Quanti sono i dischi che
diventano nostri, che dopo il primo approccio ci obbligano a ripetuti ascolti e
poi col tempo entrano a far parte del nostro bagaglio culturale? Quanti quelli
di cui ci ricorderemo ancora fra tre, cinque, dieci anni ? Nel 2014, avrò
ascoltato ormai più di quattrocento cd e ammetto che i contorni di molti di
questi mi appaiono già sfumati, se non addirittura dimenticati. Quindi,
rispondendo alla domanda retorica di cui sopra, direi non più di due o tre all’anno.
Per il semplice motivo che, come suggerisce il titolo del dodicesimo disco in
studio di Lucinda Williams, la musica spesso resta in superficie, fra le cose
frivole di questo mondo, e difficilmente scende nel profondo della nostra
anima, laggiù dove lo spirito incontra l’osso. La Williams, a sessantun anni
suonati, ci regala venti nuove canzoni che partendo dalle orecchie ci scivolano
dentro, senza clamori, con risoluta lentezza, e ci pervadono, come un virus
benevolo che arriva a intaccarci financo le ossa. Tanto che, una volta metabolizzata
la lunga scaletta dei due cd che compongono Down Where The Spirit Meets The
Bone, diventa difficile staccarsi dall’ascolto, se non facendoci violenza. Parlavamo,
una settimana fa circa, a proposito del disco di Slash, di come l’estrema
lunghezza di un disco sia difficilissima da gestire anche per un artista
affermato e creativo: troppo alto il rischio di annoiare, praticamente
impossibile mantenere un livello qualitativo costante. Insomma, la presenza di
filler è direttamente proporzionale alla durata dell’opera. E’ quindi
stupefacente che nell’ora e tre quarti di Down Where The Spirit Meets The Bone
la Williams non perda un sol colpo, regalandoci una scaletta ove si susseguono,
senza soluzione di continuità, belle canzoni e autentici capolavori. Centoquattro
minuti in cui un suono tipicamente e orgogliosamente americano viene sviscerato
in tutte le sue declinazioni, dal rock al country, dal blues al folk.
Ad
accompagnare Lucinda un ensemble di musicisti da paura, che suonano sciolti,
quasi sornioni, facendo scivolare dentro noi i mille volti di quell’America di
interstatali perse nel nulla che non smettono mai di affascinarci. Le chitarre
di Val Mc Callum e Greg Leisz al comando, e un pugno di camei da far tremare le
vene nei polsi: Bill Frisell, Jonathan Wilson, Jakob Dylan, Stuart Mathis
(Wallflower), Pete Thomas e Davey Faragher (Elvis Costello) e Tony Joe White. E
poi, c’è la voce immensa della Williams, dal timbro inconfondibile, talvolta
carezzevole nelle sue sfumature caramellate, altre volte lenta, strascicata, leggermente
impastata, come nel risveglio da una nottata di eccessi alcolici. Venti canzone
venti, che si aprono commuovendoci alle lacrime con il folk spettrale di
Compassion (in cui viene musicata una poesia di Miller Williams, poeta e padre
della cantautrice) e si chiudono con una delle più belle cover mai ascoltate,
Magnolia di JJ Cale, dieci minuti di jam che lasciano col fiato sospeso. In mezzo, tanta, tantissima carne, tutta
cucinata alla perfezione: il rock melodico di Burning Bridges e When I Look At
The World (due melodie impagabili), quello scontroso di Foolishness e
Everything But The Truth, gli afrori sudisti della sudatissima West Memphis, il
country malinconico di It’s Gonna Rain, il soul della struggente One More Day. Arrivati
alla fine di questo lungo viaggio sonoro, c’è il desiderio insopprimibile di
cominciare da capo, di nuovo, ancora una volta, e poi una ancora, fino a farci
venire i crampi alle orecchie. Perché Lucinda è riuscita laddove quasi tutti
gli altri falliscono: ci ha toccato nel profondo, in quel luogo dentro noi dove
lo spirito incontra l’osso. E fra dieci anni saremo qui, a parlarne ancora. Già
un classico.
VOTO: 10
5 commenti:
di musicisti bravi c'è ne sono tanti al mondo, ma quello che conta sono sempre le canzoni. E Lucinda sa scrivere canzoni. Un disco strepitoso.
Oilà! un dieci cavolo, non ti sei risparmiato! Sicuramente anche per me tra i primissimi di quest'anno.
E' tanto che te lo volevo chiedere: ma chi te lo fa fare di ascoltare tutti quei dischi lì?
@ Bartolo: un disco emozionante, dall'inizio alla fine.
@ Silvano: Se non dai dieci a un disco così, quando lo dai ? :)
@Angelo: La passione ? :)
:) Ok, però 400 son tanti, come fai a goderteli, io un disco che mi piace me lo ascolto anche per più di un mese, e senza ascoltare altro.
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