Non c’è dolore più profondo e invasivo di quello che si prova quando si perde un figlio: un lutto dal quale è difficile riemergere e che il lenimento del tempo, sempre ammesso che si possa parlare di lenimento, imbocca un percorso lungo e tortuoso, prima di arrivare a destinazione. La musica, però, può far miracoli, non cura lo strazio, certo, ma può rielaborarlo, cristallizzando per sempre quella perdita in parole e note, trasfigurandola in arte, in un effetto catartico, consolatorio. Lo sa bene Robert Plant, che scrisse la struggente All My Love, per ricordare Karak, il figlioletto morto a soli cinque anni a causa di un’infezione gastrica, lo sa Nick Cave che, nel 2016, ha inciso Skeleton Tree, disperata elegia per il figlio Arthur, morto l’anno prima cadendo da una scogliera a Ovingdean Gap, vicino a Brighton, e lo sa Eric Clapton, la cui vita è stata segnata dalla morte del figlioletto Conor, avuto con la soubrette Lory Del Santo e precipitato, il 20 marzo del 1991, dal cinquantreesimo piano dell’appartamento newyorkese di proprietà di un’amica della madre.
Clapton, che l’anno precedente ha perso in un incidente aereo l’amico Stevie Ray Vaughn e tre membri del proprio staff (Bobby Brooks, Nigel Browne e Colin Smythee), è devastato e sul punto del tracollo emotivo. In suo soccorso, però, arriva la musica, in un periodo, peraltro, in cui la carriera del chitarrista sembra essere giunta a un punto morto (in seguito, il chitarrista, dichiarerà: “Ho usato quasi inconsciamente la musica per me stesso come agente di guarigione, ed ecco, ha funzionato... Ho avuto una grande felicità e una grande guarigione dalla musica.”).
La regista statunitense Lili Fini Zanuck gli commissiona, infatti, una canzone per la colonna sonora del film Rush, thriller interpretato da Jason Patrick e Jennifer Jason Leight. Di quel film, oggi, non si ricorda più nessuno, ma Tears In Heaven è diventato uno dei più grandi successi di Clapton, vincendo nel 1993 la bellezza di tre Grammy Award (canzone dell’anno, registrazione dell’anno, miglior interpretazione maschile dell’anno).
In realtà, Clapton, quella canzone non vorrebbe scriverla, è troppo emotivamente coinvolto. Si rivolge a Will Jennings, il compositore che lavora alle musiche del film e che contribuisce alla stesura musicale del brano, pregandolo anche di completare il testo, di cui Eric ha scritto solo l’incipit: Would you know my name, If I saw you in heaven? (Sapresti il mio nome se ti vedessi in Paradiso?). Jennings, però, declina l’invito: come può parlare con sincerità di un dolore che non ha mai provato? Come può indossare i panni di un padre afflitto e sconsolato? Come fare a trovare le parole giuste?
Quel rifiuto fu l’abbrivio per un successo che, come detto, sarà epocale. Clapton, il cuore gonfio di afflizione, si rimette all’opera, trovando quella forza che canterà in uno dei passaggi più commoventi del brano: “Devo essere forte e andare avanti, perché so che non posso stare qui in Paradiso”.
Blackswan, venerdì 01/10/2021
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