile già in fase di completa definizione.

VOTO: 7





Blackswan, martedì 27/01/2015

lunedì 26 gennaio 2015

IL MEGLIO DEL PEGGIO




Riceviamo dalla nostra freelance Cleopatra e integralmente pubblichiamo

Strano Paese, il nostro. Un giovanotto rampante, divenuto Premier per volere di un Re, in tempi non sospetti, arringava le folle invocando il cambiamento. "Ai teorici dell'inciucio, diciamo: vi è andata male", si vantava. "Penso che dopo 18 anni, abbiamo il diritto di parlare di altro. Non si può parlare di futuro con i protagonisti del passato". Così, il Matteo nazionale fece breccia nel cuore di tanti italiani delusi e rassegnati. Correva l'anno 2014 e iniziava l'ascesa di questo giovane virgulto della politica italiana, strappato al desco di Firenze per occupare quello romano di Palazzo Chigi. Vincente nei sondaggi, idolatrato dalla intellighenzia e da Confindustria, ha sbancato per consensi persino tra mamme, nonne e zie. Pure i mass media sono stati sedotti dal fascino di questo bambino prodigio. Dai programmi televisivi, passando per le testate giornalistiche, non c'è stato un solo telegiornale o talk show che non abbia fatto di tutto per accaparrarsi la presenza del giovin Matteo. Con buona pace della par condicio di berlusconiana memoria. E lui, con quella faccia un po' così, ha dispensato per il Rinascimento italiano ricette infarcite di citazioni a volte "colte", a volte pop. Un maitre a penser de' noantri, scomodando Robert Frost, Jovanotti e persino Gigliola Cinquetti.
Renzi l'innovatore, quello delle quote rosa, quello che si faceva le docce gelate per la raccolta fondi in favore dei malati di Sla, quello che riformava la scuola, il lavoro, la pubblica amministrazione, la giustizia. Quello che mangiava il gelato alla faccia dell'Economist, quello dei tweet con la gente comune e con le Barbara D'Urso. Quello che gigioneggiava da Amici, al fianco di Maria De Filippi. Quello che disse che per Berlusconi era game over. La gente lo guardava come l'uomo della Provvidenza, il salvatore della patria."E' giovane, avanti i giovani!", si sentiva spesso dire, come se gioventù facesse rima con rinnovamento.
La verità si è rivelata tutt'altra cosa. Si danno le "manine" agli evasori, si usano i voli di stato per andare in vacanza, si stringono patti d'acciaio con i condannati, si emarginano le minoranze intellettualmente oneste e si predilige il dialogo con individui eticamente compromessi. Si dà il benservito ai Cofferati che non sanno perdere. Si tira a campare, si getta fumo con annunci di sfracelli, salvo poi ridimensionare i toni facendo ricorso alla prudenziale locuzione "passodopopasso". Quel tanto strombazzato cambio di verso si è sciolto come neve al sole. Nulla di vero, a parte la conservazione di prebende, impunità e poltrone. 
L'altro Matteo (Salvini) affila le unghie sfruttando lo smarrimento dei renziani delusi e l'inconcludenza grillina. Il Trota e le lauree albanesi, i Belsito e i diamanti, sono solo un lontano ricordo. La gente pare aver dimenticato tutto.
Ora, il dibattito politico si concentra sulla nomina del nuovo inquilino del Quirinale. Condivisione sul nome del candidato (e non sulla statura morale della persona), è la parola d'ordine. L'inciucio è nuovamente servito. Tutto il resto può attendere. 

Antonio Razzi (FI): "Berlusconi è il solo genio che abbiamo in questo momento sulla terra. Se mi chiede di votare Totò Riina, lo voto. Io sono fedele".

Maurizio Gasparri, in un tweet, a proposito delle due cooperanti italiane: "Vanessa e Greta, sesso consenziente con i guerriglieri? E noi paghiamo!".

Luca Zaia (Lega Nord): "In Italia, si introduca una norma per cui chi si mette nei guai, si arrangi a tirarsi fuori. Quindi, nei confronti di queste ragazze si faccia una confisca a vita fino a che si raccoglieranno 12 milioni di euro".

Mario Adinolfi (ex deputato PD): "La moglie sottomessa cristiana è la pietra fondante, la pietra su cui si edifica la famiglia".  

Pippo Civati (PD): "I miei genitori e la mia fidanzata vogliono che io esca dal PD, ma io resisto".

Cleopatra, lunedì 26/01/2015