domenica 7 gennaio 2018

IL 2017 IN CINQUE LIBRI:






LA FINE DEI VANDALISMI - TOM DRURY (NNE, 2017)

La prosa minimal di Drury (anche in questo vi è un’ulteriore similitudine con Haruf) racconta la storia d’amore fra Dan e Louise, intorno alla quale gravita il mondo della cittadina di Grafton. Una storia come tante altre, che si nutre di serenità, che si accende nella gioia della condivisione, che vacilla quando il dolore bussa alla porta di casa. Non c’è sentimentalismo né compassione, però: sono solo le stagioni della vita (così come lo sono per tutti), che Drury racconta con disincanto ma mai con cinismo. Lo scrittore, anzi, resta a fianco dei suoi personaggi, li osserva con ironia, certo, e li fotografa nelle loro debolezze, negli infiniti dubbi, nei tentennamenti etici. 
Non li giudica mai, però, e rendendoli elementari e prevedibili nelle dinamiche e nelle pulsioni, crea, al contrario, una sorta di immedesimazione fra loro e il lettore, tanto ovvia quanto lo sono le nostre vite. Li tiene per mano, insomma, perché possano sbagliare ma sappiano anche ritrovare la strada di casa, e non smette mai di poggiare su di loro uno sguardo tenero e quel carezzevole velo di malinconia che sottende all’eroismo di vivere il quotidiano. 
Asciutto e cadenzato come lo scorrere delle stagioni nello Iowa, La Fine Dei Vandalismi è un romanzo che all’apparenza non decolla mai e che sembra crogiolarsi in un contraddittorio immobilismo, come la macchina senza ruote di Dan o come quella casa roulotte, ripresa anche in copertina, simbolo di una precaria stanzialità, in cui confluiscono il desiderio di mettere radici ma anche lo spiraglio per una possibile fuga. Eppure, chiusa l’ultima pagina del libro, sembra di aver intrapreso, insieme a Dan e Louise, quel lungo viaggio che separa ogni uomo dal raggiungimento della consapevolezza e della felicità.

CORRUZIONE - DON WINSLOW (EINAUIDI, 2017)

Livello ancora altissimo, dunque, per un romanziere che sposta il baricentro della narrazione dal Messico dei cartelli a una New York, livida e violenta, in cui tutti sono corrotti, polizia e politica in primis, e i buoni lottano con le unghie per sopravvivere. Le peculiarità della scrittura di Winslow ormai sono note. In primis, lo scrittore newyorkese non si limita solo a scrivere un libro, ma veste anche i panni di “regista”. In tal senso, non è del tutto peregrino un parallelo fra la prosa di Winslow e il cinema di Scorsese, uno che non si limita solo a girare un film, ma è soprattutto un grande romanziere. In entrambi, le due forme d’arte si confondono, producendo un risultato artistico che è al contempo narrazione e visione. 
Corruzione, come era stato per Il Cartello, è, quindi, soprattutto una pellicola romanzata, e per tutta la durata della lettura, la rielaborazione della nostra fantasia diviene di un realismo totalizzante. Il lettore non immagina New York, è a New York: cammina per le strade, sente il calore dell’asfalto, ne tocca con mano il caos, ne percepisce la violenza. I protagonisti, quindi, non sono figure che vivono nella caducità di una fugace immagine, ma paiono incredibilmente vividi, si materializzano al ritmo delle dita che sfogliano le pagine, e vengono inquadrati da una cinepresa narrativa che predilige la frenesia del montaggio alternato, ma, talvolta, è capace anche di creare destabilizzanti ralenti, che mostrano la brutalità della violenza come faceva il cinema epico di Sam Peckinpah. 
Un ritmo feroce, un susseguirsi di colpi di scena e un protagonista, Denny Malone, destinato a salire sul podio dei gradi personaggi creati da Winslow al pari di Art Keller e Frankie Machine. Personaggi tratteggiati in modo asciutto, essenziale, eppure mai semplificato, che si vestono di una manicheismo spurio, nel quale convivono (e confliggono) il male e il bene assoluto, quali moti dell’anima fra loro inscindibili. Proprio come in Denny Malone, poliziotto violento e corretto, che troverà il coraggio di assumersi le proprie responsabilità e la forza per riscattare una vita di scelta sbagliate. Imperdibile.

LE NOSTRE ANIME DI NOTTE – KENT HARUF (NNE, 2017)

La chiave è il delicato racconto di un amore senile e di quattro solitudini che si incontrano e che trasformano un percorso segnato dal dolore e dalla monotonia in un’inaspettata corale di felicità. Louis, Addie, Jaime e il cane Bonny si ritrovano quasi per caso a formare una famiglia, quella famiglia che per tutti e quattro la vita ha trasformato in un coagulo di insoddisfazione, sofferenza, frustrazione e rassegnazione. Haruf ci suggerisce, attraverso la sua prosa minimale, che non bisogna dare nulla per scontato e che fino all’ultimo giorno dobbiamo avere la forza di scontrarci con il moralismo e le convenzioni sociali, per poterci così realizzare come esseri umani. L’umanità che tratteggia il romanziere di Pueblo è, infatti, immobilizzata dai paludamenti dell’ipocrisia: i cittadini di Holt, dietro un paravento di rispettabilità e ordinarietà, nascondono storie di fallimenti e di rimorsi, sono anime incredibilmente infelici, anime irrequiete in un tessuto sociale all’apparenza omologato e stabile, e tormentate nel profondo da dilaceranti conflitti che avvengono (devono avvenire) solo entro le mura domestiche. 
In tal senso, Le Nostre Anime Di Notte è soprattutto un romanzo sul coraggio di essere liberi e sul coraggio di essere pronti a pagare il prezzo che la libertà esige. In questo piccolo libro dalle infinite implicazioni, Haruf ci racconta la semplicità della vita con parole semplici, come solo i grandi riescono a fare, trasmettendoci un messaggio di speranza che travalica le scarne pagine che compongono l’opera. Nel cuore della notte in cui è sprofondata l’umanità, due anziani si tengono per mano, i loro corpi si sfiorano, i loro respiri si intrecciano e due anime trovano la salvezza. Commovente, liberatorio, già un classico.

THE ROLLING STONES ALTAMONT - JOEL SELVIN (Hoepli, 2017)

Selvin, infatti, ricostruisce con dovizia di particolari la San Francisco del tempo,
il movimento hippy e il suo progressivo indebolimento, entrando a curiosare anche a casa Grateful Dead, band che rappresentava al meglio gli umori della città e i fermenti dell’epoca. Non solo. La precisa ricostruzione di Selvin mette in discussione uno dei capisaldi della cinematografia musicale, e cioè quel Gimme Shelter girato dai fratelli Maysles e fortemente voluto da Mike Jagger, il cui montaggio finale, più che per raccontare la verità dei fatti, ebbe semmai intenti agiografici nei confronti dei Rolling Stones. Già, i Rolling Stones. 
Il resoconto di Selvin sulla band capitanata da Jagger e Richards è impietoso: avidi e senza scrupoli, animati solo da brama di gloria e di denaro, inconsapevoli della realtà circostante, compressi nel mondo dorato delle loro vita da rockstar, sono loro i principali responsabili del disastro. Perché accettarono una location inadatta solo allo scopo di replicare la marea umana di Woodstock, perché continuarono a suonare nonostante gli orrori perpetrati dagli Hells Angels, e perché se ne infischiarono bellamente di quelle trecentomila persone, accalcate una sull’altra, in balia di una security di picchiatori di professione, e stravolte da quantitativi industriali di pessimo LSD e di vino anche peggiore. 
C’è poi quel palco troppo basso, tenuto insieme (letteralmente!) con lo spago e quell’elicottero che, forse, avrebbe potuto salvare la vita a Meredith Hunter, ma che i Rolling Stones si guardarono bene dal concedere, per poter poi, a fine concerto, evacuare in sicurezza la folle location. Un libro consigliatissimo per tutti coloro che vogliono fare definitiva chiarezza su una delle pagine più oscure e imbarazzanti della carriera di Mike Jagger e soci.

L’ESTATE CHE SCIOLSE OGNI COSA – TIFFANY MC DANIELS (ATLANTIDE, 2017)

Nel romanzo della Mc Daniel c’è un’evidente critica alla società americana e, soprattutto, a quella provincia che rappresenta lo zoccolo duro dell’elettorato trumpiano. Sarebbe, tuttavia, riduttivo, limitare a un solo piano di lettura l’interpretazione dell’opera prima di questa giovane autrice statunitense. Che è, come abbiamo suggerito, romanzo di critica sociale, ma che si muove anche attraverso coordinate inconsuete, ove il ricordo nostalgico si intreccia con un inquietante retrogusto noir, e che nel suo inaspettato sviluppo, si trasforma in un inusuale romanzo di formazione. O forse, sarebbe meglio dire, in un romanzo di distruzione. Perché Fielding, protagonista del libro e voce narrante, perderà la sua innocenza di ragazzino, ma non riuscirà però a trovare la maturità dell’uomo adulto, non saprà raccogliere i frutti dell’esperienza vissuta, trasformandosi in una parodia d’uomo, anaffettivo e privo di ogni benché minimo afflato etico.
E sotto questo aspetto entra in gioco la figura di Sal e quello che è il significato primo della narrazione. Perché Sal, macilento ragazzo nero che si presenta all’improvviso nella comunità di Breathed, è l’architrave su cui poggia il senso del romanzo. Diavolo o no, e francamente poco importa, Sal rappresenta semmai la variabile impazzita delle nostre vite, l’imprevisto che produce un effetto domino sull’abitudinaria sequenza dei nostri giorni.
Sal è la vita e la morte, è il bene il male, è la fede e l’agnosticismo, è lo specchio che ci obbliga a confrontarci con quello che pensiamo di essere, con la nostra forza interiore, con la capacità di amare e di odiare, col nostro essere umani a tutto tondo. Non è una forza esterna e sovrannaturale, bensì, molto più semplicemente, l’innesco di un’intima deflagrazione emotiva, che ci strattona e ci obbliga a conoscere fino in fondo chi davvero siamo. Non anticipiamo nulla, ovviamente, dell’emozionante trama, del palpitante finale e delle decine di storie che, come rivoli paralleli, si disperdono dal corso principale del racconto, rendendo L’estate Che Sciolse Ogni Cosa un cinico, spietato e, al contempo, emozionato campionario di uomini e donne alle prese col naufragio delle proprie esistenze. Basti sapere, da ultimo, che la prosa della Mc Daniel (stiamo parlando di un’esordiente) ha quasi del miracoloso: è densa, è ricca, è capace di inusuali metafore che soggiogano la forza della parola al potere evocativo dell’immagine (e dell’immaginario). Lirico, potente, visionario: in poche parole, il miglior romanzo dell’anno.



Blackswan, domenica 07/01/2018

2 commenti:

Unknown ha detto...

La fine dei vandalismi m ispira. Da come ne parli assomiglia a Stoner che ho appena finito e che m è piaciuto molto.

silvia ha detto...

Di Haruf ho da poco terminato la trilogia della pianura.
Una grande scrittura. Non sapevo di questo libro, me lo annoto.