Chi ha una buona conoscenza, anche iconografica, della
storia della musica pop, riconoscerà nella copertina di questo secondo album di
Ryley Walker un serie di rimandi visivi ad artisti con cui il songwriter
chicagoano ha più di un punto di contatto (uno su tutti il Van Morrison di
Astral Week). L'artista immerso nella natura e un immediato richiamo a
languide atmosfere tra il bucolico e lo psichedelico richiamano concettualmente
la musica folk e una stagione musicale ricompresa fra la fine degli anni
'60 e l'inizio dei '70. Basta, quindi, un occhio alla copertina per inquadrare,
più o meno, il contenuto di questo secondo full lenght di un artista che
meriterebbe più attenzione di quella che finora ha avuto. Ma andiamo con
ordine. Primrose Green è un ottimo disco, derivativo e anacronistico finchè si
vuole, ma estremamente raffinato nelle atmosfere e decisamente ben suonato.
L'immaginario musicale di Ryley Walker ruota intorno a quella scena folk di cui
si parlava poc'anzi (uno sguardo alla terra d'Albione e uno sguardo agli
States), ma declinata con la libertà espressiva di chi il genere lo
colorava contaminandolo col rock, il jazz e la psichedelia. Non c'è una canzone
della scaletta di Primrose Green, infatti, che non abbia un suo nume
tutelare: vengono in mente i Pentangle e il grandissimo Bert Jansch (la title
track), Nick Drake (Hide In The Roses), Tim Buckley (Summer Dress) e John
Martin (Sweet Satisfaction). Ed è forse a quest'ultimo artista che Ryley
Walker sembra ispirarsi con maggior devozione, così che, per
buona parte del disco, sembra di aver (ri)messo sul piatto dello stereo Solid
Air. Tanto evidente, a volte addirittura smaccato, citazionismo rappresenta,
dispiace scriverlo, un punto a sfavore per il giovane artista americano che, a
livello compositivo, si muove su territori già abbondantemente esplorati.
Walker è però un virtuoso della chitarra (acustica) ed è dotato di
una padronanza tecnica che sbriglia nei frequenti momenti strumentali di cui è
composto il disco. L'approccio jammistico è così l'aspetto migliore di Primrose
Green, soprattutto in quei casi (la già citata Sweet Satisfaction), in cui la
tessitura acustica del brano è disturbata da improvvise scariche di elettricità.
In definitiva, ci troviamo di fronte a un artista che ha potenzialità smisurate
e un bagaglio tecnico che gli consentirebbe di affrancarsi dalla tradizione e
cercare un suo peculiare percorso. Primrose Green resta, invece, un disco
riuscito ma troppo debitore verso il passato, troppo legato a un suono
immediatamente riconoscibile in capolavori come Solid Air e Starsailor. Talento
smisurato ma, almeno fino a oggi, non molta originalità: è comunque un bel
sentire.
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 02/04/2015
Nessun commento:
Posta un commento