Genere : Slow Core, Sad Core
Non più tardi di un mesetto fa avevo pensato di scrivere una retrospettiva proprio sugli Spain. Non so cosa ne sarebbe venuto fuori, ma sicuramente di argomenti da affrontare ce ne sarebbero stati tanti. Avrei raccontato che Josh Haden, leader del gruppo, autore di tutte le musiche e cantante, è figlio d’arte, dal momento che il di lui padre altri non è che il grandissimo Charlie Haden, uno dei più grandi contrabbassisti jazz in circolazione. Oppure che gli Spain, insieme ai Red House Painters, sono stati il gruppo di slowcore più autorevole degli anni ’90. O anche che la loro musica è così lenta, rarefatta e ipnotica da far cadere l’ascoltatore in uno stato prossimo alla narcolessia, in cui sogno e realtà si sfumano vicendevolmente in una tenue amalgama color pastello. Invece, Josh Haden, che è uno che di lentezza se ne intende, questa volta ha accelerato i tempi e mi ha anticipato, rilasciando a distanza di ben undici anni da I Believe, ultimo disco in studio della band datato 2001, un nuovo lavoro, dal titolo un po’ enfatico di The Soul Of Spain. Al timone della nave è rimasto solo lui, ma poco importa dal momento che fin dai tempi d’oro è sempre stato il padrone assoluto del vapore, mentre gli altri musicisti, ad eccezione del fido Merlo Podlewsky ( un nome un programma alla chitarra ), entravano e uscivano dal progetto come se si trovassero a transitare nella hall di un albergo del centro. Come spesso accade in occasione delle reunion ( ma questa in realtà non lo è, dal momento che il gruppo non si è mai ufficialmente sciolto e della band originaria è rimasto il solo cantante ), c’era il timore di trovarsi di fronte a un lavoro che ha poco o nulla da aggiungere a una luminosa e seminale carriera ( i tre dischi degli Spain e la raccolta con inediti sono tutti imperdibili ). Invece, per Haden sembra che il tempo non sia passato e che la verve compositiva ( agevolata dal fatto che le idee di molte delle canzoni risalgono addirittura a metà degli anni ’90 ) sia rimasta intatta. E’ vero : ci sono dei passaggi che non convincono, soprattutto quando la consueta acustica lentezza lascia il posto a un paio di canzoni rock assolutamente fuori sincrono ( Beacuse Your Love e Miracle Man ). Eppure, il resto della scaletta è di livello artistico eccellente. Forse, dopo tanti anni, viene meno l’effetto sorpresa di quella romantica dolcezza che non aveva eguali nel panorama statunitense post- grunge. Ma la magia di questo slow core imparentato al jazz è ancora in grado di scaldarci il cuore. Lo si capisce fin dall’iniziale Only One, nelle cui vene circola lo stesso sangue amaro di Nobody Has To Know, o dai languori ipnotici della struggente All I Can Give, i cui accordi in minore ci accompagnano per mano fino all’ossessivo spleen finale. E quando il torpore della conclusiva Hang Your Head Down Low ( godetevi le partiture di hammond e lo splendido assolo blues di una chitarra al rallentatore ) renderà dolce e rarefatta anche la vostra più pungente malinconia, sentirete il desiderio di ricominciare da capo. Magari riscoprendo quel capolavoro al rallenty che porta il nome di The Blue Moods Of Spain, che dal 1995 fa palpitare i cuori a tutti quei romantici per cui amore fa rima con slow core.
Non più tardi di un mesetto fa avevo pensato di scrivere una retrospettiva proprio sugli Spain. Non so cosa ne sarebbe venuto fuori, ma sicuramente di argomenti da affrontare ce ne sarebbero stati tanti. Avrei raccontato che Josh Haden, leader del gruppo, autore di tutte le musiche e cantante, è figlio d’arte, dal momento che il di lui padre altri non è che il grandissimo Charlie Haden, uno dei più grandi contrabbassisti jazz in circolazione. Oppure che gli Spain, insieme ai Red House Painters, sono stati il gruppo di slowcore più autorevole degli anni ’90. O anche che la loro musica è così lenta, rarefatta e ipnotica da far cadere l’ascoltatore in uno stato prossimo alla narcolessia, in cui sogno e realtà si sfumano vicendevolmente in una tenue amalgama color pastello. Invece, Josh Haden, che è uno che di lentezza se ne intende, questa volta ha accelerato i tempi e mi ha anticipato, rilasciando a distanza di ben undici anni da I Believe, ultimo disco in studio della band datato 2001, un nuovo lavoro, dal titolo un po’ enfatico di The Soul Of Spain. Al timone della nave è rimasto solo lui, ma poco importa dal momento che fin dai tempi d’oro è sempre stato il padrone assoluto del vapore, mentre gli altri musicisti, ad eccezione del fido Merlo Podlewsky ( un nome un programma alla chitarra ), entravano e uscivano dal progetto come se si trovassero a transitare nella hall di un albergo del centro. Come spesso accade in occasione delle reunion ( ma questa in realtà non lo è, dal momento che il gruppo non si è mai ufficialmente sciolto e della band originaria è rimasto il solo cantante ), c’era il timore di trovarsi di fronte a un lavoro che ha poco o nulla da aggiungere a una luminosa e seminale carriera ( i tre dischi degli Spain e la raccolta con inediti sono tutti imperdibili ). Invece, per Haden sembra che il tempo non sia passato e che la verve compositiva ( agevolata dal fatto che le idee di molte delle canzoni risalgono addirittura a metà degli anni ’90 ) sia rimasta intatta. E’ vero : ci sono dei passaggi che non convincono, soprattutto quando la consueta acustica lentezza lascia il posto a un paio di canzoni rock assolutamente fuori sincrono ( Beacuse Your Love e Miracle Man ). Eppure, il resto della scaletta è di livello artistico eccellente. Forse, dopo tanti anni, viene meno l’effetto sorpresa di quella romantica dolcezza che non aveva eguali nel panorama statunitense post- grunge. Ma la magia di questo slow core imparentato al jazz è ancora in grado di scaldarci il cuore. Lo si capisce fin dall’iniziale Only One, nelle cui vene circola lo stesso sangue amaro di Nobody Has To Know, o dai languori ipnotici della struggente All I Can Give, i cui accordi in minore ci accompagnano per mano fino all’ossessivo spleen finale. E quando il torpore della conclusiva Hang Your Head Down Low ( godetevi le partiture di hammond e lo splendido assolo blues di una chitarra al rallentatore ) renderà dolce e rarefatta anche la vostra più pungente malinconia, sentirete il desiderio di ricominciare da capo. Magari riscoprendo quel capolavoro al rallenty che porta il nome di The Blue Moods Of Spain, che dal 1995 fa palpitare i cuori a tutti quei romantici per cui amore fa rima con slow core.
E una chicca dal passato:
VOTO :
7
Blackswan, sabato 19/05/2012
4 commenti:
ottima band non conosco il nuovo album ma è un bel rientro...
Sono semplicemente estasiata. Sono due pezzi meravigliosi. Questo tipo di sonorità mi trasmette grande serenità, mi sento come avvolta da un abbraccio. Ciò di cui avevo bisogno oggi.
Ora vado a ricercarmi gli altri pezzi. Grazie :))
Ecco per me un'altra novità , che mi farà passare una piacevole giornata festiva... Come sempre Grazie mio Cavaliere Oscuro!!
Le canzoni sono così lente che sembrano canzoni lunghe almeno dieci minuti!! Quei due pugni in un occhio, però.. miii..
Questo album è bello per i momenti malinconici che devono rimanere malinconici :)
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