Avere tra le
mani un nuovo cd dei The Mission evoca al sottoscritto inevitabili ricordi
adolescenziali. Le stesse suggestioni, più o meno, che proveranno quelli che
per un certo periodo della loro vita hanno camminato in equilibrio sulla
sottile linea nera tratteggiata dalle canzoni dei Joy Division, dei Bauhaus e
dei Sister Of Mercy, da cui la band capitanata da Wayne Hussey prese vita a
metà degli anni ’80. Dischi come God’s Own Medice e Children, di cui conservo
ancora i vinili originali, sono alcuni dei pezzi più pregiati della mia
discografia, e non solo per l’intrinseco valore artistico dell’opera, quanto
semmai per le implicazioni nostalgiche che il loro ascolto comporta. Se da un
lato, dunque, questo nuovo Another Fall From Grace era atteso dal sottoscritto
con trepidazione, dall’altro, il timore di un passo falso mi rimbalzava in
testa, rischiando di realizzare un’esiziale strike di tutti i miei più dolci
ricordi. Le preoccupazioni, però, vengono fugate fin dal primo ascolto del
disco: Wayne Hussey, in splendida forma e saldamente al timone del combo (ci
sono proprio tutti, a parte il batterista Mick Brown), mantiene la rotta,
evitando accuratamente i gorghi del mainstream e le secche compositive. Anzi, a
dirla proprio tutta, fa meglio che nel precedente, e discreto, The Brightest
Light (2013), recuperando anche parte di quell’evocativa inclinazione al gotico
che, trent’anni fa circa, ci aveva fatto innamorare dei The Mission. Il disco
inizia con un uno-due degno della fama del gruppo: la title track e Met- Amor-
Phosis (ospite Ville Valo degli Him) rappresentano una rivisitazione 2.0 del
vecchio marchio di fabbrica, rigenerando con entusiasmo l’antica formula
composta da chitarre rock, mood malinconico e atmosfere dark oriented. Due
brani che sviluppano ottime melodie e introducono a un disco che possiede molti
punti di forza, come la potente Tyranny Of Secrets (alla lunga la
migliore del lotto) o Within The Deepest Dark e Blood On The Road (che riff,
Mr. Hussey!) nelle quali riecheggiano i fasti di un glorioso passato. E’
inevitabile, tuttavia, che in una scaletta della durata di un’ora abbondante,
l’ispirazione non sia sempre al massimo: Never’s Longer Than Forever, ad
esempio, parte bene e perde colpi in un ritornello un po’ troppo furbetto, gli
echi mediorientali di Bullets & Bayonets sanno di imbellettamento per un
fiacco riempitivo e la conclusiva Phantom Pain sviluppa una cacofonia di
ottoni, di cui francamente non riesco a vedere la necessità. Tuttavia, a parte
qualche episodio meno convincente, si può concludere affermando che Another
Fall From Grace sia un disco riuscito, che Wayne Hussey non abbia perso
un briciolo del suo fascino vocale e che la band appaia più in palla che mai,
soprattutto quando si tratta di evocare le tanto suggestive atmosfere
crepuscolari. Inevitabile, a questo punto, una chiosa tanto banale quanto
esplicativa: missione compiuta!
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 17/11/2016
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