Come di consueto, arrivati
a fine anno, ci divertiamo a stilare la classifica dei migliori dischi del
2014. In attesa che domani venga pubblicata la scelta dei lettori del killer,
ecco i primi cinque dischi, quelli che vanno dalla posizione 25 alla posizione
21.
25) WILKO JOHNSON & ROGER DALTREY - GOING BACK HOME
Il
risultato è un superbo disco dal suono molto vintage, che fila via rapido
e incisivo come la chitarra affilatissima di Wilko Johnson. Che, nonostante i
serissimi problemi di salute, sembra davvero essere in perfetta forma come
negli anni magici. Pochi assoli, tanta ritmica, un suono essenziale e preciso,
sono caratteristiche che il grande Wilko porta impresse nel proprio
dna musicale e che si adattano perfettamente a un repertorio che odora di pub
e pinte di birra. Notevoli anche la martellante sezione ritmica e un
Daltrey che sembra aver ritrovato lo smalto e gli spunti del fuoriclasse
soprattutto grazie a un timbro mai così grave e black. Non si può ovviamente
parlare di capolavoro dal momento che su questo genere di musica si è già detto
tutto e che il repertorio è composto da canzoni già pubblicate,
rivitalizzate per l'occasione da un'inaspettata seconda giovinezza. Ma di
sicuro Going Back Home suona come un lavoro onesto e sincero, fresco e
spumeggiante, trascinante come non se ne ascoltava da tempo. Un ultimo e
doveroso appunto a margine della recensione. E' duro doverlo accettare, ma
Wilko Johnson, salvo miracoli, fra pochi mesi non sarà più tra noi.
Eppure, nonostante il fardello della malattia, l'uomo ha deciso di rinunciare a
invasive terapie e calvari ospedalieri. Ha scelto, invece, di andarsene
esattamente come ha vissuto, con la chitarra in mano, il rock 'n' roll nel
cuore e un pugno di canzoni che fin dal primo ascolto suonano esattamente per
quello che sono: compendio di storia, vademecum per giovani rocker, testamento
spirituale. Chapeau!
24) CAPAREZZA - MUSEICA
Strano a dirsi, ma Museica si allontana sempre più
dagli schemi tipici dell'hip hop (il Capa, a dire il vero, ha sempre
dimostrato una certa insofferenza per le convenzioni del genere), tanto che a
conti fatti, e con le dovute proporzioni, somiglia molto da vicino a un disco
rock, oltretutto con qualche (riuscitissimo) deragliamento in ambito
metal (Argenti Vive). Il combinato disposto tra questo cambiamento e il livello
alto, a volte altissimo, dei riferimenti culturali contenuti nelle nuove
canzoni, alza l'asticella qualitativa dell'ascolto e impone fin da subito
una riflessione. Cosa ne sarà di questo splendido disco che cita Dadaismo,
Modigliani, Van Gogh, Dante, Frida Kahlo, Piero e Alessandro Manzoni
(folgorante l'immagine di Lucia e Renzo...Piano!), Giotto, Goya e molti altri
artisti e scrittori che hanno contribuito alla crescita dell'umano sentire?
Perchè due sono le possibilità: o (soprattutto) il pubblico più giovane
sarà spinto dalla curiosità di scoprire quali e quante meraviglie si
celano dietro i testi effervescenti e urticanti del Capa, oppure il
cd verrà riposto, per reciproca incomprensione, nell'ambito più remoto
della libreria itunes, da tutti coloro che si
sentiranno spiazzati da un'opera ricca di rimandi che una cultura medio
bassa nemmeno immagina.
Sarebbe
un successo ben più redditizio di quello commerciale se qualcuno, spinto
dall'ascolto di Museica, avesse lo stimolo di scoprire lo spirito
iconoclasta del dadaismo (Comunque dada), la storia dei falsi di Modigliani,
che nel 1984 misero in ambasce il mondo accademico italiano (Teste di Modi), le
vicende che legarono Filippo Cavillucci detto Argenti (letteralmente massacrato
dal sommo poeta nel canto VIII dell'Inferno) e Dante (Argenti Vive), la
storia della grande musica rock così magistralmente raccontata attraverso le
copertine di dischi leggendari (Cover). In scaletta, oltre a tanti momenti
davvero riusciti (su tutti Canzone A Metà, Avrai Ragione Tu, Mica Van Gogh,
Argenti Vive, Cover, Troppo Politico), anche qualche riempitivo (Figli D'Arte,
Compro Horror) e il solito carico di feroce ironia che morde alla gola
le ipocrisie, il perbenismo e la fuffa politica che ci circonda.
Per tutti quelli che sono in fissa coi girasoli e non coi cellulari…
23) LANA DEL REY – ULTRAVIOLENCE
Ci sono però canzoni che
crescono ascolto dopo ascolto, che ci accompagnano in un percorso di sognante
malinconia tra blues demodè (The Other Woman) e visioni dream pop anni ’80 alla
Cocteau Twins (Brooklyn Baby), che stordiscono per la precisione del tratto con
cui Lana dipinge le ombre del crepuscolo (la marcia funebre di Guns And Roses
assume caratteri quasi ossianici). Ultraviolence, in definitiva, è un disco
niente affatto compiacente, anzi è probabilmente molto più ostico e originale
di quanto chiunque si sarebbe mai potuto immaginare, anche a voler concedere
credito infinito alla talentuosa Del Rey. La quale, con questa seconda opera,
può indossare di diritto i panni della dark lady che avevamo intravisto con
Born To Die. E se da un lato, Lana perderà una fetta di pubblico non preparata
a una svolta così radicale e venderà poco, dall’altro è indubbio che si
guadagnerà il consenso di quanti amano una musica più adulta, complessa e
ragionata. Benvenuta nel club degli artisti veri.
22) ROBYN LUDWICK – LITTLE RAIN
La voce della Ludwick
sussurra intimismo o arriva potente al cuore, ci ferma il respiro con il suo
carico di quieta disperazione (Heartache è una delle canzoni più depresse che
abbia ascoltato quest’anno), ci accompagna nei territori di un country soul
maledettamente sincero (Breaks My Mind), ci travolge con un’urgenza che disarma
(Stalker, Mama), sospende il tempo con un blues antico e carico di sofferenza
(Honky Tonk Feelin’) e si concede perfino uno spiraglio di leggerezza che
rinfranca (Somethin’ Good). Prodotto con sensibilità filologica da Gurf Morlix,
che mantiene vivo il suono tradizionale senza però esasperarlo, suonato con
misura da Rick Richards (batteria), John Ludwick (marito dell’artista texana al
basso) e dalla stessa Robyn, alle prese con le chitarre, Little Rain è un disco
crudo e diretto, il cui mood malinconico esalta il talento di un’artista che
maneggia il suono americano con gusto inimitabile. Un’artista che meriterebbe
ben altri palcoscenici e che vi invito con tutto il cuore a scoprire. Non ne
rimarrete delusi.
21) RIVAL SONS - GREAT WESTERN VALKYRIE
Hard
rock, rock blues e rock psichedelico sono il piatto del giorno: pietanze dal
sapore antico ma cucinate a puntino da un gruppo di ragazzi che sa
amalgamare alla perfezione gli ingredienti. Riff grassi e potenti, la
voce graffiante e plantiana di Buchanan, ballatoni elettrici da far palpitare i
cuori di chi è rimasto immobile nel tempo ai favolosi seventies (da
segnalare i sei minuti abbondanti di Where I've Been), e un gusto per la
melodia che sa tirare fuori il meglio anche da brani altrimenti indirizzati
verso i lidi dell'ovvietà. Electric Man, primo singolo estratto dall'album, è
un hard blues adrenalinico che potrebbe tranquillamente uscire da uno
degli ultimi dischi di Jack White; Good Luck, Good Things e Rich And The
Poor saggiano quei territori più psichedelici che già avevano frequentato,
sul finire degli anni '60 Clapton, Baker e Bruce; Secret e Play The Fool (vi
ricorda qualcosa Misty Mountain Hop?) sono zeppeliniane al midollo e mentre le
ascolti aspetti che da un momento all'altro compaia il fantasma di Bonzo a
darti l'eterna benedizione. Dieci canzoni dieci, per una tirata di quasi
cinquanta minuti, che si fanno letteralmente divorare e che ci
restituiscono il piacere di ascoltare un disco fottutamente rock, inteso
nell’accezione più nobile del termine: potente, sanguigno e senza
compromessi.
Blackswan, mercoledì 24/12/2014
3 commenti:
ho l'impressione che quello di lana sarà uno dei pochissimi dischi decenti della tua lista e tu lo metti così in basso?
il resto è tutta robetta trascurabile, compreso caparezza che ha realizzato il disco meno interessante della sua carriera.
Quello di Caparezza è un bel concept album!
Carissimo Nick ti faccio cari e sinceri auguri di Buone Feste. Ti auguro che il 2015 ti porti la felicità che desideri. Un abbraccio.
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