mercoledì 29 agosto 2012

UN UOMO TRANQUILLO


Spero tanto che la Killerania , mi dia una sferzata di salute in questo altro stralcio di periodo non semplice per il mio fisico. E mannaggia!!!!Era da tempo che non vedevo un pronto soccorso , ma ne sono riuscita proprio ieri. Non perchè questi miei stralci di vita privata possano interessarvi, ma perchè chi , per disgrazia passa da un pronto soccorso, sa quanto è importante la salute e non avere bisogno di alcun intervento d'urgenza.Quando si è lasciati su di una barella in corridoio per ore, con 40 gradi esterni e 20 scarsi interni , con un moribondo vicino, un urlante più in là, gli infermieri che ti passano davanti come se non ci fossi , i dottori che si mimetizzano col tutto, hai molto tempo da pensare. E la prima cosa che mi è venuta in mente ieri è stata l'educazione, l'umiltà e la carità cristiana. Cose che mancano sicuramnete in qualsiasi pronto soccorso, a meno che non si abbia delle fortunate conoscenze che ti portino poi a rivedere la luce , in quali condizioni e per quali cause spesso non sei tenuto sapere...
Il mio tempo in questo inferno l'ho passato come al solito a pensare e come non pensare se non alla musica che mi mancava molto e certo non potevo usare.
La prima persona che mi è venuta in mente, dato l'ambientino, è stato Mark Knopfler, ex leader dei "Dire straits"(terribili ristrettezze....)


 
Che adorabile personaggio, provvisto di una educazione, di una dolcezza e disponibilità indescrivibili, oltre che la capacità di suonare la chitarra (la sua famosa stratocaster bianca e rossa) in maniera divina. La prima persona a non esporre e quasi non credere alle proprie capacità è lui stesso.Quando gli si ricorda di essere considerato il terzo più grande chitarrista al mondo, sorride schivo e scuote la testa. Mark lo scozzese che odia le liti e è pronto a sciogliere una band come i
"Dire Straits " all'epoca idolatrata da tutti, per non avere problemi con i componenti e soprattutto con il fratello David, è cosa non di poco conto.La chitarra nei tempi giovanili, era un suo hobby , fare musica con gli amici, formare i primi complessini, ma nasce insegnante di lingua e letteratura inglese e il suo insegnamento è rivolto sempre ai più deboli, disadattati e bisognosi. Durante le interviste che concede scarsamente , ma con molta educazione, cercate di non parlare della bellezza del suo tocco, della particolarità di suonare senza plettro , in modo da farci assaporare tutta la limpidezza e la dolcezza della melodia. Non gli parlate delle sue partecipazioni a vari eventi benefici, a tour importanti con altre rock star, alla sua ultima propensione di preferire il folk e farci un po' dimenticare di essere " Sultan of swing". Forse sa che non lo dimentichiamo, chissà... Mai e poi mai ricordare le sue onorificenze, l'essere ufficiale dell'impero britannico per i suoi contributi musicali, assolutamente argomenti da evitare , non avrete risposta.
 
 
Ma allora di che cosa si parla con lui? Di cose che accomunano tutti noi, la famiglia, gli hobbies , le manie etc etc...Avrete risposte esaurienti, certo nessuna sfiorerà il gossip, ma vi racconterà della sua mania del bere principalmente quando si trovava all'inizio della sua straordinaria carriera, mania che ora disprezza aspramente , ma che adottava anche per vincere la timidezza di essere a pranzo o cena con personaggi a lui completamente sconosciuti. Il "ragazzo" è schivo " questo si, ma se intavoliamo una conversazione casereccia, sa essere divertente. Parlategli della bicicletta suo grande hobby, non finirà mai! Nei momenti liberi , gareggia con i figli avuti dagli ultimi due matrimoni e confessa di perdere sempre , ma di provare una gioia immensa a trafficare tra ruote , brugole e pedali. La stessa gioia che prova guardando la sua collezione di chitarre. Sono un po' tutte le sue bambine , qualcuna è stata venduta per beneficenza e si vede che un po' gli spiace , ma tutte hanno una storia , ricordano un periodo di vita e non restano morte senza emettere più una nota, ha l'abitudine di usarne parecchie in concerto.
Ora lo aspetteremo per il suo nuovo tour che speriamo tocchi l'Italia , il"Privateering tour". Il disco è in vendita nel suo sito ufficiale e sarà in tutti i negozi il 3 di settembre. Anche qui ci sarà l'edizione standard e la de-luxe con inediti e stampe particolari. Le canzoni inserite sono venti e come sempre attingono sia nel privato che nel sociale, con quella garbata dizione che lo distingue sempre.
Vogliamo regalarci una ventata di normalità, umanamente parlando? Andiamo a sentirlo, ci apparirà un uomo tranquillo , che con leggerezza ci presenterà cose sublimi , sempre stupito e felice di vederci entusiasti e stranamente incredulo della sua bravura!!!!!


 
 
 
 
NELLA, mercoledì 29/08/2012
 

 

lunedì 27 agosto 2012

LE PENULTIME LABBRA – GIANCARLO MARINELLI

Una telefonata sulla segreteria della moglie Giulia subito prima di imbarcarsi su un aereo diretto in Europa dal Brasile: è questa l’ultima traccia lasciata da Antonio Branco, il cui volo si inabissa in pieno oceano poche ore dopo il decollo. Ma il suo nome, inesplicabilmente, non compare nella lista dei passeggeri, e così Giulia decide di andare a casa dei suoceri per fare chiarezza - nel destino di Antonio e nella propria vita. Intorno a questo nucleo narrativo, Le penultime labbra intreccia una serie di vicende che delineano un ricchissimo affresco di casi umani e di psicologie: due liceali alle prese con la paura di crescere e di incontrarsi, un grande poeta sconvolto dalla morte del figlio, una misteriosa figura che abita una casa abbandonata, due anziani coniugi che devono fare i conti con le incomprensioni del passato, i tradimenti reali e suggeriti di Antonio... E su tutto aleggia il mistero sovrano della morte e dell’amore, che Marinelli svolge col suo stile lirico e visionario, incorniciandolo in una formidabile trama gialla. 
La sorpresa di questi arroventati scampoli di fine estate è un libro italiano, il cui autore, Giancarlo Marinelli, sceneggiatore e drammaturgo, può vantare nel proprio curriculum il Premio Campiello, vinto nel 2002, per il romanzo Dopo L'amore. Le Penultime Labbra potrebbe essere definito, molto superficialmente, come un thriller psicologico ( o meglio,un thriller dell’anima ), anche se questa classificazione finirebbe per essere fuorviante e non renderebbe giustizia a una narrazione assai più ricca di spunti rispetto a quella classica del noir. Dopo una partenza lenta, propedeutica alla creazione dell'intreccio, Marinelli è bravo a infittire il mistero, ad alzare il ritmo grazie a dosati colpi di scena, ad avvincere il lettore con una trama originale e plausibilissima. Eppure, nonostante i palpiti e la crescente curiosità circa il vero destino di Antonio, i contenuti del romanzo non restano mai in superficie, e l'autore è bravo a scavare nei tormenti psicologici di personaggi che si misurano con il dolore di una perdita, vera o presunta che sia ( l'arcano verrà ovviamente svelato solo nelle ultime pagine ). E' l'assenza, dunque, la vera protagonista del romanzo. Un'assenza, quella di Antonio, che costringe la moglie Giulia, i genitori, Francesco e Giovanna, e l'amico Paolo, a confrontarsi con il passato, con il ricordo, con la speranza, con rapporti affettivi mai completamente sinceri e con vuoti di parole che forse è ormai troppo tardi riuscire a colmare. Ad arricchire la narrazione, lo sfondo di una caotica San Paolo, un amore apparentemente impossibile e poetiche digressioni su Il Dolore, capolavoro di Ungaretti, scritto in memoria del figlio Antonietto, morto prematuramente. Le Penultime Labbra, nonostante una prosa cha a tratti si compiace di un lessico vagamente desueto, resta un romanzo scorrevole e piacevolissimo, che affascinerà coloro che, pur amando il genere giallo, non vogliono rinunciare a una letteratura che sia anche di spessore.
Blackswan, lunedì 27/8/2012 
 

sabato 25 agosto 2012

ROCK PILLS


REGINA SPEKTOR – WHAT WE SAW FROM THE CHEAP SEATS

Genere : Pop

Un’artista come Regina Spektor è un patrimonio per la musica pop, su questo non ci piove. Scrittura fluida, ottima tecnica pianistica, una voce sensuale e ammiccante, e almeno un paio di dischi ( Far su tutti ) che convincono per l’approcio anarcoide e anticonvenzionale delle composizioni. Non si spiega allora questo What We Saw…, disco estremamente pretenzioso, ma inesorabilmente fiacco, nel quale il talento capriccioso e fanciullesco di Regina viene piegato alle esigenze di una produzione “stilosa “ che sceglie la strada dell’ovvio per favorire la scalata delle charts. Tutto suona perfettamente, ma sono pochi gli episodi che emozionano davvero, tanto che, tra uno sbadiglio e l’altro, quando il cd finisce, viene quasi da tirare un sospiro di sollievo.




 
VOTO : 5,5


BAP KENNEDY – THE SAILORS REVENGE

Genere : Indie –Folk

Bap Kennedy è un egregio signor nessuno, un musicista talentuoso che ha vissuto una carriera artistica perennemente sotto traccia e non ha mai avuto nemmeno l’ombra di un fugace successo. Eppure è in circolazione da tantissimo tempo, ha collaborato con Van Morrison, con il quale condivide anche la città di provenienza ( Belfast ), e Shane Mc Gowan ( Pogues ), ed è stato definito da Steve Earle ( mica pizza e fichi ) “il miglior songwriter mai visto “. Vale la pena allora comprarsi questo splendido disco, prodotto egregiamente da Mark Knopfler ( Dire Straits ), suonato in punta di plettro e ricco di suggestioni invernali e malinconiche. Le undici ballate che compongono la scaletta non hanno un cedimento che sia uno : la tensione è massimale, gli struggimenti si sprecano, un ondivago profumo d’Irlanda riempie le narici e in testa circola insistentemente il nome dell’immenso Dylan. Jimmy Sanchez è il capolavoro di un disco che togliere dal piatto è farsi violenza. Consigliatissimo.




VOTO : 8


DEAD CAN DANCE – ANASTASIS

Genere : Dark, New Wave

Sono passati ben sedici anni dall’ultimo disco in studio dei Dead Can Dance ( Spiritchaser del 1996 ), praticamente un’eternità. Sarà per questo che il nuovo album della premiata ditta Brendan Perry e Lisa Gerard si intitola Anastasis, parola greca che significa resurrezione. E risorgere dopo anni di silenzio, quando le strade dei due sembravano essersi definitivamente separate ( con la Gerrard sempre più star internazionale – la voce nella colonna sonora del Gladiatore è la sua ), sembrava quasi impensabile, tanto da far pensare in prima battuta a una malinconica operazione di natura commerciale. Invece Anastasis è un signor disco, che recupera non solo un marchio di fabbrica storico ( chi ha buona memoria, si ricorderà del loro inarrivabile Spleen and Ideal del 1985 ) ma il meglio delle due fasi musicali che hanno scandito la carriera del duo : da un lato, la dark wave diafana e connotata di esoterismo degli esordi, dall’altro la ricerca di suoni etnici, attinti a piene mani dalla cultura mediorientale, indiana, africana, etc. Il risultato è un disco emozionante, spirituale, a tratti mistico, costruito su fluenti melodie dal sapore quasi “ cinematografico “, che scorrono lente e oniriche, cesellate ora dal timbro profondo di Perry, ora dalle eteree evoluzioni vocali di un’ineffabile Gerrard. Da ascoltare a occhi chiusi, lasciandosi cullare da “visioni” musicali che rapiscono verso inconsueti soundscapes e, soprattutto, ancora, riescono a stupire.




VOTO : 7,5

Blackswan, sabato 25/08/2012

giovedì 23 agosto 2012

JOHNNY B. GOODE - CHUCK BERRY / WHOLE LOTTA LOVE - LED ZEPPELIN : QUANDO IL PLAGIO DIVENTA LEGGENDA


Ci sono classici del rock che sono più classici degli altri. Prendete, ad esempio, Johnny B. Goode di Chuck Berry : per molti critici è considerata la canzone da cui nasce il rock'n'roll ed è tanto famosa che la conoscono anche i sassi, travertini compresi. E che dire di Whole Lotta Love dei Led Zeppelin ? Singolo da oltre un milione di copie, uno dei riff chitarristici più belli di sempre e canzone simbolo non solo del gruppo di Plant ma probabilmente dell'intera stagione dell' hard rock inglese degli anni' 70.
Due canzoni bellissime, epocali, seminali, amate così tanto da aver ispirato nel corso degli anni centinaia e centinaia di cover. Peccato che entrambe siano il frutto di una scopiazzatura che ha pochi precendenti nella storia. Nel 1958, Chuck Berry, figlio artistico di Muddy Waters e da questi sponsorizzato urbi et orbi, ha in testa di scrivere una canzone che racconti una storia di povertà, rock'n'roll e emarginazione. E' la storia del suo amico Johnny Johnson, pianista con cui, a Saint Louis, Chuck aveva condiviso anni di apprendistato. L'idea c'è, il testo anche. Manca un titolo, che però potrebbe essere semplicemente Johnny. Poi, Chuck ripensa alle proprie origini, ad anni passati a sbarcare il lunario e gli viene in mente la strada di Saint Luis in cui nacque, Goode Avenue. Johnny Goode era un buon titolo, ma mancava ancora qualcosa : una scintillante B.in mezzo al nome e al cognome avrebbe dato ritmo all'intera canzone. Che ebbe effettivamente un successo clamoroso, anche se il riff di chitarra era ripreso nota per nota da Ain't That Just Like A Woman di Louis Jordan, uno dei padri fondatori del blues e del jazz. Casualità ? No, plagio, e pure grosso come una casa. Tuttavia, tra i grandi bluesman del passato era consetuidine rubarsi vicendevolmente i riff, e la cosa, invece di dar vita a lunghe beghe giudiziarie, era considerata un vanto per l'artista copiato, che acquisiva così una splendida aurea di autorevolezza. Non fu invece dello stesso avviso Johnny Johnson che, nel 1991, intentò vanamente una causa nei confronti di Berry, complice di non averlo mai ripagato adeguatamente per l'aiuto e l'ispirazione dati nella composizione di molti successi ( tra i quali, ovviamente, Johnny B. Goode ). 




 




In fatto di saccheggi di musica altrui, Page e Plant non furono da meno di Berry. Nel 1969, Whole Lotta Love apre a bomba Led Zeppelin II : parte il riff di chitarra e il mondo del rock si ferma. E' la canzone della svolta, quella dell'eterna consacrazione. Tutti in ginocchio a onorare la premiata ditta del dirigibile, che da lì in avanti farà scintille, rilasciando in pochi anni un pugno di album epocali. Peccato che quel riff, tanto bello quanto memorabile, altro non è che un tarocco, perchè riprende pedissequamente quello di You Need Love ( 1962 ) di Muddy Waters, a sua volta preso in prestito da Willie Dixon, autore originale del brano. C'è altro ? Si. Ascoltate il fraseggio del cantato di Plant e poi mettetelo a confronto con quello di Steve Marriott degli Small Faces in You Need Loving ( 1966 ). Sono tanto simili da ingenerare imbarazzo. Whole Lotta Love fu in seguito oggetto di una disputa legale sui diritti d'autore, riguardo alla quale Robert Plant ebbe a dichiarare :"Il riff di Page era il riff di Page. Era lì prima di qualunque altra cosa. Ho solo pensato "Beh, e adesso che faccio?" È stato un colpo di fortuna. Adesso ripagato profumatamente. All'epoca ci furono molte discussioni sul da farsi. Alla fine decidemmo che si trattava di un'influenza così vaga e remota nel tempo (erano già passati 7 anni) che… beh, ti pizzicano solo quando hai successo. Funziona così". Difficile dare torto al cantante degli Zep, anche perchè, nel caso di specie, il plagio c'è ma può tranquillamente definirsi un colpo di genio.Oppure una botta di culo, una di quelle, che cambiano il corso della storia. Il confine è sottile.





 








Blackswan, giovedì 23/08/2012

martedì 21 agosto 2012

DREAMING ON MY OWN !


Non so cosa mi stia succedendo, senza dubbio questo caldo infernale , che ci graticola lentamente , dà il colpo di grazia, ma io non riesco a dormire in nessun luogo, a nessuna ora , se non per brevissimi periodi di tempo. E non mi è mai successo. Io che sono una "pisola " per eccellenza, non tanto per le ore passate con Morfeo, ma proprio perchè ogni luogo, ogni momento era buono per recuperare. Non è più così, brancolo nel vuoto , insieme alla mia influenza virale e sono qui in Killerania, per far fuori un pezzo di intestino che mi procura non pochi guai. Cliniche perfette, quanto rapide in questo luogo, metodi spicci e definitivi e sono già fuori , sperando nel meglio....Ora tutto questo che caspita c'entra , direte voi con ragione, ma tutto sommato è pertinente. Mi viene in mente quando riuscivo a dormire anche a bagno, i miei innumerevoli spostamenti di fuso orario, treni, aerei, ore spezzate, jet-lag, ma io con il mio amatissimo zaino, sempre fiera di essere acciaccata , ma presente. Quante volte ho dormito ad un concerto? E' impossibile , direte voi... No, è possibilissimo! Anche se spesso suonavano dei miei beniamini , io grandi o piccole "pise " le ho fatte!" Appoggiata al mio solido zaino, reclinavo un pochino la testa e partivo per altri lidi. A volte erano viaggi brevi, ma a volte erano vere e proprie trasvolate. Ne ricordo due storiche , perchè poi l'impiccio era scrivere la recensione, anche se molti titolati giornalisti, scrivevano scalette di concerti inesistenti e le commentano pure. Ma io non appartenevo alla categoria dei titolati! Veniamo al dunque. Il concerto di Eric Clapton era il primo concerto italiano di questo chitarrista considerato "un Gesù Cristo " sceso in terrra per la sua abilità , che fece tappa a Genova e poi a Roma nel 1983. Era un bel maggio, come in Liguria sa essere , tiepido e piacevole e io arrivavo da Oslo , coperta dalla testa ai piedi , come Totò e Peppino al loro arrivo a Milano, ma senza colbacco di pelliccia... Il concerto si svolgeva sempre al famoso "Palazzetto dello Sport" che ha la prerogativa di avere una pessima acustica, ridotta a pochi frammenti musicali a seconda del posto occupato. Io ero tra i fortunati , potevo sentire bene , ma questo non bastava. Slowhand era in forma smagliate , i suoi riff, i suoi blues entusiasmanti, ma tutto questo non bastò. Non bastò nemmeno il tafferuglio di quei pochi di buona volontà che stavano registrando i bootleg , io quasi ipnotizzata dalle sue mani e vi dò un consiglio, osservatele molto bene sono le mani più belle che io abbia visto, ma malgrado tutto caddi in trance e mi svegliai, non voglio giurare a fine concerto. Cosa potevo scrivere , una musica per sognare? Senza dubbio sarebbe stato veritiero , ma non ero stata inviata per questo, e come sapete esiste la provvidenza. Uno degli addetti alla registrazione del concerto, mi spiegò un po' il tutto, segnai la scaletta , deliziosamente fantastica e ricca di atmosfera , con canzoni come Layla, Cocaine ed infinite altre , io le avevo perse o chissà , magari sentite nel mio subconscio.Mi invitarono a sentire la cassetta che durava circa 45 minuti, ma preferii seguire la strada di casa , scaricare il mio sacco e , se avevo ancora un po' di forza, buttarmi sul primo letto che trovavo. Anch'io avevo provato l'ebbrezza dei grandi : scrivere senza sentire...E non finisce qui. Il seguito alla prossima, se ne avete voglia!



NELLA, martedì 21/08/2012

domenica 19 agosto 2012

THE MUSICAL BOX – GENESIS

E’ raro che nella storia del rock un gruppo abbia esordito tanto male come fecero i Genesis con il loro From Genesis to Revelation ( 1969 ), riuscendo tuttavia a trasformarsi in poco tempo in una band leggendaria, artefice di alcuni capolavori che segnarono indelebilmente la stagione del prog rock. Quell’album, inviso financo ai più fedeli e ortodossi fra i fans, era una pretenziosa accozzaglia di canzonette pop melense e stucchevoli, lontane mille miglia dai successivi affreschi romantici che resero celebre il quintetto inglese. Sarà sufficiente un altro album, Trespass ( 1970 ), ingenuo quanto si vuole, ma anticipatore comunque delle visioni impressioniste di Gabriel, per cancellare il balbettio iniziale e dimostrare al mondo che i Genesis erano molto di più di un gruppo di chierichetti che masticava melodie da oratorio. La violenza quasi metal di The Knife e gli acquarelli diafani di The Dusk e Looking For Someone risplendono ancora oggi nel forziere delle gemme più presiose del gruppo. Eppure, la svolta definitiva, avviene solo nel 1971, quando a far compagnia a Gabriel, Rutheford e Banks, arrivano anche l’eclettico batterista Phil Collins e Steve Hackett alla chitarra. Cinque galli nel pollaio e una line up che sotto il profilo tecnico e creativo avrà pochi eguali nella storia del rock.

Esce Nursery Crime e il mondo si accorge che è nata una stella. Soprattutto in Italia, in Francia e in Belgio, prima che in Inghilterra, i Genesis diventano i protagonisti assoluti del nuovo suono a cui da qualche anno si stanno convertendo migliaia di appassionati. Merito dell’estro di Gabriel, eclettico front-man, capace di leggendari trasformismi, istrioniche performance vocali e di una poetica che miscela, in seducenti, e talvolta, criptici versi, mitologia, storia, tradizione anglosassone, impressionismo pittorico e un certo gusto per il macabro. Non è un caso che il successo arrivi soprattutto con The Musical Box, canzone che apre Nursery Crime ed è paradigmatica di quanto variegata e multiforme fosse la scrittura dell’Arcangelo Gabriele.  The Musical Box è una storia per bambini e di bambini ( d’altra parte, Nursery Crime parafrasa le nursery rhymes, le filastrocche per bambini della tradizione inglese ). Ma è soprattutto una storia macabra, che nasconde un crimine, un orribile delitto. Cynthia e Henry sono amici e giocano insieme a croquet ( la copertina del disco è ispirata proprio a questo brano ). Succede qualcosa, però, qualcosa di imprevedibile, qualcosa che ha a che fare con la follia, con il soprannaturale, forse col demonio. “ Cynthia dal dolce sorriso sollevò in alto la sua mazza e graziosamente decapitò Henry “ canta Gabriel. Qualche giorno dopo, Cynthia scopre nella camera del defunto Henry un carillion ( The Musical Box ) e lo fa suonare. All’improvviso nella stanza si materializza lo spirito di Henry, le cui sembianze non sono quelle di un bambino ma di un uomo che invecchia a vista d’occhio e che implora Cynthia di toccarlo per un’ultima volta prima, prima che il suo corpo si disfaccia definitivamente.  E mentre Cynthia si avvicina al compagno di giochi con la mano protesa, nella stanza entra la tata di Henry che prende il carillion, lo distrugge , facendo così svanire anche lo spirito del bambino. I dieci minuti abbondanti del brano si sviluppano magistralmente, alternando agli arpeggi trasognati della dodici corde e all’interplay perfetto fra la voce calda del cantastorie Gabriel, il flauto e il controcanto vellutato di Collins, improvvise esplosioni di violenza quasi hard rock, che preparano al crescendo del concitato finale, in cui la voce implorante dello spirito Henry invoca Cynthia di toccarlo. La tensione musicale del brano sposa alla perfezione un testo che evoca contemporaneamente esoterismo, immagini orrorifiche e colti cenni mitologici, come nella supplica finale “ Touch me, Touch me, Now ! “, che richiama alla memoria il mito greco di Orfeo e Euridice.


Blackswan, domenica 19/08/2012

giovedì 16 agosto 2012

ANVIL – THE STORY OF ANVIL

Appassionato, emozionante, dolcemente malinconico. A leggere questa teoria di aggettivi ( manca solo struggente) verrebbe da pensare che sono impazzito e che stia per recensire un film d’amore. Invece, tanto per cambiare, il film di cui mi accingo a scrivere parla di musica e racconta la vera storia degli Anvil, metal band canadese in attività dal 1979, che a metà degli anni ’80 visse un breve, ma intenso, momento di gloria, per poi precipitare repentinamente nell’oblio. Come direbbero i giovani d’oggi, gli Anvil “spaccavano”, erano una vera e propria macchina da guerra: salivano sul palco a suonare e travolgevano il pubblico con un micidiale intruglio di anfetaminici riff, sesso, violenza e cialtronesche movenze glamour. Insomma, i ragazzi avevano tutte le carte in regola per diventare stelle di prima grandezza: l’apprezzamento della critica specializzata, la venerazione dei fans, la stima incondizionata di alcuni mostri sacri del metal quali Lemmy, Slash e i Metallica. E invece ? Invece, niente, nada, nothing. Gli Anvil rimasero un trafiletto nel grande libro della storia del rock e nonostante un paio di album di livello sorprendente ( cercatevi almeno Metal On Metal ) non vendettero che poche copie. Come si dice, un flop, un buco nell’acqua, una scoreggia di coniglio nell’immensità della notte desertica.



Il bel film di Sasha Gervasi ci racconta dunque ciò che poteva essere ma non fu, le aspirazioni, i tentativi e le tante delusioni di due uomini ultracinquantenni ( i membri originari della band, Robb e Lips ) che nonostante il tempo e l’oblio che li ha sommersi, non hanno mai smesso di crederci, di suonare la loro musica, di calcare le scene per sentirsi vivi. Anvil non è solo un film sulla musica, su questa bruciante passione in sette note che non ti molla mai, anche quando i capelli si fanno bianchi e gli acciacchi si fanno sentire. E’ piuttosto, e soprattutto, un film sull’amicizia e sui sogni. Robb e Lips hanno lavori dignitosi ma frustranti, famiglie da mantenere, parenti che osteggiano la loro creatività. Si imbarcano in tournè senza capo né coda ( prendendo, come tutti i cristiani, giorni di ferie dal lavoro ), vivono situazioni umilianti, suonano in veri e propri tuguri davanti a quattro gatti. Eppure non mollano mai, forti di un’amicizia solida come la roccia e convinti che prima o poi la fama, il successo commerciale e la realizzazione artistica arriveranno. Sono i sogni, bellezza, non puoi abbandonarli. Perché quando smetti di sognare, smetti anche di vivere. Retorica ? Per alcuni probabilmente lo è. Eppure, sono convinto, che se guarderete questo piccolo gioiello ( di cui non vi svelo ovviamente il finale ), troverete una motivazione in più per credere in voi stessi, qualunque cosa stiate facendo. Metteteci cuore e passione, e il vostro sogno si realizzerà. Parola di Anvil.


Blackswan, giovedì 16/08/2012

martedì 14 agosto 2012

Olympia

Si è appena conclusa la trentesima edizione delle Olimipadi dell'era moderna.
Una bella festa di sport e di popoli.
Se ne avete occasione, andate ad Olimpia in Grecia.
E' un posto bellissimo, che può trasmettere emozioni forti anche a chi non è particolarmente appassionato di sport.
Si percepisce la sacralità del luogo, che non era la sacralità della vittoria (pure importantissima anche allora) quanto piuttosto la sacralità del rito e delle regole.
C'era un tempio in cui gli atleti ed i giudici giuravano fedeltà alle regole di Olimpia, ed era un luogo non meno rilevante del tempio di Zeus o di Era o dello stesso stadio.
Pensate, fuori dallo stadio c'erano delle statue ma non erano dedicate ai vincitori.
Erano dedicate agli imbroglioni, con le loro fattezze e con il loro nome, il nome dei loro padri e la città di provenienza, perchè la loro vergogna fosse di monito a chi pensava di poter fare a sua volta il furbo e vincere slealmente.
A tremila anni di distanza, le Olimpiadi restano una pausa tutta particolare tra le brutture del mondo.
Restano una festa di sport, di nazioni ma soprattutto di popoli e di esseri umani.
Restano un momento in cui si possono vedere ragazze musulmane, forse ai nostri occhi un po' goffe e strane con i loro capi velati, comunque orgogliose di esserci e di mettere il loro piccolo grande mattone nella costruzione di un percorso di liberazione.
Si possono vedere i neri dominare, come a ricordarci che tutto quello che è stato fatto loro nei secoli non ha intaccato di una virgola il loro ruolo di superuomini, altro che gli Ubermenschen di cui vaneggiava quel pazzo di Hitler.
Si possono vedere, soprattutto, uomini e donne che arrivano da paesi lontanissimi, o da paesi tra loro belligeranti, che si sfidano secondo regole condivise e che dopo si abbracciano.
Perchè quando si corre su una pista, o si nuota, o si gioca a basket o a pallavolo, siamo tutti uguali, tutti bambini felici che giocano allo stesso gioco meraviglioso.
Confrontarsi, superarsi anche, ma volendosi comunque bene od almeno rispettandosi.
Dura tre settimane ogni quattro anni, e però ci fa capire e ci ricorda che un altro mondo ed un altro modo di vivere sono possibili.
E' un retaggio che arriva a noi direttamente da una civiltà antica, eppure modernissima, e chi se ne frega se la Grecia di oggi è un po' sfasciata.
Le dobbiamo comunque molto, e lo si capisce bene, anzi lo si percepisce sulla pelle, se si va lì, all'origine di questo magnifico pensiero che induceva le genti a sospendere le guerre, a smettere di massacrarsi a colpi di spada e lancia, e a vedere invece chi era più bravo a correre o a lanciare un disco.
Noi ormai ci siamo abituati a pensare che chi ci contrasta sia un nemico da abbattere con qualunque mezzo.
Se riuscissimo a considerarlo invece un avversario da superare, magari giocando pulito, e basta, forse molte cose andrebbero meglio.
Se ve ne capita l'occasione, andate ad Olimpia: non ve ne pentirete.

IL PULLOVER


C’è qualcosa di rotto in Killerania, porca pupazza quanto mi dispiace.... Era un pochino che non passavo di lì e proprio il giorno dei lavori in corso " dovevo incontrare"? Beh pazienza , ormai ci sono e andiamo avanti , anche perchè per me è sempre un piacere trovarmi qui. Questa pilloletta sa un po' di già raccontato, perchè la primizia l'ho data a voce proprio ieri sera , serata scanzonata quanto insolita, nata dall'incontro a casa mia di alcuni blogger amici, come Rirì, Nicola e il nostro Adriano Maini. E' proprio vero che le cose migliori, sono quelle improvvisate e così fu. Durante il corso della serata tra un bicchiere di rosso e uno di bianco, mi fecero più o meno la stessa domanda " qual'è stata l'intervista che ti ha più colpito?". Non è facile rispondere , perchè si tratta di scegliere esperienze diverse, con persone completamente dissimili, in circostanze a volte estreme.. etc etc Ma improvvisamente mi venne in mente un episodio, che forse segnò l'idea di voler fare la corrispondente. Chissà! Ero una ragazzina -ina ina dei miei tempi, che dimostrava ancora meno forse degli anni che aveva, ma poi ripensando , nel corso della vita il mio sviluppo fisico non è mutato più di tanto , rughe a parte. Mio padre era medico dello spettacolo e la cosa mi faceva tanto comodo, perchè con la solita insistenza caratteriale, desideravo seguirlo ad ogni manifestazione. Cosa volete che vi dica, tutto mi andava per il verso giusto, dall'opera , alla rivista, all'operetta alla prosa e all'epoca non mi sono mai addormentata. Sarà stato anche l'odore del palcoscenico, del proscenio, delle quinte, quell'odore che mi era familiare già dai tre anni, quando mi iscrissero a danza classica e facevo i miei primi saggi davanti al pubblico. In breve, a San Remo c'erano , festival a parte, molte manifestazioni di un certo livello e ricordo perfettamente una schiera di nomi dei maggiori gruppi musicali del momento che si esibiva all'Ariston . Io adoravo i "Rokes", mi sembrava una musica così spregiudicata all'epoca , con quel timbro esotico che mi intrigava non poco e con il confronto diretto con l'odiata (per me intendo) Equipe 84. Dopo vari tentativi ebbi la meglio, ma mi mancava qualcosa che mi facesse sentire più grande , più donna, più rockettara insomma. Volevo il nero , e un paio di calzoni l'avevo sicuramente di mio, una camicia bianca arraffata a qualcuno anche , ma la chicca era il pullover nero a rombi e stelline fatto all'uncinetto dalla mia povera nonna , con i bottoni d'argento. Una favola.! Ma non era mio , era di mia cugina grande, che non ha mai posseduto il dono della simpatia e della generosità. Anche lì sfinita dalle varie richieste , me lo imprestò, previa sua presenza per controllarmi... Mi sarei anche venduta al miglior offerente pur di andare , quindi fu cosa fatta. Ero veramente al settimo cielo, il primo concerto dal vivo, con questi idoli che avevano conosciuto i Beatles e i Rolling Stones , venivano dalla pallida Albione, e li avevo davanti. Non so cosa successe, mio padre dovette andare ad un certo momento nel backstage e io lo seguii per scrutare se potevo vedere qualcosa di interessante da vicino.

C'era già in embrione la faccia tosta della segugia di talenti!!?? Non so proprio chi fosse , ma un addetto alle scenografie (forse) mi consigliò di raggiungere la porta d'uscita auto per vedere da vicino i miei idoli. Non me lo feci ripetere due volte , conoscevo la strada e mi trovai circondata da una folla che come me aspettava impaziente queste visioni mistiche! Vidi la macchina, una mercedes nera scintillante , li vidi nell'interno , spinsi, sgattaiolai in avanti ed ero da loro...La beatitudine..Potevo toccarli capite, la " cretina" era in trance...Ma lentamente la macchina proseguì il suo cammino ed io ero così schiacciata contro la portiera che non mi accorsi che un buco del famoso pullover si era impigliato nella maniglia posteriore dell'auto. Il panico , il dramma , mia cugina che imprecava , io che continuavo a seguire la mercedes attaccata al finestrino, con il bassista del gruppo che mi faceva "ciao ciao " con la manina, continuavo a battere sui vetri. La macchina era sempre in movimento, tra la gente che urlava " A fanatica..così piccola e già così assatanata... e molla ....tra poco sarai a Montecarlo... ma cosa si deve vedere" e così via. Se non si fossero fermati , la maglia era bella che persa con dei risultati disastrosi, ma come tutte le migliori storie , ecco il lieto fine. L'auto si fermò , sentii una carezza sulla guancia e un "honey" divertito, più un 45 giri nella mano impedita e come un fulmine mi divincolai da quella portiera e tutto fu salvo come nelle migliori favole. Non ci crederete . Cinque anni fa Shel Shapiro venne a Savona per un suo nuovo spettacolo teatrale intitolato " Sarà una bella società". Gli inviai una email , mi invitò a teatro e oltre a godermi lo spettacolo, ritrovai una leggenda diventato ora una amico, che ricordava ancora quello strano episodio , di una bambina attaccata ad una maniglia dell'auto..... Guardate ragazzi che la vita è veramente un circo, spesso dalle cose più impensate , nascono delle favorevoli occasioni. Alla prossima cari...e ...non prendete troppo sole!


NELLA, martedì 14/8/2012

sabato 11 agosto 2012

BITTERSWEET SYMPHONY – THE VERVE

Quando nel 1997 esce Hurban Hymns, i Verve, nonostante gli apprezzamenti della critica specializzata per il loro secondo lavoro in studio ( A Northern Soul – 1995 ), non hanno ancora raggiunto né caratura internazionale né il successo commerciale che meriterebbero. D’altra parte, il panorama musicale inglese del momento è ricchissimo di fermenti : la battaglia artistica fra i Blur e gli Oasis riempie le pagine dei giornali, i Radiohead stanno per diventare la più grande rock band del pianeta, i Prodigy imperversano con il loro inquietante mix di chitarre,campionamenti, elettronica e dance, e la techno-psichedelia dei The Chemical Brothers marchia a fuoco la cultura rave di fine decennio. Richard Ashcroft, cantante della band proveniente da Wigam, è però un ragazzo molto talentuoso, capace di buone intuizioni e di una scrittura cristallina, che già gli era valsa sperticati elogi per la splendida History, indiscusso capolavoro tratto dal precedente album in studio. Bittersweet Symphony, primo singolo tratto dal nuovo disco, dimostra a pieno tutte le qualità di Ashcroft e apre ai Verve le porte del Paradiso. Per mesi non si ascolta altro e la band schizza ai primi posti di tutte le classifiche. Il brano è arcinoto e capita ancora adesso di ascoltarlo per radio o come jingle di qualche pubblicità televisiva. Eppure, nonostante il brano sia diventato una classico della cultura rock, solo in pochi sanno che il tema della canzone nasce dal campionamento di The Last Time dei Rolling Stones, nella versione proposta dalla Andrew Oldham Orchestra.


Ashcroft chiede il permesso di utilizzarne un estratto, che gli viene accordato senza problemi. Tuttavia, l’uso che i Verve fanno della melodia è eccedente la durata concessa, e il gruppo si trova a dover rinegoziare l’accordo con gli Stones. I quali, prima accettano il 50 % dei possibili proventi derivanti dal brano e successivamente, quando si rendono conto dell’inaspettato successo della canzone, pretendono il 100%, minacciando altrimenti pesanti strascichi legali. Il risultato è che Ashcroft non guadagnerà un centesimo dalle vendite della sua canzone più famosa, i cui diritti entreranno tutti nelle tasche di Jagger e soci. In seguito, il leader dei Verve, mosso da comprensibile risentimento ( e non completamente a torto, vorrei aggiungere ) dichiarerà che Bittersweet Symphony è “ la miglior canzone scritta dagli Stones negli ultimi vent’anni “. Parole, queste, che stuzzicarono la suscettibilità di Keith Richards, il quale, sornione, replicò affermando che “ quando i Verve scriveranno una canzone più bella, potranno tenersi i diritti “. In realtà, se il chitarrista degli Stones avesse ascoltato con attenzione Urban Hymns, una canzone più bella di Bittersweet Symphony l’avrebbe trovata. Si intitola The Drugs Don’t Work, commovente, toccante, dolcissima ode che Ashcroft scrisse per ricordare il padre morto da poco.


Blackswan, sabato 11/08/2012

giovedì 9 agosto 2012

THE DEAD WEATHER - SEA OF COWARDS

Quel che è certo è che Jack White ha venduto l'anima al diavolo.Come Robert Johnson, anche White ha avuto la sua mezzanotte, il suo croceva desolato e il suo uomo in nero, il suo Ike Zinnerman. Donami il talento, Ike, instilla in me il seme della rivoluzione, conduci le mie visioni ai confini, regala alla mia chitarra il passo lento e feroce del blues, e quando verrà il momento, mi accompagnerai all'inferno. L’anima a pagare il prezzo del genio, le fiamme dell’Ade che bruceranno sulla pelle come su questa terra i dardi infuocati di sanguigni e furibondi riff. Dev’essere successo proprio così, dal momento che il ragazzo di Detroit da anni declina la grammatica del Delta con le ruvide  movenze di un dandy bianco, cialtrone quanto basta per vestire di romanticismo le fattezze garage di un rock suonato allo spasmo.Non è un caso che il golden boy dell’indie abbia moltiplicato le occasioni per  esprimere il proprio talento, celandolo altresì sotto molteplici spoglie: coi deceduti White Stripes, con i The Raconteurs, coi Dead Weather e ora anche da solo. E' il suo dono e la sua missione, in cambio della quale White ha preferito Belzebù a Dio, per regalare a noi mortali una musica che attraversa il tempo, i dischi e le band come vagoni di un treno in corsa verso un’ultima fermata di sulfurea immortalità. Era passato un lampo dal disco d'esordio dei Dead Weather, nemmeno il tempo di stupirsi per Horehound , che Sea of Cowards  arrivava a raccontare il secondo episodio di questa saga nata quasi per caso, eppure così efficace da far pensare a numerosi futuri capitoli. Succede così quando la creatività tracima: idee a bizzeffe, irrequietezza fisica e mentale, canzoni scritte con l'urgenza di chi è costretto a sfruttare il tocco del diavolo finchè morte non lo separi dal plettro. Cantava Robert Johnson : " Devo correre. Il blues viene giù come grandine ".




Sembra proprio una corsa, quella di Jack White fra i suoi innumerevoli progetti: una corsa contro il tempo per celebrare tutta la musica che ha in testa e non lasciar dietro nemmeno una nota. Canzoni come se grandinasse, questa è la sensazione: la furia degli elementi in Sea of Cowards intride ogni riff di chitarra, ogni stacco di batteria, il pulsare lascivo del basso. La grandine piove dal cielo con forza irruente e devastante.Gli anni '70, gli Zep,il Mississippi, gli Stones più sguaiati, il garage e una summa di blues moderno, isterico, icastico, che procede per strappi e convulsioni, extrasistole del cuore e della mente. Petting duro con l'hip hop, sguardo seducente su certe ritmiche dub, incestuosa attrazione verso il rock dei padri.Tutto in queste canzoni trasuda pornografia, quasi che suonarle equivalesse a fare sesso estremo con una sconosciuta nei bagni di una discoteca.Con le luci al neon a farti girare le pupille, la musica che rimbomba con perfidia nelle tempie strafatte di acido e il rumore della gente che ti passa a un metro dal cazzo. Un'orgia psichedelica, una notte stonata e senza fine, riff di chitarra a randellarci lo stomaco, e la voce luciferina di Alison Mosshart che si infila nelle orecchie come una lingua voluttuosa e senza freni. Il diavolo quando promette fa le cose in grande.Non fosse altro che per fottere l'ennesima ascensione in Paradiso di qualche angelo del pop che imperversa nei supermercati della musica. Ecco allora quell'incipit clamoroso, ad alto voltaggio di umori, che porta il nome di  Blue Blood Blues, versione destrutturata e anfetaminica dei Led Zeppelin più scarni; ecco il ghigno beffardo di I'm Mad , sbilenco e inquietante nel drumming monocromatico in quattroquarti e nelle perversioni vocali della Mosshart; ecco la lucida follia di  No horse che pesca un riff  in odore di Alice in Chains e la ritmica malata da qualche follia di Diamanda Galas.Tutto di queste canzoni odora dell’afrore selvaggio di un orgasmo, frettoloso,  promiscuo, intenso. L’urgenza dopo mesi di forzata astinenza. L’urgenza del sesso, del blues e di una musica da suonare con il fiato del diavolo che soffia sul collo. Come un treno in corsa, dritto verso l'inferno.
 



Blackswan, giovedì 09/08/2012