Sono passati tre anni da Close, un disco che aveva fatto circolare, e non poco, il nome dei padovani Messa, grazie a un accattivante ibrido di metal e hard rock, declinato, però, attraverso una coltre plumbea, e reso distintivo dall’originalità di scrittura e da una debordante creatività, la stessa che rende difficile incasellare un album entro gli steccati rigidi di un solo genere.
Questo nuovo The Spin si muove seguendo le stesse coordinate del suo predecessore, ma attraverso un tracciato meno tortuoso, più lineare e, in senso assolutamente positivo, meno ostico all’ascolto. Il calderone di influenze resta tutto sommato lo stesso (hard rock, blues, doom, prog, psichedelia, dark ambient), salvo per alcuni suggestivi ammiccamenti al goth rock di derivazione anni ’80, ma le canzoni suonano più dirette e meno elusive.
Il
fatto che riesca a mettere insieme queste componenti alchemiche
mantenendo un così alto grado di coesione e di fruibilità, alternando
momenti di adrenalinica intensità ad altri di toccante intimismo, è la
prova di quanto la band sia cresciuta in maturità e consapevolezza in
dieci anni di carriera. Con The Spin i Messa abbandonano, in
parte, certe architetture ardite e quei puzzle creativi contenenti
svariate contaminazioni e divagazioni, per abbracciare un’espressività
più nitida e pulita, meno enigmatica ma satura comunque di sedimenti
emotivi, messi a fuoco da un minutaggio decisamente inferiore rispetto a
quello di Close. Il risultato è un disco più bilanciato, un
perfetto compendio di sezioni rarefatte, atmosfere avvolgenti, momenti
ad alta densità di struggente blues/doom e muscolari sportellate
elettriche, tutte componenti che convivono nello stesso nucleo di
febbrile trasporto.
Pur in un contesto più convenzionale rispetto a Close, i Messa non smettono però di esplorare, di cercare nuove strade in territori apparentemente già noti, spingendo sull’impeto di assalti frontali, e cercando, riuscendoci, di contrapporre (e fondere) al metallo suggestioni eteree e inquietanti digressioni ossianiche.
A rendere unica questa conturbante amalgama è la voce versatile di Sara Bianchin, egualmente abile nel discendere attraverso i declivi più impervi e oscuri, sedurre con delicata dolcezza o aggredire con furioso ardore.
Nonostante le differenze fino a qui evidenziate, i Messa restano i Messa, e certe canzoni (l'elettronica di "Void Meridian", le volute psichedeliche e ascensionali e la digressione jazzy della splendida "The Dress", fino al passo doom che convive con le atmosfere meditabonde di "Thicker Blood"), dimostrano che la tavolozza sonora in costante mutamento continua però ad attingere a paesaggi sonori familiari.
Allo stesso tempo, come dicevamo, in The Spin la formula canzone è più rispettata, senza che ciò pregiudichi la qualità della proposta, visto che brani come "Fire on the Roof", con la sua ruvida aggressione doom, le strofe fumose e ipnotiche, il ritornello immediato e l’assolo di chitarra frastornante, o "Immolation", bluesy e fluttuante, sono belli da capogiro.
È questo che distingue leggermente The Spin
dal precedente album dei Messa, che aveva un flusso organico: in questo
caso la struttura è episodica, dovuta al fatto, probabilmente, che, a
differenza di Close, il gruppo ha scelto di registrare l’album separatamente, in diverse location e periodi.
Comunque sia, la band padovana ha colpito nuovamente il centro del bersaglio, ed è evidente che qualunque cosa faccia, sia in grado di mantenere una propria precisa identità, pur evitando di replicare formule vincenti. The Spin non fa eccezione: è meno impegnativo e più immediato dei dischi precedenti, ma non per questo meno bello. Come raggiungere la vetta utilizzando il sentiero meno tortuoso: quel che conta è il paesaggio, anche in questo caso decisamente incantevole.
Voto: 8
Genere: Doom, Goth Rock
Blackswan, giovedì 19/06/2025
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