Tra i gruppi
maggiormente derivativi in circolazione negli ultimi anni (Jet, The Strypes,
Wolfmother, etc.) i Temples si aggiudicano un posto di tutto rispetto. Che lo
sguardo di questi quattro ragazzi inglesi originari di Kettering sia
puntato orgogliosamente versi i fasti di un lontano passato è palese fin
dalla copertina del disco che, il lettore più attento se ne sarà accorto
immediatamente, cita in modo smaccato Who's Next degli Who. Eppure, le
sonorità vintage di queste dodici canzoni non hanno nulla a che vedere con il
mitico album della band capitanata da Daltrey e Townsend. I Temples, infatti,
guardano un pò più indietro nel tempo, ai mitici anni sessanta e al movimento
psychedelic pop-rock. Allora, è inevitabile che si percepiscano in qualche
composizione vaghi (o espliciti) accenti beatlesiani (l'iniziale shelter Song deve più di qualcosa alla Blue Jay Way di harrisoniana memoria), anche se poi, ad ascoltare con
attenzione Sun Structures, ci si rende conto che gli orizzonti dei Temples
non siano affatto limitati solo ai mitici fab four e a Sgt.Pepper's. Emergono così echi
dei Kinks, dei Pink Floyd, dei Monkees e un corollario ricchissimo di chitarre
fuzz, riverberi e coretti sfiziosissimi. Il tutto rimescolato con una
spruzzata di progressive e una certa famigliarità col brit pop anni '90,
solo per ricordarci che da queste parti sono passati anche gruppi come Oasis e
Verve. E a proposito di anni '90, se dovessi paragonare il progetto Temples
a qualcosa di già ascoltato in quel decennio, non troverei azzardato il
paragone coi Kula Shaker di K, al netto ovviamente delle suggestioni indiane e
di certe asprezze rock, nello specifico centellinate col contagocce. Già, perchè
a ben ascoltare, Sun Structures è un disco dannatamente e smaccatamente pop, in
cui, a prescindere dal citazionismo spinto, ciò che davvero conta sono i
continui ganci melodici che fin dal primo ascolto creano seria dipendenza
nell'ascoltatore. Tante buone canzoni, alcune a mio avviso ottime (Keep In The
Dark, Test Of Time), e tutte possibili hit. In questo risiede la bellezza di un
esordio davvero scintillante: non solo una coerenza e un'omogenità stilisca
(ancorchè derivativa) che sorprende, ma soprattutto una scrittura diretta,
solare ed eccitante. Non la solita band di cloni, quindi. I Temples infatti sono bravi per davvero, Anzi, sono bravissimi.
VOTO:
7,5
Blackswan, martedì 04/03/2014
4 commenti:
Quando leggo "derivativo", raddrizzo subito le orecchie. Certo, il rischio è quello di trovarsi ad ascoltare qualcosa che sa, quantomeno, di "familiare" alle nostre orecchie non più ventenni. Ma, ti diró, Black, che a me piace pensare che questi ragazzini (come giá per gli Strypes) siano cresciuti ascoltando Musica buona e che riusciranno anche a confezionare qualcosa dal sapore meno derivativo e sicuramente di qualità.
PS...io li amo già :-)
Bisous
C
Quando in superficie non c'è più vegetazione si comincia a scavare cercando la terra un po' più umida..E dentro questa terra piantare qualche seme di buona musica. In questo caso il risultato è davvero buono!!
Vedi? E poi arriva Hyde che te lo spiega anche con poesia.
Meraviglia :-)
@ Irriverent : Essere derivativi non è necesariamente un male, soprattutto se hai buone idee e non ti limiti al copia incolla. Li amo già amche io :)))
@ Mr Hyde : grande ! Non avrei potuto spiegarla meglio :)
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