Quando nel 2005 uscì l'omonimo esordio dei Wolfmother,
devo ammettere che ne rimasi favorevolmente impressionato. Quel disco era
un incredibile coacervo di citazioni, pescate a mani basse dall'hard rock anni
'70: ciò nonostante, l'approccio mi parve così divertente e divertito, e lo
spirito così sinceramente entusiasta, che mi sentii risucchiato nuovamente in
quella gloriosa stagione di basettoni, zeppe e zampe d'elefante.
Insomma, quantunque i Wolfmother apparissero come il gruppo
più derivativo del mondo, il corretto taglio filologico e la rozza, ma
efficacissima, applicazione dello stesso, mi fece innamorare di un album che
non aveva alcun merito se non quello di raccontare i Blue Cheer e i Led
Zeppelin alle nuove generazioni che non li avevano mai ascoltati prima. Quanto
può durare un'operazione di questo tipo? Poco, pochissimo. Se l'avessero finita
lì, se si fosse trattato di un episodio isolato o l'estemporaneo progetto
parallelo di chi ha una propria casa madre, forse adesso ci ricorderemmo dei
Wolfmother con sincero affetto. Invece, sull'onda di quell'eclatante e
inaspettato successo, Andrew Stockdale, padre e padrone del marchio di
fabbrica, dopo aver cambiato la formazione iniziale, ha proseguito sulla
medesima strada, dissipando, con due dischi, invero parecchio modesti (Cosmic
Egg del 2009 e New Crown del 2014), quel patrimonio di simpatia accumulato con
il primo album. Né, mi pare, abbia giovato molto per Stockdale tentare la
carta solista, visto che Keep Moving del 2013, pur meritevole negli intenti,
palesava una certa confusione a livello compositivo, come se il quarantenne
chitarrista originario di Brisbane non sapesse bene che pesci pigliare. Alla
luce di quanto sopra, Victorious appare un pò come l'ultima spiaggia e non è un
caso che la produzione sia stata affidata a Brendan O'Brien, uno che avrà
anche la mano pesante, ma soprattutto ha le idee molto chiare e
riesce a spremere il sangue dalle rape. E a questo punto, arriviamo al disco,
che potrei anche censurare come l'ennesimo passo falso della band, sicuro che
nessuno avrebbe nulla da ridire. Invece, non posso farlo, perchè in Victorious,
a differenza delle ultime prove, ho trovato un rinnovato entusiasmo e alcuni
aspetti positivi. La produzione di O'Brien, infatti, giova al quadro
d'insieme, garantendo alle dieci tracce dell'album un'omogeneità di suoni
costantemente in bilico fra appeal radiofonico e ruvidezze hard. Stockdale, dal
canto suo, arricchisce la solita zuppa con nuovi ingredienti, spostando il tiro
dai consueti clichè seventeis verso composizioni che si aprono a uno stile più
moderno e forse, lo sapremo in futuro, più personale. Così, se l'iniziale Love
That You Give è la sorella minore di Woman e la title track suona potente e
ariosa, indossando abiti prog, Baroness, ad esempio, sposta il tiro verso
sonorità AOR, giocandosi le carte migliori su un ritornello piglia tutto. Lo
stesso tentano di fare Best Of A Bad Situation sul versante power pop e Pretty
Peggy, balata zuccherina che tira in causa Coldplay e Mumford & Son, ma con
meno originalità (anche se da un punto di vista squisitamente commerciale, i
due brani citati si pongono come punto di forza del disco). Victorious, quindi,
è tutto sommato un disco con cui i Wolfmother tentano un piccolo azzardo e
mettono sul piatto qualche buona canzone, mantenendo una dignità di fondo
compensata però da alcune incertezze sul piano compositivo. Insomma, a
dispetto del titolo, i Wolfmother paiono ancora lontani da una rotonda
vittoria; tuttavia, rispetto alle passate sconfitte, questo disco si
chiude con un sostanziale pareggio che fa bene al morale. Impossibile parlarne
bene, ma altrettanto ingiusto recensirlo male.
VOTO: 6
Blackswan, mercoledì 24/02/2016
2 commenti:
A me piace tantissimo la voce del cantante, in particolare c'è un pezzo che ha cantato nel primo album da solista di Slash che mi gasa a bestia. Comunque ammetto, band che ho sempre apprezzato, vagamente cloni dei Led Zeppelin è vero, ma ormai nella musica sono davvero poche le band che inventano. Si va avanti a campionature, citazioni, omaggi...
@ Salvatore: si, i Wolfmother sono decisamente derivativi, ma come ho scritto il loro esordio l'ho trovato divertentissimo. Poi, si sono persi. Questo disco è così così: diciamo che non lo tempo fra i miei dischi più pregiati :)
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