“La formula alchemica di queste canzoni rispecchia, a prescindere dall’ambientazione fosca e vagamente sepolcrale, la stessa di sempre: un mix di hard rock, space, psichedelia e doom che guarda principalmente agli anni ’70.”
Scrivevo così, solo sei anni fa, a proposito di For The Dead Travel Fast, l’ultimo album rappresentativo dei teutonici Kadavar, così come li avevamo sempre conosciuti fin dal loro omonimo esordio del 2012. Poi, qualcosa è iniziata a cambiare con Isolation Tapes (2020), un disco meno vibrante e rumoroso, più influenzato dal progressive e dalla psichedelia, un’opera atmosferica, intensa e struggente, e dal grande impatto emotivo. A distanza di un lustro, arriva, dunque, questo nuovo I Just Want To Be A Sound, che i fan di vecchia data, gli stessi che non avevano gradito la svolta del suo predecessore, attendevano, ponendosi numerosi interrogativi su cosa avrebbe fatto l’amata band.
In tal senso, se un album come Isolation Tapes aveva destabilizzato che si attendeva il solito turbinio elettrico, questo nuovo album si presenta come un definitivo taglio con il passato, è qualcosa che forse nessuno si sarebbe mai aspettato. E questo perché le dieci canzoni in scaletta rappresentano non solo un cambiamento, ma addirittura uno stravolgimento. Dei vecchi Kadavar, infatti, è rimasto ben poco, e l’album sembra davvero concepito lungo coordinate agli antipodi di quei territori che erano frequentati con tanto successo.
E’ evidente che chi ha amato la band fin dalla prima ora si troverà spiazzato e, diciamocelo, anche un filo incazzato: I Just Want To Be A Sound è un disco orecchiabile e aperto al mainstream, in cui la rabbia, l’energia e il sudore di un tempo vengono sostituiti da un approccio pop rock melodico. L’album è colorato e cangiante, la psichedelia è presente, non è certo quella che apriva a travolgenti cavalcate lisergiche, semmai un ingrediente più leggero e volatile.
Se
come recita il titolo, dunque, lo scopo di quest’album era quello di
centrare un suono, in tal senso il risultato è pienamente raggiunto, e
sotto questo punto di vista il disco suona coeso. Ma non sono più i
Kadavar.
L’ariosa title track apre il disco, mostrando subito la nuova mano di carte: è melodica in modo solare, il ritornello è da acchiappo e qualcuno coglierà nell’incedere volatile qualche fragranza riconducibile agli U2 più pop.
Il riff ruvido di Hysteria è un tranello, perchè il brano, una sorta di filastrocca elettrica, si muove in modo prevedibile e un po’ scialbo. Un piccolo ringhio, ma senza corpo e anima. Non meglio, il sabba psichedelico di "Regeneration", che tra battiti di tamburi e tastiere space cerca la melodia vincente senza però trovarla.
E’ questo un po’ il trend dell’album: i suoni sono spettacolari, ma le canzoni restano prevalentemente insipide, una sorta di vorrei, ma non posso ("Let me Be A Shadow").
Non mancano, tuttavia, momenti decisamente convincenti: "Sunday Mornings" è una ballata d’atmosfera avvolta di synth e di malinconia che dopo qualche minuto decolla in una convulsa deriva space rock, mentre "Star" è languida psichedelia che cita i Pink Floyd e si libra nell’etere sulle note di una melodia, questa volta, davvero notevole.
I Just Want To Be A Sound rappresenta un nuovo capitolo nella carriera dei Kadavar, è l’inizio di una svolta che porta la band berlinese a esplorare territori fino a oggi sconosciuti. Come tutte le prime volte, il passo è incerto. Se da un lato, la volontà di abbracciare un nuovo suono è perfettamente soddisfatta, dall’altro, le canzoni non sono tutte all’altezza dell’idea che sta alla base. Mancano grandi brani, di quelli da mandare a memoria, e non sempre l’aspetto melodico, che è il grimaldello necessario per aprire le porte al grande pubblico, riesce a essere pienamente convincente. Il risultato è un disco che sta in una terra di mezzo e sembra destinato a scontentare un po’ tutti. Il coraggio, però, va premiato e la sufficienza è, pertanto, piena.
Voto: 6,5
Genere: Rock, Pop
Blackswan, martedì 08/07/2025