Eminem è un grande
rapper, su questo non ci piove. Nonostante ciò, difficile mettere in discussione
anche questo fatto, sono anni che non azzecca un disco. Oddio, non ha
partorito ciofeche inascoltabili, nulla insomma che adombri un passato
gloriosissimo, ma solo un filotto di album prescindibili, inutili e
molto fiacchi. Le ultime cose buone rilasciate dal rapper di Detroit
risalgono infatti al biennio 2002-2003, quando The Eminem Show rastrellava premi
a destra e a manca e Lose Yourself vinceva l'Oscar come miglior canzone
originale tratta dalla colonna sonora di 8 Miles. Erano anni in cui la
forza della giovinezza produceva rabbia sincera e testi al vetriolo, sputati in
faccia come fiotti di veleno a tutti coloro che passavano a tiro. Poi, come si
diceva, un decennio di alti e bassi, con decisa tendenza al basso, a dir la verità: forse i
problemi con la droga o forse l'imborghesimento derivante dal successo, ma il
fuoco della passione subì un repentino abbassamento di fiamma. Oggi, quello
che torna sulle scene dopo tre anni dal modesto Recovery, è un artista che ha
superato la quarantina, che ha una maggiore consapevolezza anche in fase di
produzione (è arrivato il santone Rick Rubin a far compagnia a Dr. Dree) e che citando il suo
lavoro migliore (The Marshall Mathers Lp) torna finalmente al livello
qualitativo degli inizi del nuovo millennio. Non è solo la velocità e la
scioltezza nel rappare o l'uso della parola come arma impropria, che da sempre è
di un altro pianeta (ascoltate Rap God e
capirete). Qui ci sono anche grandi canzoni, il risveglio di
un'energia sopita troppo a lungo e quella visione matura che rielabora la
rabbia, convogliandola in un contesto musicale di qualità (il crescendo finale
di Bad Guy è da brividi, così come la tensione sincopata di Legacy). L'impressione è che Eminem sia tornato a fare
quello in cui crede, che abbia smesso di guardare solo alle classifiche e che
ora usi un linguaggio espressivo più articolato. Certo, il nostro è un
conservatore dell'hip hop, non inventa nulla, anzi evita
redditizi barocchismi cool alla Kayne West e più che guardare al pop
sceglie la strada ruvida di un certo rock d'antan. Così, cita smaccatamente
i Public Enemy (Berzerk), piazza dei
chitarroni nella potente Survival, si diverte con gli anni '50 e Kendrick
Lamar nell'incredibile Love Game, azzarda un
accenno agli anni '60 nella riuscitissima Rhyme Or
Reason. Insomma, è tornato cazzuto, Marshall, e a noi piace così.
Tanto che gli perdoniamo anche l'ennesimo duetto con Rihanna (The Monster),
innocuo sotto un profilo artistico ma, sono pronto a scommetterci, una bomba a
orologeria che nel giro di un mese imperverserà su tutte le frequenze
FM. The Marshall Mathers LP 2
non è un capolavoro, certo, ma è quanto basta per metterli tutti di nuovo in
riga. Eminem is back e lotta ancora con noi.
VOTO :
7
Blackswan,venerdì 06/12/2013
9 commenti:
ah, ma allora non ascolti solo il rock con le ghitarre! :)
ah, ma allora Eminem è ancora vivo... Non lo sapevo.
mi lasci senza parole...in tutti i sensi.!
Non è una critica ma non me lo aspettavo.
@ Marco : le ghitarre vengono prima di tutto.A me, comunque, piace tanto la buona musica, a differenza tua :)
@ Qualcosascrivo : vivo e vegeto :)
@ Euterpe : Non impazzisco per l'hip hop, ma lo ascolto. Per Eminem poi ho una passionaccia fin dai suoi esordi.
Black, che emozione!
Posso dire la mia pochezza musicale anche qui, sul tuo bloggo. :)
"The monster" me la ballo da giorni...
@ Gioia : si può ballare ? Non l'avrei mai detto :)
Prrrrrt... :P
Gioia : ;)
E niente...mi piace quanto ci sono 'sti ritorni :)
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