lunedì 30 giugno 2025

Pulp - More (Rough Trade, 2025)

 


Provo un piacere sottile a mettere nel lettore un nuovo cd di una delle band amate durante gli anni della gioventù. Nel 2025, è già successo con gli Skunk Anansie, tornati sulle scene dopo uno iato lunghissimo, e i Garbage, che non hanno mai smesso di fare musica, nonostante siano trascorsi tre decenni dagli esordi. Questo godimento è qualcosa che ha a che fare con la nostalgia, non c’è dubbio (ah, che emozione sentirsi ancora giovani), e probabilmente con l’insoddisfazione prodotta da tanti ascolti coevi di band o artisti osannati, ma incapaci di stimolare un orecchio “anziano” sia sotto il profilo della scrittura che della qualità tecnica dell’esecuzione. Così stanno le cose, per quanto mi riguarda. Sono orgogliosamente boomer, al punto che quando ho saputo che i Pulp, una delle band più geniali del movimento brit pop, sarebbe uscita con un nuovo disco dopo ben ventiquattro anni di silenzio, una lacrimuccia (facciamo anche due) mi ha rigato la guancia. Pura emozione.

Correva l’anno 1995, quando il gruppo capitanato da Jarvis Cocker pubblicò il suo quinto album in studio, Different Class, probabilmente la più grande affermazione artistica della band e certamente il loro lavoro di maggior successo commerciale. Dopo dodici anni trascorsi quasi esclusivamente ai margini di un riconoscimento significativo, i Pulp erano finalmente arrivati alle orecchie del grande pubblico, e si sarebbero rivelati difficili da dimenticare. Nonostante, successivamente, abbiano pubblicato solo altri due album (il cupo e disilluso This is Hardcore del 1998 e l'addio sontuoso We Love Life del 2001) la popolarità dei Pulp persiste ancora oggi, tanto che il tour della reunion del 2023 ha attirato grandi folle. Fu proprio durante quei mesi che si presentò per la prima volta la possibilità di scrivere nuova musica, con la band che provò il nuovo brano "Hymn of the North" durante le prove audio, per poi suonarlo in pubblico durante il live act.

Da quel momento qualcosa si è smosso, e il 2024 è stato un anno decisivo, dedicato, la prima metà, alla scrittura di nuovo materiale, e la seconda metà, alla registrazione del disco vero e proprio. Supervisionato dal produttore degli Arctic Monkeys, James Ford, e con la partecipazione del batterista storico Nick Banks, del chitarrista Mark Webber e della tastierista Candida Doyle, oltre ovviamente a Cocker, More è stato il disco dei Pulp più veloce mai registrato. Eppure, la scaletta che ne è il risultato non sembra assolutamente affrettata, tutt'altro.

Questo è evidente fin dal singolo principale e brano d'apertura dell'album "Spike Island", che suona immediatamente classico come qualsiasi successo degli anni '90 della band. Ritmo di batteria coinvolgente e una linea di basso vivace, la canzone si assesta su un profondo groove disco quando Cocker, ironizzando sulla sua età (quest’anno sono sessantadue) e sul ritorno sulle scene canta "Stavo lottando con la gruccia, indovina chi ha vinto?", poco prima che il ritornello da cantare in coro rievochi i giorni antemici del brit pop.

Anche "Tina", la seconda traccia, perpetua la tradizione della band, con un ritornello orecchiabile in mezzo a versi sommessi e ossessionanti. "Tina" è un classico Pulp, un gioiello bizzarro e accattivante attraverso cui Cocker racconta con sarcasmo di un amore che non decolla: "stiamo davvero bene insieme, perché non ci incontriamo mai".

La canzone successiva, "Grown Ups", è un po' azzardata, dura 5 minuti e 56 secondi, il che la rende il momento più lungo dell'album. Tuttavia, il risultato è brillante: tastiere potenti sostenute da un riff incalzante ammantano di energia i testi vividi di Cocker, che ci guidano attraverso le sue esperienze con l’invecchiamento.

In netto contrasto c'è la canzone successiva, "Slow Jam", che fa esattamente ciò che promette, e rallenta di molto il ritmo, attraverso una linea di basso rilassata e funky, e un cantato sommesso e malinconico con cui il cantante documenta la fine di una storia d’amore.

Se "Slow Jam" racconta il collasso di una relazione, "Farmers Market" ne accoglie, invece, la luce nascente. Accarezzata da delicati archi, linee di pianoforte sognanti e un tocco jazzy nel drumming la canzone fotografa sotto una luce agrodolce un incontro tra due anime coi trascorsi esistenziali della mezza età: "Hai sorriso e ho potuto vedere che la vita aveva preso anche te, ma non era niente di serio, solo una ferita superficiale".  

Il brano successivo, "My Sex", rappresenta un audace cambio di tono, con il sussurro sensuale di Cocker che segna un ritorno alla sfacciata spavalderia che ha alimentato una considerevole quantità di grandi successi dei Pulp. Come nel resto di More, però, il passare del tempo è sempre in agguato e sulle note di un funky sinuoso Cocker canta “sbrigati perché il mio sesso sta per esaurirsi", come se la vita potesse sfuggirgli di mano da un momento all'altro, una preoccupazione, questa, senza dubbio acuita dalla morte del bassista di lunga data Steve Mackey. Tuttavia, Cocker non si accontenta più di prodezze puramente sessuali, non è più un giovane spavaldo con un luminoso futuro davanti. A sessantun anni, il cantante è giunto alla conclusione che l'amore è ciò a cui tutti dovrebbero aspirare. "Senza amore, ti stai solo masturbando dentro qualcun altro", dichiara senza mezzi termini nel secondo singolo "Got To Have Love", un brano disco-pop travolgente (vengono in mente i Santa Esmeralda) con una costruzione e un rilascio magistrali, un numero che si rivelerà sicuramente un momento culminante quando verrà eseguito dal vivo.

Da qui in avanti il disco si avventura in un territorio dedicato alla ballata, e sebbene non sia questo il motivo per cui i Pulp sono più conosciuti, è probabilmente il punto di forza di questo ottimo More.

"Background Noise" racconta l’amara consapevolezza del vuoto lasciato dalla rottura di una storia: Cocker paragona l'amore al "ronzio di un frigorifero, che noti solo quando scompare", dando vita a un ritornello melodico e drammatico che si distingue come uno dei momenti migliori dell'album. "Partial Eclipse" è piacevole, anche se un po' dimenticabile, mentre la penultima canzone, "Hymn of the North", è una delle vette del disco. Note di piano sgocciolate, e voce da crooner, il brano si sviluppa lentamente, prima che un bridge alla Style Council interrompa per pochi secondi il flusso e apra a una seconda metà composta di archi, ottoni e linee vocali ipnotiche, per poi apparire nuovamente dal nulla.

Alla fine, l'album ha in serbo un'altra chicca. "A Sunset" è un brano dal dolce ondeggiare, avvolto da lussureggianti fioriture orchestrali. Un modo appropriato per concludere l'album, con dolcezza e tanta ironica sagacia, quando Cocker canta, quasi sorridendo, una tremenda verità: "La prima regola dell'economia? Le persone infelici spendono di più".

More segna un grande ritorno, il ritorno di una delle band più influenti degli anni ’90, a cui il tempo trascorso ha concesso una nuova possibilità, magistralmente sfruttata. Undici canzoni che suonano come dovrebbe suonare la musica dei Pulp oggi, che è il tempo dei capelli grigi e dei rimpianti che aprono a una nuova consapevolezza, che spingono ad adeguarsi a un nuovo sentire. More è il suono della vita che scorre, del tempo che ci erode lentamente ma anche di tutta la bellezza che abbiamo avuto la fortuna di vedere. La spavalderia di un tempo si è attenuata, l’ironia è più sottile, le riflessioni più temperate e agrodolci. Ciò che resta intatta, però, è la musica, bella e coinvolgente esattamente come trent’anni fa.

Voto: 8

Genere: Pop

 


 

 

Blackswan, lunedì 30/06/2025

 

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