Basta un solo, fugace ascolto di Father Of All Motherfuckers,
per rendersi conto che siamo di fronte a un disco dannatamente buono. I
Green Day sono tornati con un lavoro inusuale, spiazzante, se vogliamo,
e di gran lunga migliore del precedente, innocuo e prevedibile, Revolution Radio (2016).
Un
disco che forse non farà impazzire i fan duri e puri dei Green Day, ma
che probabilmente piacerà a quanti, come il sottoscritto, non hanno mai
amato particolarmente il gruppo capitanato da Billie Joe Armstrong.
Siamo ben lontani dalla grandeur di American Idiot e 21 Century Breakdown e dalla fiacca riproposizioni di stilemi ormai frusti, come avveniva nel capitolo precedente.
Father Of All Motherfuckers è semmai imparentato al progetto parallelo Foxboro Hot Tubs e a quel Stop Drop And Roll!!!, che nel 2007 portò i Green Day in incognito a scalare le classifiche di mezzo mondo.
Si
potrebbe parlare di un disco minore, perchè privo delle consuete hit e
di quel messaggio politico, che da sempre Armstrong veicola attraverso
le sue liriche, se non fosse che in questo caso l’ispirazione è davvero
alta e la voglia di divertirsi è fisicamente palpabile. La scaletta è
rapidissima: poco meno di mezz’ora per dieci canzoni che non superano i
tre minuti di lunghezza. Un disco breve e per questo estremamente
efficace, che tira fuori il meglio di un gruppo che ha solo voglia di
far casino, pompare decibel e divertirsi.
Inusuale,
dicevamo, perché il trio abbandona la strada del pop punk melodico a
facilissima presa, e intraprende, invece, quella di un punk’n’roll con
vista garage, scalpitante e rumoroso. Se è vero che manca la super hit
da mandare a memoria e cantare a squarciagola ai prossimi concerti, è
altrettanto vero che in questo caso si apprezza la coerenza di una
scaletta senza filler e il tiro assassino di canzoni costruite su riff
grezzi, coretti in falsetto, handclapping, ed echi sixties.
Una corsa a perdifiato che comincia con il furore selvaggio della title track
(brano che figurerebbe meravigliosamente in un disco degli
Hellacopters), e che prosegue con un filotto irresistibile di piccoli
gioielli: il r’n’b festaiolo di Meet Me On The Roof, il garage rock cialtrone di Fire, Ready, Aim, il graffio punk di Sugar Youth su tutte.
Se cercavate la prova che i Green Day godono ancora di ottima salute, con Father Of All Motherfuckers l’avete trovata. Non un disco epocale, ovviamente, ma un lavoro finalmente ispirato, tutto muscoli, sudore e rock’n’roll.
VOTO: 7,5
Blackswan, giovedì 13/02/2020
1 commento:
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