venerdì 8 agosto 2025

Cop Killer - Body Count (Warner, 1992)

 


Multimilionaria star del rap e acclamato attore, tanto cinematografico quanto televisivo, il sessantaseienne Ice-T potrebbe godersi una ricca pensione sotto il sole della sua Los Angeles. E invece, questo ragazzaccio, che ha più polemiche alle spalle che capelli in testa, continua a tenere viva la propria carriera attraverso i Body Count, il suo progetto più ostico, militante, rabbioso e decisamente meno appetibile da un punto di vista commerciale.

Dai tempi di quella "Cop Killer" (1992), singolo che sollevò uno tsunami di critiche, coinvolgendo addirittura l’allora Presidente degli Stati Uniti, George Bush, il rapper californiano non ha smesso di stare sulle barricate, di polemizzare con il potere, di professare il suo credo antagonista senza mezze misure, a volte esagerando, ma sempre con invidiabile coerenza.

Ultima traccia dall’omonimo album d’esordio dei Body Count, "Cop Killer" venne in mente a Ice-T quando, una mattina, entrando negli studi di registrazione canticchiando "Psycho Killer" dei Talking Heads, qualcuno gli suggerì di cambiare il verso del ritornello in "Cop Killer", un titolo che esprimeva perfettamente la rabbia dei cittadini afroamericani nei confronti della polizia. Da quell’estemporaneo suggerimento, il rapper trovò l’abbrivio per una composizione che aveva in testa da tempo, una canzone che dicesse senza mezzi termini ciò che il titolo cristallizzava in due parole: uscire di casa, cercare un poliziotto e ucciderlo.

Ice-T, tuttavia, in seguito precisò il senso del brano, sostenendo che lui non odiava i poliziotti, ma era arrabbiato solo con la polizia brutale. “Non ho mai odiato i poliziotti” disse durante un intervista a NPR “Quando infrangevo la legge, i poliziotti erano i miei avversari, pensavo solo di poterli superare in astuzia. Chiunque superi il limite di velocità pensa di poter superare in astuzia i poliziotti. Cop Killer era una canzone sulla polizia brutale…vivevo in un mondo in cui i poliziotti strappavano le persone dalle loro auto e le picchiavano. Quindi ho pensato, e se qualcuno si scatenasse contro i poliziotti brutali, come ti sentiresti?"

Il musicista losangelino, è storia nota, ha spesso avuto a che fare in passato con le forze dell’ordine. Ice-T, infatti, ha fatto parte di gang e ha commesso molti crimini in gioventù, finendo più di una volta nei guai con la legge, ma attribuendo alla musica rap il merito di averlo aiutato a fare "il mio primo passo nel mondo della legalità".

Sia quel che sia, quando la canzone venne pubblicata, si scatenò un putiferio.

Il dipartimento della polizia del Texas, qualche mese dopo l’uscita del singolo, chiese un boicottaggio nazionale di "Cop Killer", richiesta che sollevò problemi di censura e generò infinite polemiche. La conseguente attenzione mediatica portò le vendite di Body Count alle stelle, altrimenti il disco sarebbe stato un mezzo flop. Infatti, l'album era già uscito da tempo (31 marzo del 1992) quando scoppiò la bagarre (per la precisione il 10 giugno dello stesso anno), e le polemiche contribuirono a un inaspettato successo commerciale. Il disco, infatti fu certificato disco d'oro (500.000 copie vendute) il 4 agosto, e il 15 agosto raggiunse il ventiseiesimo posto nella classifica degli album. Nel numero del 20 agosto di Rolling Stone, poi, Ice-T è addirittura apparso in copertina, indossando un'uniforme da poliziotto.

La canzone fu messa in circolazione quando era passato circa un anno dalla brutale aggressione ai danni del taxista Rodney King, un uomo di colore disarmato, picchiato a sangue da quattro agenti bianchi della polizia di Los Angeles. Quando il 29 aprile 1992, i poliziotti vennero assolti, scoppiarono violente rivolte, e "Cop Killer" divenne una sorta di inno dei manifestanti, espressione di rabbia nei confronti di un sistema che protegge la polizia razzista a discapito di persone di colore colpevoli solo di aver incrociato la sua strada.

Ice-T divenne, così, parte della storia e si dimostrò un interlocutore di sostanza durante il dibattitto pubblico. In numerose interviste, spiegò cosa significasse vivere come un uomo di colore nel centro di Los Angeles, dove la polizia veniva percepita come il nemico. Nonostante i numerosi precedenti, il rapper era anche un veterano dell'esercito (ha prestato servizio per quattro anni) e si era sempre tenuto lontano dalla droga, presentandosi così all’opinione pubblica come parte coinvolta credibile e di indiscussa esperienza. A dimostrazione della sua buona fede, il 28 luglio del 1992, Ice-T chiese alla Warner di rimuovere la canzone dall'album, sostenendo che non voleva apparire come se stesse cercando di trarne profitto. L'etichetta acconsentì, sostituendola con un brano intitolato "Freedom of Speech". 

Come già accennato, le polemiche intorno alla canzone coinvolsero anche l’allora Presidente degli Stati Uniti, George H. W. Bush, che stava facendo una campagna per le imminenti elezioni contro lo sfidante democratico Bill Clinton. Bush non menzionò mai Ice-T o la canzone per nome, ma il 29 giugno 1992 disse: "Mi oppongo anche a coloro che usano film o dischi o televisione o videogiochi per glorificare l'uccisione di ufficiali delle forze dell'ordine. È da malati. Non mi interessa quanto sia nobile il nome dell'azienda, è sbagliato per qualsiasi azienda rilasciare documenti che approvino l'uccisione di ufficiali delle forze dell'ordine". 

E’ curioso che a partire dal 2000 Ice-T abbia recitato nella famosa serie tv della NBC Law & Order: Special Victims Unit come detective della polizia. Ciò significa che otto anni dopo aver scritto ed eseguito una famosa canzone sull'omicidio di un poliziotto, ne interpretava uno in TV. E non era la prima volta: lo aveva già fatto nel film New Jack City del 1991. Un anno prima del caos esploso con "Cop Killer".  




Blackswan, venerdì 08/08/2025

mercoledì 6 agosto 2025

Turnstile - Never Enough (Roadrunner, 2025)

 


Ci sono fenomeni che non riuscirò mai a comprendere. Ad esempio, come sia possibile che certe band dalla caratura artistica modesta, trovino così tanto apprezzamento da parte della critica specializzata. Sarà forse questione di hype, non so. Quel che certo che i Turnstile, a prescindere dall’indubbio successo commerciale (basta dare un rapido ascolto a questo Never Enough per comprenderne i motivi) ottengono sempre giudizi accomodanti dalla maggior parte della stampa. Dimenticato l’esordio di dieci anni fa improntato a un grintoso hardcore melodico, la band ha fatto il botto con Glow On del 2021, un disco che ha mietuto un gran successo commerciale sia negli States che nel Regno Unito, traghettando la band da piccoli localini di periferia alle arene.

Gli elementi vincenti della svolta sono stati la cadenza strascicata del frontman Brendan Yates (una voce senz’altro suggestiva, ma priva di consapevolezza tecnica), l'artificioso pop-punk da fratellanza (bella zio!), l'uso ostentato di groove prevedibili e hook melodici un po’ puerili ma di grande resa, componenti, queste, tutte presenti anche in questo Never Enough.

Ora, il tema non è chiedersi se i Turnstile siano ancora una band hardcore o meno. A modesto parere di chi scrive contaminare il suono, arricchirlo e cercare nuove forme espressive è cosa buona e giusta. Il problema è semmai come lo si fa.

Never Enough è un disco furbissimo, mainstream in modo sfrontato, seppur arrangiato con grande intelligenza. Tuttavia, proprio perché rivolto a un pubblico (semi) generalista, ci troviamo ad ascoltare canzoni che puntano all’acchiappo immediato, sacrificando però ardore, passione e creatività. Se dovessimo dare un giudizio considerando esclusivamente la fruibilità della proposta, saremmo largamente indulgenti: il disco è divertente, orecchiabile, e la melodia blinda ogni singola canzone, donandole immediata fruibilità. Tuttavia, chi ha qualche anno in più e nella propria vita ha ascoltato un po’ di musica, comprende immediatamente come la proposta ci metta pochissimo a mostrare la corda.

Parte la title track coi suoi bei tastieroni ariosi e una leccata melodica smaliziata, ma quando, poco dopo, entrano le chitarre a fare muro, ci si domanda come sia possibile per chi proviene dall’hardcore tirar fuori un suono così educato. La successiva "Sole" vorrebbe mostrare i muscoli, ma sono muscoli da palestra, non certo quelli forgiati nei vicoli di una lurida periferia, e il riff è così scontato che anche la bella intuizione di inserire dei synth roboanti sul finale, non riesce a placare la sensazione di deja vu.

"I Care" si gioca la carta della melodia tirando fuori un giro di chitarra che rimanda gli Smiths più pop, e l’effetto è piacevole, nonostante la voce di Brendan Yates, a cui qualche lezione di canto farebbe comodo. Funziona bene anche il pop punk di "Dreaming", in cui gli inserti di tromba tirano la band fuori dall’impaccio di una certa ripetitività di fondo.

Arrivati a metà disco, si ha la sensazione che se con Glow On i Turnstile avevano preso l'energia, l'aggressività e il carisma del punk, trasformandoli in un panino kebap no cipolla e salsa piccante, con Never Enogh abbiano aggiunto anche una cospicua dose di maionese, per attenuare ulteriormente la veracità del sapore, strizzando così l’occhio al consumatore medio.  

Molti degli sforzi della band per accaparrarsi consensi si ritorcono contro di loro, come nel dream pop apatico della deludente "Magic Man" o nel canovaccio frusto di "Dull". Tuttavia, nelle rare occasioni in cui la band si abbandona a divagazioni atmosferiche, si dimostra capace di costruire ottimi soundscape. La coda estesa del pezzo forte dell'album "Look Out For Me" o l'outro della citata "I Care" dimostrano che in questi casi i Turnstile sono in grado di abbandonare la scrittura lineare, suonando in modo eccellente. "Look Out For Me", in particolare, mostra la potenza di una paziente costruzione strumentale per sovvertire le aspettative e offrire una gratificazione a lenta combustione come nessun ritornello orecchiabile al mondo potrebbe vantare.

In momenti come questi, quando la band smette di aggrapparsi all'ideale elaborato e sterile del punk radiofonico che ha da tempo modellato entro confini così spietatamente precisi, Never Enough sembra parlare di una band dal grande potenziale.

Questi tiepidi surriscaldamenti richiedono una qualche forma di urgente riconsiderazione. Il costante riferimento che la band fa all’hardcore parlando di se stessa, ovviamente non ha più senso. Se questa è la strada che hanno deciso di imboccare, e parrebbe di si, ben per loro, il successo è senz’altro garantito. Se, tuttavia, al puro divertimento per teenager alla festa di fine anno scolastico, volessero aggiungere rilevanza creativa, occorrerebbe partire dalle cose buone di Never Enough e concentrarsi maggiormente sulla scrittura.

Detto questo, il disco ascoltato in macchina in un pomeriggio di cazzeggio, funziona abbastanza bene da meritarsi la sufficienza. Vedremo alla prossima.

Voto: 6

Genere: pop punk

 


 

 Blackswan, mercoledì 06/08/2025

martedì 5 agosto 2025

Annahstasia - Tether (Drink Sum Wtr, 2025)

 


 

La prima cosa che salta all’occhio è la copertina. C’è un elemento visivo, forse casuale, forse no, che ricollega il debutto sulla lunga distanza di Annahstasia con un altro eccezionale disco d’esordio, quello di Tracy Chapman, risalente al 1988. Una foto semplice ma icastica, il volto in primo piano, la stessa pettinatura riccia. La foto che ritrae la Chapman, però, è sgranata, il volto della songwriter è rivolto verso il basso, come a voler schermire un’anima fragile e a suggerire timidezza, umiltà e una certa ritrosia verso una medianicità che non le appartiene. Lo sguardo di Annahstasia, invece, è fisso sull’ascoltatore, è languido e sensuale, leggermente imbronciato, ma consapevole del momento.

Due esordi lontanissimi nel tempo, due epoche diverse, e un modo diverso di approcciarsi alla propria musica, al proprio pubblico. La Chapman è spaesata, sembra capitata per caso in un mondo che non le appartiene. Annahstasia è figlia dei suoi tempi, una ragazza cresciuta nel mondo dei social, che comprende quanto la comunicazione e l’immagine siano necessarie per emergere, per avere successo.

Un lungo preambolo reso necessario dal fatto che queste due straordinarie artiste, separate dall’età e da epoche lontanissime tra loro, condividono molto. In primo luogo, un timbro vocale simile (Annahstasia, talvolta, per certe disperate profondità evoca anche Nina Simone) e un approccio dimesso all’interpretazione, che resta comunque ricca di sfumature. E poi, la passione per il folk, chiave di volta di entrambi i dischi, declinato dalla Chapman con una povertà quasi francescana, e da Annahstasia attraverso arrangiamenti minimal ma raffinati, figli del pensiero moderno dominante del less is more.

Annahstasia pubblica musica in piccole quantità fin dai tempi dell'università, e Tether è il primo progetto sulla lunga distanza che raccoglie la sua visione artistica entro confini ben delimitati. La sua musica accosta chitarra folk, fraseggi soul, echi jazz e orchestrali in un melange sfumato ma coeso, senza lasciare che un elemento della formula si sovrapponga all'altro. In undici brani, Annahstasia dimostra come le dinamiche morbide possano avere un peso reale quando la scrittura rimane chiara e l’interpretazione è vivida, appassionata, vissuta.

La maggior parte delle sessioni si è svolta con i musicisti chiusi in un'unica stanza, in presa diretta, come si faceva una volta. Una scelta di fine artigianato, in cui si percepisce l’ambiente circostante, in uno spazio sospeso a metà fra lo studio di registrazione e le mura domestiche, dando l’impressione che gli interventi in post produzione siano stati del tutto marginali.

Se le liriche della Chapman si alternavano tra critica sociale e politica e pene d’amore, il titolo del disco di Annahstasia, Tether (legare) allude alla connessione fra esseri umani. Le canzoni riflettono su come desiderio, affetto e rispetto di sé leghino o rendano complessi i rapporti e le persone: quanta libertà possiamo mantenere per noi stessi pur continuando a prenderci cura gli uni degli altri?

La sua scrittura è poetica, figurata, evita gli slogan e spesso affianca due immagini semplici e lascia che sia l'ascoltatore a tracciarne il collegamento, il che ben si adatta allo sviluppo paziente del disco. 

La scaletta inizia con "Be Kind" e il tempo sembra fermarsi, sospeso in un limbo che, nota dopo nota, accumula malinconia, prima esitante, poi sempre più intensa. Chitarra, organo e voce: adesso, il tempo fluttua con i fraseggi vocali, finché una piccola sezione di fiati non entra e solleva il brano senza disturbarne il quieto andamento.

Un arpeggio di chitarra e la voce calda e profonda di Annahstasia aprono "Villain", che si arricchisce, lentamente, di un rullante spazzolato, morbidi tocchi di piano elettrico e brevi frasi di tromba. Mentre gli accordi ruotano, la voce della cantante cresce, sostenuta da un coro gospel, evidenziando l’approccio fondamentale dell’album, che sottolinea i cambiamenti emotivi attraverso cambiamenti di volume e consistenza, piuttosto che affidandosi a drammatici ritornelli.

"Unrest" dispiega tutta la sua emotività malinconica attraverso note di piano sgocciolate e chitarra acustica, salvo poi arricchirsi di un vellutato arrangiamento di fiati. Lo stesso mood lo si trova nella struggente "Take Gare Of Me", uno dei brani più vicini all’estetica della Chapman, per quell’incedere inizialmente quasi spoglio e per quella morsa malinconica che attanaglia la gola, quando Annahstasia canta senza filtri la propria fragilità, chiedendo sensibilità e attenzione.

Tether eccelle perché si affida alla moderazione. Le scelte tecniche non sono mai in competizione con la scrittura. Il respiro, il ronzio degli archi e i piccoli cambi di tono rimangono udibili, a dimostrazione della visione del disco secondo cui la cura si manifesta nei piccoli dettagli, non nel volume puro.

In tal senso, un brano come "Overflow" riesce a essere smaccatamente pop, tenendosi lontano da ogni escamotage, puntando tutto sulla melodia e il perfetto equilibrio sonoro, risaputo, forse ma efficacissimo. "Silk and Velvet" spoglia ulteriormente la tavolozza. I graffi asciutti del violoncello incontrano un singolo battito di cassa, lasciando spazio a un finale quasi noise.

Piccole variazioni, mai eclatanti, ma perfette per rendere l’ascolto sempre più seducente. Ecco allora l’ossatura magra e la dolcezza carezzevole di "Satisfy Me" o le scosse elettriche di "Believer", che mostrano un inaspettato graffio rock, ciò che potrebbe sembrare un’anomalia, una foto fuori fuoco, e che invece compenetra perfettamente il mood dell’album.

Con "All Is. Will Be. As It Was.", entra in scena la poetessa Aja Monet. Accordi di pianoforte e una chitarra strimpellata fluttuano attorno alle riflessioni parlate della scrittrice, creando un’atmosfera che richiama quella di un locale notturno nell’ora che precede la chiusura.

Il disco si conclude con "Slow", in duetto con Obongjayar (giovane campione dell’afrobeat): il tenore granuloso di lui incontra l’estensione più bassa di Annahstasia in un punto in cui convivono quiete e attrito. Quando le loro voci finalmente si muovono all'unisono, il mix colpisce con forza proprio perché era stato trattenuto per gran parte del brano e i brividi si sprecano.

Come artista di origine nigeriana che lavora in una scena come quella di Los Angeles, spesso divisa in categorie di genere, Annahstasia evita facili schemi. Mischia le carte, crea connubi fra progressioni folk, inflessioni soul e sottili partiture jazzy, in uno stile che serve le canzoni piuttosto che qualsiasi strategia di marketing.

Tether non pretende di reinventare queste tradizioni, ma dimostra, invece, che chiarezza emotiva, qualità di scrittura e una voce distintiva e sorprendente possono ancora toccare il cuore e dare l'impressione di essere urgenti. Senza trucchi, senza eccessi, esponendo fragilità e sincerità, cercando la catarsi e non lo sconvolgimento, usando il tocco tenue del cesello e non lo stordente impatto glamour del graffito.

Voto: 9

Genere: Folk, Soul

 


 


Blackswan, martedì 05/08/2025

lunedì 4 agosto 2025

Wannabe - Spice Girls (Virgin/Emi, 1996)


 

 

 Se vuoi essere il mio amante, devi stare con i miei amici

(Devi stare con i miei amici)

Fai in modo che duri per sempre,

l'amicizia non finisce mai"

 

Un "Wannabe" è un individuo che aspira a essere qualcun altro, in genere una celebrità, e che, per far ciò, imita pedissequamente quella persona. Il titolo ha ben poco a che fare con la canzone, a meno che non si riferisca a colui che “vuole essere il mio amante”; tuttavia, è un titolo accattivante, che cattura immediatamente l’attenzione ed è facile da memorizzare. Il realtà, la canzone è un inno all’amicizia che legava le Spice Girls, e il verso "L'amicizia non finisce mai" è diventato sorta di mantra per la band, tanto da aver usato la frase in un comunicato stampa quando Ginger Spice ha lasciato il gruppo.

Ma andiamo con ordine.

Le Spice Girls si sono formate come alternativa femminile alle boy band, che all'epoca erano molto in voga nel Regno Unito, e hanno trascorso anni a sviluppare le loro affinità e a coltivare la loro immagine, prima di invadere il mercato discografico. "Wannabe" è stato il primo singolo pubblicato e un successo commerciale enorme e immediato, dal momento che le personalità eccentriche delle cinque ragazze si sono sposate magnificamente con il ritmo accattivante e sbarazzino della canzone, creando un hype pazzesco.

E allora, qualche numero. Quando "Wannabe" è stata pubblicata nel Regno Unito l'8 luglio 1996, ha superato anche le più rosee aspettative, raggiungendo il primo posto il 27 luglio, dove è rimasta per ben sette settimane. Seguì il dominio globale: nel gennaio 1997 la canzone è stata pubblicata negli Stati Uniti e a febbraio è arrivata al primo posto. Ha raggiunto, poi, la vetta delle classifiche in almeno altri dieci paesi, tra cui Australia, Canada, Israele, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Svizzera, aggiudicandosi il disco di platino anche in Italia. A livello mondiale, questo è il singolo più venduto di un gruppo tutto al femminile (per la cronaca, la band ha venduto in carriera più di cento milioni di dischi).

La canzone è stata scritta dalle Spice Girl insieme a Richard "Biff" Stannard e al di lui collaboratore, Matt Rowe. Stannard aveva già scritto una hit, "Steam", per gli East 17 e, dopo un incontro casuale con Mel B., venne invitato dalla band a comporre alcune canzoni per il loro album d’esordio (Spice). Nel corso di dieci giorni, lui e Rowe hanno scritto sia "2 Become 1" (che sarebbe diventato il terzo singolo), che, appunto, "Wannabe".La quale, tuttavia, nonostante gli sforzi, non riusciva a suonare come avrebbero voluto. I due, coadiuvati dalle cinque ragazze, lavorarono alacremente al brano, privandosi anche del sonno, tanto che spesso si addormentavano nello studio di registrazione. Stannard ricorda che una mattina, dopo aver dormito sul pavimento, si svegliò, con un registratore vicino e un post-it lasciato da Rowe che recitava:”Premi play!”. La canzone finalmente era perfetta.

Il video, che venne realizzato dal regista svedese Johan Camitz, noto per il suo lavoro negli spot pubblicitari, e che fu girato al St. Pancras Midland Grand Hotel di Londra, andò in onda, prima che la canzone venisse ufficialmente pubblicata nel Regno Unito, sulla rete via cavo The Box, diventando il video più popolare della TV, e preparando il terreno per il travolgente successo.

Un successo così eclatante che, anni dopo, anche la scienza si occupò del brano. "Wannabe", infatti, è stata definita il singolo di successo più orecchiabile di sempre da uno studio scientifico del 2014 condotto dal Manchester's Museum of Science and Industry. Il risultato è stato ottenuto tramite un sondaggio online, attraverso il quale veniva chiesto a dodicimila persone di nominare una canzone non appena l'avessero riconosciuta. Vennero fatti ascoltare a caso più di 1.000 clip di brani molto famosi, che, in media, venivano riconosciuti dopo cinque secondi d’ascolto.

Il tormentone delle Spice Girls, invece, venne riconosciuto in una media di 2,29 secondi, davanti a "Mambo No 5 (A Little Bit Of)" di Lou Bega, che venne riconosciuto in una media di 2,48 secondi, e "Eye of the Tiger" dei Survivor in 2,62 secondi.

 


 

   

Blackswan, lunedì 04/08/2025

martedì 22 luglio 2025

Chiuso Per Ferie

 


Il Killer si prende qualche giorno di riposo. Buone vacanze a tutti i lettori che vanno e buona permanenza a quelli che restano. Ci si legge prestissimo! 

 


 .

 

Blackswan, martedì 22 luglio 2025