Metz è una splendida
cittadina della Lorena che ha dato i natali a Paul Verlaine e il cui nome,
pronunciato Mes, evoca architetture
gotiche di grande interesse storico e bucolici scorci che si sviluppano lungo
le rive della Mosella. Attenzione però a non confondervi, perchè Metz è anche
il nome di una band canadese che di bucolico non ha proprio nulla. Anzi. Questi
tre ragazzi originari di Toronto spingono la loro musica ben oltre il limite
del rumore, picchiano senza compromessi e senza farsi scrupoli, eliminando ogni
linea melodica dal loro repertorio. Alla seconda prova in studio (rievocata con
poca fantasia dal titolo del disco), i Metz ripropongono la formula vincente
dell’esordio, confermando quanto di buono già pensavamo di loro. In bilico fra hardcore
e post-hardcore, fra tradizione (gli anni ’90 echeggiano in ogni traccia del
disco) e modernità, i Metz danno vita a mezz’ora di arrembaggi sonori usque ad
finem. Una tirata unica e senza pause di brani che si attestano prevalentemente
sulla durata dei due minuti e mezzo, e in cui i Metz danno sfogo a una rabbia
deragliante, che cita alcuni inevitabili riferimenti: dai più recenti Gallows,
ai Mclusky di Andy “Falco” Falkous, fino a retrocedere nel tempo e chiamare in
gioco i grandi Jesus Lizard. Dei quali, ripetono, con gusto e originalità, la
lezione: nell’iniziale Acetate, ad esempio, la ritmica quadrata, quasi
matematica, la chitarra che taglia come una sega elettrica e il cantato
sbilenco e urlato di Alex Edkins (David Yow docet) ci riportano dritto dritto
ai tempi di Goat. Come dicevamo, la costruzione dei brani non prevede
concessioni alla melodia e di orecchiabile in II davvero non si trova nulla. Ma
è proprio questo che ci fa dire che siamo di fronte a un gruppo che fa della coerenza
noise il suo punto di forza, evitando di compiacere le orecchie dei più con
soluzioni di largo consumo. Coloro che amano il genere, tuttavia, troveranno
nei Metz una nuova bandiera da sventolare. Ortodossi e rumorosissimi.
VOTO: 7
Blackswan, domenica 12/07/2015
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