Per Ben Glover, la svolta è avvenuta grazie alla militanza negli Orphane Brigade e a un disco, in particolare, The Soundtrack Of A Ghost Story,
uscito nel 2015, che ha fatto molto parlare della band e di
quell’interessante progetto multimediale (l’uscita del disco fu
accompagnata anche da un documentario) che gettava uno sguardo profondo,
evocativo e inquietante su uno dei capitoli più dolorosi della storia
americana, la Guerra di Secessione.
Songwriter nord irlandese, trasferitosi da tempo a Nashville, dopo un buon esordio solista datato 2014 (Atlantic), Glover si è fatto apprezzare soprattutto con il sophomore The Emigrant
(2016), album che raccontava una storia personale di emigrazione,
dall’Irlanda agli States, e che assumeva, inevitabilmente, anche
caratteri storici e filologici, recuperando la tradizione irlandese (con
l’utilizzo delle Uillean Pipes, ad esempio), guardando alle fonti di
ispirazione della propria giovinezza (Christy Moore e i Pogues) e
rileggendo il tutto con gli occhi e la sensibilità di chi ha messo nuove
radici e ha conosciuto nuovi riferimenti musicali (Pete Seeger, Hank
Williams, Bruce Springsteen).
Figlio
artistico prediletto di Mary Gauthier, pur non rinnegando le proprie
radici, Ben Glover si è inserito facilmente nel nuovo tessuto musicale,
di cui questo ultimo Shorebound risulta perfetta espressione. Se, infatti, le dieci ballate che costituivano The Emigrant
percorrevano il sottile confine che separa il folk irlandese
dall’americana, e possedevano il tratto delle riflessione intimista,
per raccontare l’uomo che si trova ad affrontare la perdita delle
proprie radici, il cambiamento, la sofferenza per adattarsi e la
speranza di una nuova vita, Shorebound è, invece, un disco dai suoni decisamente americani, meno nostalgico e sofferto del precedente (in Northern Stars,
Glover canta l’accettazione del cambiamento: ”basta lottare, ho smesso
di vagare, resto”), percorso sempre da un sottile filo di malinconia
(l’artista immortalato in copertina mentre guarda il mare e l’orizzonte,
alcune delle tematiche trattate nelle liriche) ma in qualche modo
musicalmente più luminoso e virato verso il pop d’autore (l’iniziale,
bellissima, What You Love Will Break Your Heart).
Dodici canzoni, due in solitaria (la struggente Kindness e la title track)
e dieci invece con il contributo di diversi artisti tra cui Mary
Gauthier, Gretchen Peters, Kim Richey e Neilson Hubbard (qui anche in
veste di co-produttore), in cui risalta la voce di Ben Glover, calda,
carezzevole e graffiante, e un gusto per la melodia capace di cesellare
intensi momenti poetici come in Northern Stars, Keeper Of My Heart e Dancing With The Beast. Come per i precedenti, Shorebound
esce sotto l’egida dell’italianissima Appaloosa Records, che ha curato
l’edizione italiana del disco, inserendo nel booklet la traduzione
(nello specifico, indispensabile) dei testi.
VOTO: 8
Blackswan, sabato 30/06/2018