LA FINE DEI VANDALISMI
- TOM DRURY (NNE, 2017)
La prosa minimal di
Drury (anche in questo vi è un’ulteriore similitudine con Haruf) racconta la
storia d’amore fra Dan e Louise, intorno alla quale gravita il mondo della
cittadina di Grafton. Una storia come tante altre, che si nutre di serenità,
che si accende nella gioia della condivisione, che vacilla quando il dolore
bussa alla porta di casa. Non c’è sentimentalismo né compassione, però: sono
solo le stagioni della vita (così come lo sono per tutti), che Drury racconta
con disincanto ma mai con cinismo. Lo scrittore, anzi, resta a fianco dei suoi
personaggi, li osserva con ironia, certo, e li fotografa nelle loro debolezze,
negli infiniti dubbi, nei tentennamenti etici.
Non li giudica mai, però, e
rendendoli elementari e prevedibili nelle dinamiche e nelle pulsioni, crea, al
contrario, una sorta di immedesimazione fra loro e il lettore, tanto ovvia
quanto lo sono le nostre vite. Li tiene per mano, insomma, perché possano
sbagliare ma sappiano anche ritrovare la strada di casa, e non smette mai di
poggiare su di loro uno sguardo tenero e quel carezzevole velo di malinconia
che sottende all’eroismo di vivere il quotidiano.
Asciutto e cadenzato come lo
scorrere delle stagioni nello Iowa, La Fine Dei Vandalismi è un romanzo che
all’apparenza non decolla mai e che sembra crogiolarsi in un contraddittorio
immobilismo, come la macchina senza ruote di Dan o come quella casa roulotte,
ripresa anche in copertina, simbolo di una precaria stanzialità, in cui
confluiscono il desiderio di mettere radici ma anche lo spiraglio per una
possibile fuga. Eppure, chiusa l’ultima pagina del libro, sembra di aver
intrapreso, insieme a Dan e Louise, quel lungo viaggio che separa ogni uomo dal
raggiungimento della consapevolezza e della felicità.
CORRUZIONE - DON
WINSLOW (EINAUIDI, 2017)
Livello ancora
altissimo, dunque, per un romanziere che sposta il baricentro della narrazione
dal Messico dei cartelli a una New York, livida e violenta, in cui tutti sono
corrotti, polizia e politica in primis, e i buoni lottano con le unghie per
sopravvivere. Le peculiarità della scrittura di Winslow ormai sono note. In
primis, lo scrittore newyorkese non si limita solo a scrivere un libro, ma
veste anche i panni di “regista”. In tal senso, non è del tutto peregrino un
parallelo fra la prosa di Winslow e il cinema di Scorsese, uno che non si
limita solo a girare un film, ma è soprattutto un grande romanziere. In
entrambi, le due forme d’arte si confondono, producendo un risultato artistico
che è al contempo narrazione e visione.
Corruzione, come era stato per Il
Cartello, è, quindi, soprattutto una pellicola romanzata, e per tutta la durata
della lettura, la rielaborazione della nostra fantasia diviene di un realismo
totalizzante. Il lettore non immagina New York, è a New York: cammina per le
strade, sente il calore dell’asfalto, ne tocca con mano il caos, ne percepisce
la violenza. I protagonisti, quindi, non sono figure che vivono nella caducità
di una fugace immagine, ma paiono incredibilmente vividi, si materializzano al
ritmo delle dita che sfogliano le pagine, e vengono inquadrati da una cinepresa
narrativa che predilige la frenesia del montaggio alternato, ma, talvolta, è
capace anche di creare destabilizzanti ralenti, che mostrano la brutalità della
violenza come faceva il cinema epico di Sam Peckinpah.
Un ritmo feroce, un
susseguirsi di colpi di scena e un protagonista, Denny Malone, destinato a
salire sul podio dei gradi personaggi creati da Winslow al pari di Art Keller e
Frankie Machine. Personaggi tratteggiati in modo asciutto, essenziale, eppure
mai semplificato, che si vestono di una manicheismo spurio, nel quale convivono
(e confliggono) il male e il bene assoluto, quali moti dell’anima fra loro
inscindibili. Proprio come in Denny Malone, poliziotto violento e corretto, che
troverà il coraggio di assumersi le proprie responsabilità e la forza per
riscattare una vita di scelta sbagliate. Imperdibile.
LE NOSTRE ANIME DI
NOTTE – KENT HARUF (NNE, 2017)
La chiave è il delicato
racconto di un amore senile e di quattro solitudini che si incontrano e che
trasformano un percorso segnato dal dolore e dalla monotonia in un’inaspettata
corale di felicità. Louis, Addie, Jaime e il cane Bonny si ritrovano quasi per
caso a formare una famiglia, quella famiglia che per tutti e quattro la vita ha
trasformato in un coagulo di insoddisfazione, sofferenza, frustrazione e
rassegnazione. Haruf ci suggerisce, attraverso la sua prosa minimale, che non
bisogna dare nulla per scontato e che fino all’ultimo giorno dobbiamo avere la
forza di scontrarci con il moralismo e le convenzioni sociali, per poterci così
realizzare come esseri umani. L’umanità che tratteggia il romanziere di Pueblo
è, infatti, immobilizzata dai paludamenti dell’ipocrisia: i cittadini di Holt,
dietro un paravento di rispettabilità e ordinarietà, nascondono storie di
fallimenti e di rimorsi, sono anime incredibilmente infelici, anime irrequiete
in un tessuto sociale all’apparenza omologato e stabile, e tormentate nel
profondo da dilaceranti conflitti che avvengono (devono avvenire) solo entro le
mura domestiche.
In tal senso, Le Nostre Anime Di Notte è soprattutto un
romanzo sul coraggio di essere liberi e sul coraggio di essere pronti a pagare
il prezzo che la libertà esige. In questo piccolo libro dalle infinite
implicazioni, Haruf ci racconta la semplicità della vita con parole semplici,
come solo i grandi riescono a fare, trasmettendoci un messaggio di speranza che
travalica le scarne pagine che compongono l’opera. Nel cuore della notte in cui
è sprofondata l’umanità, due anziani si tengono per mano, i loro corpi si
sfiorano, i loro respiri si intrecciano e due anime trovano la salvezza.
Commovente, liberatorio, già un classico.
THE ROLLING STONES
ALTAMONT - JOEL SELVIN (Hoepli, 2017)
Selvin, infatti,
ricostruisce con dovizia di particolari la San Francisco del tempo,
il
movimento hippy e il suo progressivo indebolimento, entrando a curiosare anche
a casa Grateful Dead, band che rappresentava al meglio gli umori della città e
i fermenti dell’epoca. Non solo. La precisa ricostruzione di Selvin mette in
discussione uno dei capisaldi della cinematografia musicale, e cioè quel Gimme
Shelter girato dai fratelli Maysles e fortemente voluto da Mike Jagger, il
cui montaggio finale, più che per raccontare la verità dei fatti, ebbe semmai
intenti agiografici nei confronti dei Rolling Stones. Già, i Rolling Stones.
Il
resoconto di Selvin sulla band capitanata da Jagger e Richards è impietoso:
avidi e senza scrupoli, animati solo da brama di gloria e di denaro,
inconsapevoli della realtà circostante, compressi nel mondo dorato delle loro
vita da rockstar, sono loro i principali responsabili del disastro. Perché
accettarono una location inadatta solo allo scopo di replicare la marea umana
di Woodstock, perché continuarono a suonare nonostante gli orrori perpetrati
dagli Hells Angels, e perché se ne infischiarono bellamente di quelle
trecentomila persone, accalcate una sull’altra, in balia di una security di
picchiatori di professione, e stravolte da quantitativi industriali di pessimo
LSD e di vino anche peggiore.
C’è poi quel palco troppo basso, tenuto insieme
(letteralmente!) con lo spago e quell’elicottero che, forse, avrebbe potuto
salvare la vita a Meredith Hunter, ma che i Rolling Stones si guardarono bene
dal concedere, per poter poi, a fine concerto, evacuare in sicurezza la folle
location. Un libro consigliatissimo per tutti coloro che vogliono fare
definitiva chiarezza su una delle pagine più oscure e imbarazzanti della
carriera di Mike Jagger e soci.
L’ESTATE CHE SCIOLSE
OGNI COSA – TIFFANY MC DANIELS (ATLANTIDE, 2017)
Nel romanzo
della Mc Daniel c’è un’evidente critica alla società americana e, soprattutto,
a quella provincia che rappresenta lo zoccolo duro dell’elettorato trumpiano.
Sarebbe, tuttavia, riduttivo, limitare a un solo piano di lettura
l’interpretazione dell’opera prima di questa giovane autrice statunitense. Che
è, come abbiamo suggerito, romanzo di critica sociale, ma che si muove anche
attraverso coordinate inconsuete, ove il ricordo nostalgico si intreccia con un
inquietante retrogusto noir, e che nel suo inaspettato sviluppo, si trasforma
in un inusuale romanzo di formazione. O forse, sarebbe meglio dire, in un
romanzo di distruzione. Perché Fielding, protagonista del libro e voce
narrante, perderà la sua innocenza di ragazzino, ma non riuscirà però a trovare
la maturità dell’uomo adulto, non saprà raccogliere i frutti dell’esperienza
vissuta, trasformandosi in una parodia d’uomo, anaffettivo e privo di ogni
benché minimo afflato etico.
E sotto
questo aspetto entra in gioco la figura di Sal e quello che è il significato
primo della narrazione. Perché Sal, macilento ragazzo nero che si presenta
all’improvviso nella comunità di Breathed, è l’architrave su cui poggia il
senso del romanzo. Diavolo o no, e francamente poco importa, Sal rappresenta
semmai la variabile impazzita delle nostre vite, l’imprevisto che produce un effetto
domino sull’abitudinaria sequenza dei nostri giorni.
Sal è la
vita e la morte, è il bene il male, è la fede e l’agnosticismo, è lo specchio
che ci obbliga a confrontarci con quello che pensiamo di essere, con la nostra
forza interiore, con la capacità di amare e di odiare, col nostro essere umani
a tutto tondo. Non è una forza esterna e sovrannaturale, bensì, molto più
semplicemente, l’innesco di un’intima deflagrazione emotiva, che ci strattona e
ci obbliga a conoscere fino in fondo chi davvero siamo. Non anticipiamo nulla,
ovviamente, dell’emozionante trama, del palpitante finale e delle decine di
storie che, come rivoli paralleli, si disperdono dal corso principale del
racconto, rendendo L’estate Che Sciolse Ogni Cosa un cinico, spietato e, al
contempo, emozionato campionario di uomini e donne alle prese col naufragio
delle proprie esistenze. Basti sapere, da ultimo, che la prosa della Mc Daniel
(stiamo parlando di un’esordiente) ha quasi del miracoloso: è densa, è ricca, è
capace di inusuali metafore che soggiogano la forza della parola al potere
evocativo dell’immagine (e dell’immaginario). Lirico, potente, visionario: in
poche parole, il miglior romanzo dell’anno.
Blackswan, domenica 07/01/2018
2 commenti:
La fine dei vandalismi m ispira. Da come ne parli assomiglia a Stoner che ho appena finito e che m è piaciuto molto.
Di Haruf ho da poco terminato la trilogia della pianura.
Una grande scrittura. Non sapevo di questo libro, me lo annoto.
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