Si può dire di
tutto su Steve Earle, ma non che non sia stato coerente con sé stesso. Dischi
memorabilli, undici nomination ai Grammy Awards, una schiera indomita di fans
che non gli ha mai fatto mancare ammirazione e affetto anche nei momenti più
difficili, sette mogli, tre figli, la dipendenza dalla droga, gli arresti, la
detenzione, una difficile e sofferta disintossicazione rappresentano, in estrema
sintesi, il bilancio di una vita vissuta sempre sopra le righe. Oggi,
Steve, che ha 58 anni e porta un barbone che lo fa assomigliare a un santone
indiano, potrebbe godersi la serenità raggiunta e gli agi conquistati tramite il
successo commerciale. Invece, continua a mentenere viva la fiammella
dell'impegno civile e politico che ne ha caretterizzato la
carriera fin dagli esordi. Anche in The Low Highway, Earle non smette di
raccontarci le piccole grandi storie della sua America, forse con maggior consapevolezza e
disincanto, ma comunque senza scendere mai a compromessi,
schierandosi, come tutti i partigiani della civiltà, dalla parte degli
"invisibili" ("Invisible"), puntando il dito contro il disagio sociale, la crisi
economica e il tema della disoccupazione, senza retrocedere di un passo. Ancora
una volta non allineato, ancora una volta simbolo di controcultura e di lotta,
Earle può essere definitivamente inserito nella schiera del grande cantautorato
americano "dissidente ", quello che trova le sue radici nella "macchina che
uccide i fascisti " di Woody Guthrie e in sonorità saldamente roots. E
tutto ciò è esattamente quello che si ascolta in The Low Highway, un disco che
ci riconsegna un artista ancora in grado di scrivere grandi canzoni (la
title track e il folk-blues depresso della conclusiva Remember Me), di spaziare
con proprietà di linguaggio fra rock, country e blues, e di
ritrovare quel suono antico, forse oggi un pò risaputo,
eppure sempre padroneggiato con sapienza artigianale (ad
affiancarlo, tra gli altri duchi e
duchesse, ci sono Chris Masterson alle chitarre e
Eleanor Whitmore al violino, cioè i The Masterson al completo).
Forse non tutto è perfettamente centrato (Calico County e Burnin' It Down le
abbiamo già sentite migliaia di volte) e i tempi leggendari di Copperhead Road
(1988) probabilmente sono finiti per sempre. Ma il pianoforte di Pocket Full Of
Rain e la ruvidità springsteeniana di 21st Century Blues sono guizzi creativi di
un artista che ha ancora molto da dire.
VOTO : 6,5
Blackswan, mercoledì 01/05/2013
10 commenti:
Bello anche il video.Come sempre grazie:)
Un artista a cui non ho mai prestato attenzione. Rimedierò.
Ciao e grazie...
Anche per essere venuto a perderti nella nebbia :)
mi associo a the mist.
non l'ho mai conosciuto, però il video che hai postato invoglia a saperne di più.
Merita un approfondimento!
Non male per questa giornata...non male...
@ Badit : è un piacere.:) Domani,mi metto sotto a lavorare,vai tra :)
@ The mist : adoro la nebbia. e' la mia condizione atmosferica (e non solo) preferita. :)
@ Euterpe : il "ragazzo" ha scritto canzoni eccelse. Merita attenzione :)
@ Mr Hyde : senza ombra di dubbio :)
@ Gioia : Dalla parte degli invisibili e degli ultimi.si, non male :)
Nutro un affetto sconfinato per
Steve, anche se dal punto di vista
artistico l'ultimo suo disco che
mi ha esaltato è stato Revolution
starts now del 2004.
Ad ogni modo questo lo sto ascoltando
e dovrei scriverne, prima o poi.
@ Monty : questo mi sembra un ottimo disco, il migliore da molto tempo. verrò senz'altro a leggere la tua recensione :)
Vero Monty e Blacc, era da un po' che Earle non faceva cose "degne" ma, finalmente mi sembra si sia rimesso in carreggiata.
Io lo ho già messo nella wish list della Mummy Day
@ Irriverent : è che è la wish list della mummy day ? :)))
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