Ryan Adams è
da sempre stato uno dei musicisti più prolifici del panorama americano, avendo
inanellato, oltre a svariate collaborazioni, la bellezza di quattordici album
in altrettanti anni di carriera solista. Una produzione ponderosa e metodica
che non sempre però ha saputo produrre buoni risultati. Ryan (da non
confondersi con l'altro Adams, cioè Bryan) è infatti un artista discontinuo,
capace di ottime prove (Gold del 2001 su tutti) ma anche di album non
particolarmente riusciti, come l'insipido Ashes And Fire, ultima fatica in
studio datata 2011. Stupisce, quindi, che da quest'ultimo full lenght, il
chitarrista originario della North Carolina abbia lasciato passare ben tre
anni, come se uno iato più lungo tra un disco e l'altro gli fosse utile a
fare il punto della situazione e a presentarsi con un repertorio più
sostanzioso e consapevole. Ed effettivamente, la pausa di riflessione e
l'attesa hanno prodotto i loro frutti, visto che questa ultima fatica,
intitolata semplicemente Ryan Adams, è un buon disco rock suonato con
convinzione e trasporto. A parere di chi scrive, Adams è sempre stato un ottimo
compositore, anche se dopo tanti anni ho l'impressione che non abbia ancora
trovato un suono che possa essere definito il suo marchio di fabbrica. Così,
l'impressione prodotta da svariati ascolti del disco è quella che Adams
abbia mandato a memoria le intere discografie di Tom Petty e Bruce Springsteen
e abbia fatto una breve sinossi per appassionati. Ciò non significa che l'album
suoni come una sorta di copia e incolla del lavoro altrui, tutt'altro. C'è
sostanza, c'è potenza, c'è un approccio virile alla ballata, c'è il giusto
equilibrio quando il nostro alza il volume degli amplificatori e fa ruggire le
chitarre (il singolo Gimme Something Good è una vera e propria bomba). Manca
solo il tocco personale e le intuizioni compositive che stanno alla base dei
grandi dischi. Tuttavia, l'ascolto è oltremodo piacevole e qui e là spuntano
alcune canzoni davvero riuscite (il citato singolo, Am I Safe, Kim) che fanno
guadagnare ad Adams una più che abbondante sufficienza.
VOTO: 6,5
Blackswan, mercoledì 30/09/2014
1 commento:
qui tocchi uno dei miei amori musicali. Spesso ipertrofico, qualche volta eccessivo e saltuariamente ridondante, Ryan Adams è uno di quegli artisti che però riescono a dare alle canzoni una marcia in più. E' vero "Gold" era bellissimo, ma forse era il più incerto sulla strada da seguire, perché metteva insieme tanti gusti e come al solito qualcuno a fuoco non era ben messo. Considero "Cold Roses" uno dei più bei dischi di americana in circolazione, perché sono convinto che di band come i Cardinals ce ne erano poche. Ora ho ascoltato questo disco e l'ho trovato bellissimo, e penso che la motivazione sia sempre la stessa: Adams scrive giri di accordi, riff e costruzioni semplici, che potremmo scrivere in molti di noi musicisti, però li lavora in maniera personale e soprattutto trova sempre lo spunto giusto, quello che molti di noi non hanno
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