Sarebbe sufficiente leggere il testo di Loose, secondo brano tratto da Fun House (1970), per comprendere che quella che state ascoltando è una (la) rivoluzione : ” I took a record of pretty music / Now I'm putting it to you straight from hell / I'll stick it deep inside”, recita la voce malevola di Iggy Pop. Già, basterebbe solo questa delirante dichiarazione d’intenti a farci capire che da queste parti bisogna girare radenti ai muri e muoversi con circospezione. Ma poi c’è la musica, quel rock blues acido e viscerale, alienato e demoniaco, capace di far passare anche i Sex Pistols per un gruppo pop. Perché il punk, prima di tutti, anni prima di tutti, lo hanno inventato loro, gli Stooges. Non è un caso che uno dei più grandi critici musicali di sempre, Lester Bangs, si fosse sbilanciato, dicendo : “ la musica degli Stooges proviene dal caos, quello più primordiale e magmatico, incandescente, selvaggio ”; così come non può essere considerata un’esagerazione che la rivista Q, nel 2007, definisca Fun House come il disco più rumoroso di tutti i tempi, e Jack White, leader dei compianti White Stripes lo abbia incoronato il miglior disco di rock americano di sempre. D’altra parte, non sono certo io a inventarlo, gli Stooges sono stati uno dei gruppi più seminali della storia. E non solo per aver inanellato tre dischi, solo tre e poi si sono sciolti (salvo resuscitare nel 2007), uno più bello dell’altro, ma perché quei tre dischi hanno influenzato in modo determinante la musica che sarà negli anni a venire. A questo magma primordiale di debordante violenza si ispirarono i citati Sex Pistols, i Clash e bene o male tutto il movimento punk; ma con questo album si gettarono anche le fondamenta per il post punk e la scena grunge di Seattle. Registrato in presa diretta con il produttore Don Gallucci (che guarda caso era il tastierista dei Kingsmen, che nel 1963 travolsero la borghese scena rock con quel classico garage, intitolato Louie Louie), Fun House è il fratello sporco e arrabbiato del disco d’esordio del 1969 (The Stooges). I riff affilati della chitarra di Ron Asheton (uno dei suoni più facilmente riconoscibili del pianeta rock), nati dal connubio fra deiezioni hard e la chirurgica precisione di una fiamma ossidrica; la sezione ritmica selvaggia e nichilista di Dave Alexander e Scott Asheton; e il sax avant rock di Steve Mackay, reclutato all’ultimo grazie a un’intuizione di Iggy Pop, sono la furibonda potenza di tiro alle spalle della quale si muove il cantato alienato e luciferino dell’Iguana. L’urlo liberatorio con cui si apre di Tv Eye spazza via in un colpo solo ogni convenzione musicale. Quanti pensavano che Mick Jagger e Robert Plant fossero i massimi capostipiti di un rock grezzo, urlato e cialtrone, si devono ricredere, perché il cantato posseduto e indemoniato di Iggy Pop non da tregua alle orecchie e quasi preghi che quel supplizio finisca. Ma è l’iniziale Down On The Street che da la vera dimensione dell’incontenibile ferocia di cui è capace l’Iguana, che ulula, abbaia, rantola, strepita e ci regala una della sue più convincenti interpretazioni di sempre. E’ l’inferno, sono i dannati lambiti dalle fiamme, l’odore di zolfo, i gemiti di dolore, il puzzo della paura, la perdizione. E in un attimo, il tempo breve di una battuta di rullante, gli dei maligni del Tartaro si fanno da parte, a testa bassa, perché entra Lui, la bestia in persona, un Belzebù metropolitano strafatto di droghe e di lascivia. Se un disco inizia così, se conduce l’ascoltatore in un percorso fatto di settte episodi di devastazione sonica, in cui le furiose svisate di Asheton ti restano addosso come cicatrici della memoria, non può che finire peggio, nel tentativo (riuscito) di dar vita alla definitiva palingenesi rock. E così, quando parte la conclusiva LA Blues, un’urticante esplosione di free jazz, noise e urla lancinanti, ti restano in mano solo i brandelli di ciò in cui credevi prima. Capisci che la musica carina è finita per sempre e che non c’è più alcuna possibilità di tornare indietro. Sprofondi negli Inferi e preghi che il Diavolo abbia pietà di te.
Blackswan, domenica 05/05/2013
7 commenti:
Disco pazzesco dall'inizio alla fine. Grandi Stooges e viva le rivoluzioni come questa!
Sull'importanza degli stooges inutile discutere,
a me però piace di più il primo album, sapendo perfettamente che sul gusto personale è perfettamente inutile disquisire.
Carico da 11!! o 12 forse...
Per altro un disco "rischiosissimo" da recensire, per 1000 motivi...
Ma io lo vorrei proprio conoscere quel qualcuno che ritiene Mick Jagger capostipite di una qualche forma di rock....
Glissons. Come mai questo rispolvero? Pigrizia domenicale o preambolo ad una recensione dell'ultima produzione di Iggy and the Stooges?
Sai che son curiosa...;-)
Iggy!
Musica cattiva per ragazze cattive. Che ricordi!
Grazie!
Apprezzo molto la voce di Iggy Pop, in grado di squarciare - nella mia fantasia - tanti veli su tante miserie del mondo!
@ Mr.James Ford : I quali peraltro non hanno sbagliato un disco che sia uno...
@ Euterpe : sono due grandi dischi. Io preferisco questo perchè lo trovo più immediato e cattivo.
@ Evil Monkeys : che è poi un modo gentile che mi dovrei dare all'ippica...:))))
@ Irriverent : non capisco questa avversione per i poveri RS...:)Scrivo spesso di vecchi dischi.Questo ancora mi mancava. E il nuovo degli stoogees lo devo ancora ascoltare.29:)
@ Mist : per ragazze cattivissime,oserei dire...:)
@ Adriano : Sei un buongustaio ! :)
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