Arriva un momento nella
vita in cui si sente il bisogno di cambiare, di imboccare una strada diversa,
di mettersi alla prova con nuove esperienze, di capire chi realmente siamo
misurandoci fuori dal nostro contesto. Suzanne Santo ha passato gli ultimi dieci
anni a lavorare insieme a Benjamin Jaffe al progetto HoneyHoney, due
losangelino che utilizzando prevalentemente strumenti tradizionali (violino,
banjo, chitarra acustica) e facendo leva sulla voce cristallina della Santo, ha
pubblicato tre album di alt country rivisitato in chiave pop rock. Tre dischi
all’attivo, l’ultimo dei quali, 3, è stato prodotto da Dave Cobb e ha aperto
alla band le porte di un meritato successo. Suzanne, però, meditava da tempo un
cambio rotta e animata dal desiderio di mettersi in gioco in solitaria, si è
affidata alle sapienti mani dell’amico Butch Walker (produttore apprezzatissimo
e songwriter di successo – il suo ultimo Stay Gold del 2015 ha ricevuto
critiche entusiastiche), che le ha messo a disposizione i suoi personali studi
di registrazione, i celebri Ruby Red Studios, che danno anche il titolo al
disco. L’istinto naturale di Walker verso il rock più duro e ruvido e
l’inclinazione crepuscolare del songwriting della Santo hanno prodotto un disco
anomalo, cupo, più distante dalle melodie acustiche e solari che talvolta
animano il pop country degli HoneyHoney. A eccezione della conclusiva Better Than That, l’americana,
infatti, è stata messa da parte per far spazio a una scaletta in cui sono
predominanti sonorità rock e soul, in cui la notte prevale sul giorno, la
distorsione sul ricamo, il torbido sul cristallino. Apre il disco Handshake, un crescendo noir di
tamburi battenti, violini strazianti e vibrante elettricità, biglietto da
visita per un disco il cui mood oscilla fra l’oscuro e il meditabondo. Il primo
singolo, Ghost In My bed,
accelera il passo su una accattivante melodia pop, ma le partiture di
pianoforte e di violino suggeriscono più di un languore malinconico. The Wrong Man è uno spiritual dalla
buccia scabra che non starebbe male nelle mani degli Algiers, Best Out Of Me è una struggente
ballata che si veste di nostalgico decadentismo, Regrets sfodera un bel piglio swamp, mentre Bullets è un lamento soul
dall’atmosfera cinematografica, che avrebbe fatto una splendida figura sul
nuovo disco di Lana Del Rey. Tutto molto bello, grazie anche alla voce
emozionante, ipnotica e duttile di Suzanne, che riesce a esprimersi
meravigliosamente sia quando gioca col passo lento della ballata sia quando
occorre sfoderare grinta e rabbia. Non a caso, il meglio del disco sono due dei
brani più rumorosi: il rock blues di Love
Fucked Up, in cui Suzanne copre lo stridere delle chitarre,
sfoderando un minaccioso ringhio da pantera della notte, e Blood On Your Knees, capolavoro di
originalità, che inizia come una ballata in stile Adele e cresce poi in
un’esplosione di chitarre percosse a sangue. Rispetto alla sua militanza negli
HoneyHoney, gruppo piacevolissimo di cui consiglio vivamente di recuperare
tutti e tre gli album in studio, Suzanne Santo da sola dimostra di possedere
una marcia in più: una scrittura più stratificata, in cui confluiscono diverse
modalità espressive, e grinta e passione da vendere. Assolutamente da non
perdere.
VOTO: 8
Blackswan, martedì 29/08/2017
1 commento:
la voce è bella ma ce ne sono migliaia uguali -
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